L'oro bianco della Lombardia. Il Lugana

L'oro bianco della Lombardia. Il Lugana

Degustando
di Alessandro Franceschini
05 settembre 2012

Spunti, riflessioni e aneddoti insieme a Carlo Veronese, Direttore del Consorzio Tutela Vino Lugana, denominazione per tre quarti lombarda, che divide le province di Brescia e Verona, culla di uno dei vini bianchi più personali e di carattere d’Italia.

Carlo VeroneseUna cartina davanti a noi, un tavolo in legno dalla forma sinusoidale e una disponibilità a raccontare la propria terra fuori dal comune, per passione, intensità e partecipazione. Tutto questo è Carlo Veronese, da cinque anni alla direzione del Consorzio di Tutela Vino Lugana, che dalla sua bella sede ricavata da un’antica struttura a Peschiera del Garda si rende disponibile a raccontarci un’area di produzione dai connotati molto particolari, vuoi per la tipologia di vino che rappresenta, vuoi per la posizione, in riva ad uno dei laghi più battuti dal turismo, non tanto e solo italiano, quanto straniero. E se il vino non è solo quello che osserviamo e degustiamo all’interno di un bicchiere, ma anche ciò che rappresenta in termini culturali e sociali, Veronese ce lo ricorda immediatamente: “Vogliamo iniziare parlando dell’Alta Velocità?”. Sì, perché, anche da queste parti il probabile tragitto che taglierà in due la patria di uno dei vini bianchi più in salute della viticoltura italiana, anche se non ha ancora infiammato le pagine dei principali quotidiani italiani, è comunque argomento all’ordine del giorno. “Il Consorzio non è contro, però si pone il problema, che può rappresentare un danno come impatto ambientale e di territorio” che, è bene sottolinearlo, è uno dei bacini turistici, con l’indotto che ne consegue, più fulgidi e straripanti dell’intero paese. Le perenni code all’uscita dell’autostrada ne sono un segnale, ma basta attraversare questa striscia di terra dove si incontrano le provincie di Verona e Brescia per scorgere un’innumerevole quantità di campeggi e alberghi e rendersi, quindi, conto come un cantiere che probabilmente si installerà per almeno dieci anni, a ridosso dell’autostrada e vista lago, potrebbe portare non pochi disagi da queste parti: “Noi avevamo chiesto di far passare la ferrovia al di là delle colline salvando l’anfiteatro morenico, ma per ora la politica non sembra porsi il problema”. Dei 1100 ettari di vigneto che solcano questo territorio, 270 in Veneto, il resto in terra lombarda, la Tav se ne “ruberà” circa 200: “oltre a svariate cascine del ‘500”. Qui la terra ha un valore, non Vigneti Luganasolo affettivo, come in tutti i paesaggi rurali di cui è composto il nostro paese, ma anche economico. Aspetto, certamente non secondario: “All’interno dei confini della denominazione, in media, un ettaro vale circa 200mila euro”, un metro fuori, tra i 30 e i 50 mila. L’oro della zona ha un nome preciso: Trebbiano di Lugana o, se preferiamo usare l’antico nome, Turbiana, ma poco cambia. È anche la seconda uva più cara d’Italia, dal costo di circa 130/140 euro al quintale, nettamente superiore se confrontata alla vicina denominazione di Custoza. Il tutto si traduce in poco più di 10 milioni di bottiglie, rispetto ai 2 milioni di una decina di anni fa, che per il 55% prendono il volo verso l’estero: “Germania, Olanda e Belgio prima di tutto”. Tre paesi non casuali, dato che i suoi abitanti sono dei veri cultori delle sponde del Lago di Garda: “Il turismo, in questa zona meridionale del Lago, però, è bene ricordarlo, non è arrivato subito, ma solo nel dopo guerra”. Antica “terra di briganti” – come raccontò Goethe nel suo Viaggio in Italia - e di paludi, dopo il conflitto bellico ha visto trasformare il suo substrato contadino in una delle culle più attive del turismo. “Questa zona tra Desenzano e Peschiera non era, infatti, nota come Riva del Garda, Custoza o Molcesine”. L’argilla è la componente dei terreni del Lugana più determinante per ottenere quel vino bianco dalla spiccata acidità, dai profumi decisi ed eleganti e dalla struttura di razza che è riuscito a stupire e far innamorare molti amanti dei vini bianchi di carattere. I recenti studi sul DNA delle viti, per altro, hanno di fatto confermato la strettissima parentela che lega il Trebbiano locale all’altro grande vitigno a bacca bianca italiano: il verdicchio. La ferrovia, questa volta quella esistente, è lo spartiacque che possiamo prendere in considerazione per delimitare le due macroaree di produzione del Lugana: al di dentro, confinante con il lago, la parte “rossa”, dal terreno compatto, che si può considerare anche la più storica: “terreni difficili da lavorare, un tempo considerati sfortunati e che valevano veramente poco”. Frumento ed erba medica sono le altre due colture, oltre alla vite, che hanno trovato da queste parti il loro habitat ideale. Oltre la ferrovia, andando verso le lievi colline a sud del lago, il terreno lentamente cambia e oltre alle argille rosse cominciano a intravedersi scorci bianchi e sassi. La svolta per la denominazione è avvenuta circa Luganaquindici anni fa: “Questa zona ha sempre venduto vino sfuso e imbottigliato e non si è mai fatta, però, tentare dalle grandi offerte della Grande Distribuzione Organizzata”. Qui non ci sono cooperative, ma, il bisogno di conferire una parte del vino prodotto in zona c’era: “Venne fatto un accordo con una cantina esterna alla zona, situata ad Affi, la Cantina Caorsa, che si mise a vinificare anche Lugana”. Da allora nacque anche l’interesse di aziende imbottigliatrici della zona del veronese che cominciarono a comprare il vino locale per ampliare la loro offerta inserendo un bianco all’altezza, di struttura come il Lugana: “Queste aziende veronesi, già famose e con vocazione all’export per merito dei loro grandi rossi come l’Amarone e il Recioto, hanno cominciato a portarlo in giro per il mondo”. Il risultato è un territorio in salute, che tuttora, nonostante il periodo, finisce il vino in cantina prima dell’arrivo della nuova vendemmia: “Oggi le aziende che vengono da fuori, non comprano più solo le uve, ma hanno investito anche nel territorio, comprandosi terreno e vinificando direttamente qui”. C’è fermento, ma non una corsa sfrenata alla monocultura come è avvenuto altrove e come ci si potrebbe immaginare, nonostante i confini della denominazione, nata nel 1967, siano sufficientemente ampi per poter accogliere nuovi impianti. Qui non vogliono correre il rischio della sovrapproduzione, ma perseguire una crescita lieve, che faccia combaciare senza squilibri domanda e offerta.

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