Toscana: la solidità carismatica di un grande classico toscano

Toscana: la solidità carismatica di un grande classico toscano

Degustando
di Davide Gilioli
17 marzo 2016

Per storia, tradizione e dimensioni, Castello Banfi è una delle aziende che più hanno contribuito alla fama del Brunello di Montalcino.

Enrico Viglierchio, Amministratore Delegato dell’azienda fin dal 2000, e Massimo Castellani, Delegato AIS di Firenze, ci svelano un’emozionante storia scandita da una straordinaria verticale di sei annate.

La storia di Castello Banfi è uno strano intreccio di corsi e ricorsi storici. Guardando alle proprie radici italiane, la famiglia Mariani – importatori americani del “lambrusco d’assalto” degli anni ‘70 (divenuto poi famoso con la sprezzante definizione di “Italian Coca-Cola”) – giunge in una Montalcino ancora pressoché vergine ed in fase di sviluppo dopo la recente istituzione (nel 1966) della DOC.

Ma, come nei migliori racconti, concediamoci un piccolo flash-back in “bianco e nero”: siamo all’inizio del Novecento quando Teodolinda Banfi, amica d’infanzia e successivamente perpetua del Cardinale Ratti (che nel 1922 venne eletto Papa col nome di Pio XI), donna dotata di grande autorevolezza e stimatissima cuoca, sviluppò una profonda conoscenza sul vino, tanto da essere incaricata di selezionare personalmente i vini per la corte papale. 
Fu così che il nipote di Teodolinda, Giovanni Mariani Sr., si appassionò fin da giovanissimo al mondo del vino. Trasferitosi con la famiglia a New York, negli anni ’20 inizia l’attività di importatore di vini italiani negli Stati Uniti. Negli anni Settanta il successo del lambrusco porta i suoi figli John e Harry a visitare spesso l’Emilia e la Toscana. 
I relatoriColpiti dal paesaggio della campagna senese, in controtendenza con la spinta all’urbanizzazione ed all’abbandono delle terre da parte dei contadini, nel 1978 acquistano “a prezzo di saldo” diverse tenute a Montalcino che oggi rappresentano il nucleo centrale delle proprietà di Castello Banfi . 

Oggi l’azienda è di proprietà di Cristina, figlia di John, ed è gestita dall’anno 2000 dall’Amministratore Delegato Enrico Viglierchio, subentrato allo storico enologo-manager Ezio Rivella dopo 22 anni.

A Castello Banfi - ci racconta il Dott. Viglierchio – cui fanno capo anche investimenti più recenti effettuati a Bolgheri, nel Chianti Classico e in Piemonte (con produzione di cortese, dolcetto, moscato e brachetto), le attività seguono processi organizzativi tipici di una grande azienda: 2800 ettari di proprietà (di cui 900 vitati), 55 milioni di euro di fatturato, diversi milioni di bottiglie prodotte di cui oltre il 60% destinate ai mercati esteri (con prevalenza di USA, Canada, Giappone e Corea). 
Ma nonostante si tratti di un meccanismo perfettamente integrato con il business internazionale della famiglia Mariani, l’attenzione per il territorio è frutto di una passione sincera e profondamente romantica per lo “stile italiano”, che è il vero fulcro della comunicazione verso l’estero. 

Su queste basi, oltre alla grande attenzione in vigna da sempre adottata nella produzione, nel 2000 si è avviato un progetto di zonazione delle tenute aziendali site a Montalcino, arrivando alla mappatura di 29 differenti terroirs, con cui comporre sapientemente l’assemblaggio dei vini. 

Poggio alle Mura – il vino oggetto di questa speciale degustazione condotta durante il Congresso Nazionale AIS a Milano - rappresenta invece il cru di eccellenza dell’azienda, un vigneto di oltre 30 anni disposto attorno all’omonimo Castello e vinificato singolarmente, sottoposto a circa 2 settimane di macerazione e ad un affinamento di 2 anni in barriques. 

I viniMassimo Castellani presenta quindi le sei annate di Brunello di Montalcino DOCG “Poggio alle Mura” in degustazione: 2009, 2008, 2007, 2006, 2004 e 2001. 
Dai bicchieri allineati spicca su tutti i vini un colore rubino pieno, luminoso, ad eccezione dell’annata 2001, dove il viraggio al granato - che si intravedeva nella 2004 – si è completato. 
Al naso le caratteristiche comuni sono la nitidezza del frutto e la varietà delle spezie dolci che sui vini più evoluti arrivano a note di tabacco, caffè e cioccolato. 
In bocca il tannino è ben presente ma sapientemente lavorato, mostrando una perfetta integrazione nel corso degli anni, freschezza e persistenza finale ne tracciano, sin dai primi calici un’idea di grande longevità, confermata dall’annata 2001 che, pur assotigliandosi e terziarizzandosi nell’impronta gusto-olfattiva, non mostra segni di cedimento.

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