Un’esperienza stellare per i Degustatori lombardi

Sabato 12 maggio 2018 si è tenuto all'Hotel Westin Palace di Milano, l’ultimo incontro di formazione dei Degustatori della Regione Lombardia prima degli impegni con le Guide Vitae e Viniplus, edizioni 2019

Francesco Albertini, Paolo Valente e Laura Zaninelli

Fiorenzo Detti, ancora nelle vesti di Presidente di AIS Lombardia e i responsabili del Progetto Degustatori, Luigi Bortolotti e Sebastiano Baldinu, hanno voluto offrire ai cento Degustatori presenti la chance di fare un’esperienza che, non a torto, è stata definita “stellare”.

Degustatori AIS Lombardia

Erano presenti, infatti, Mattia Vezzola, enologo di Bellavista, Martin Foradori Hofstätter e Romano Dal Forno che hanno presentato alcuni dei migliori prodotti delle rispettive aziende, le quali costituiscono altrettante riconosciute eccellenze del panorama italiano.

Un ringraziamento va anche al nostro ospite Hosam Eldin Abou Eleyoun, ancora delegato di Milano, e ai Sommelier che hanno curato l’inappuntabile servizio.

Il leit-motiv dell’incontro di formazione è stato la capacità dei vini di esprimere un’identità, quale sintesi di terroir unici e savoir faire.

Mattia Vezzola e Luigi BortolottiIl savoir faire di Mattia Vezzola

di Francesco Albertini

Mattia Vezzola ha spiegato l’organizzazione e la filosofia di Bellavista - azienda storica e tra le leader in Franciacorta - ripercorrendone la storia, a partire dal progetto di Vittorio Moretti, fino alla collaborazione con il Teatro alla Scala di Milano. 

Vezzola ricollega identità di un vino ad unicità, origine, savoir faire; a suo avviso, per fare vini di qualità, identitari e longevi occorre, in primo luogo, una grande viticoltura, a partire dai reimpianti che, presso Bellavista, sono tutti frutto di selezioni massali tratte da vigneti propri. 

Il vino deve essere in grado di esprimere il terroir di provenienza e, a tale proposito, i 190 ettari vitati di Bellavista, che comprendono tutte le sei Unità di paesaggio franciacortine, sono distinti in 147 cru, ulteriormente suddivisi in 244 micro-parcelle, nelle quali sono stati riconosciuti 64 differenti tipi di suolo. Non meno importante è l’età delle vigne e quelle di almeno sette anni forniscono uve destinate ai Franciacorta. Dalle vinificazioni parcellari si ottengono centoventi di vini diversi, ai quali si aggiungono almeno venti selezioni di vini di riserva, i quali concorrono a dar luogo agli assemblaggi delle varie cuvée. Assai efficace è la metafora utilizzata da Vezzola: ciascuna cuvée è come uno spartito che deve essere suonato, ogni volta (ogni anno), dai musicisti migliori e con gli strumenti più adeguati. Inoltre, come in un’orchestra un maggior numero di strumenti arricchisce l’esecuzione, così per una cuvée quanti più sono i campioni che vanno a comporla, tanto più il prodotto guadagna in complessità.

Ovviamente anche le annate e le loro peculiarità meteorologiche assumono grande rilievo, in particolare l’anticipo della data delle vendemmie causato dal riscaldamento climatico: non sono sempre le stesse vigne a dare i vini che compongono ciascuna cuvée. 

A proposito dell’elaborazione delle cuvée, Vezzola ha sottolineato che il dosaggio assume un rilievo di gran lunga minore (si parla di dimezzamento) rispetto a trent’anni fa; oggi si prediligono vini più morbidi, suadenti, ma con residui zuccherini bassissimi.

Chiari esempi della filosofia Bellavista sono i vini degustati: 
Franciacorta DOCG Alma Gran Cuvée 
Franciacorta DOCG Vendemmia Satén 2013
Franciacorta DOCG Vendemmia Brut Teatro alla Scala 2012
Franciacorta DOCG Riserva 2011 Vittorio Moretti
Franciacorta DOCG Meraviglioso.

Luigi Bortolotti e Martin ForadoriL’Alto Adige secondo Martin Foradori

di Paolo Valente 

Inizia con la storia della viticoltura in Alto Adige, l’intervento di Martin Foradori. 
Praticata fin dall’epoca dei Romani, la viticoltura, ancora qualche decennio fa, era rappresentata per l’80% da un unico vitigno, la schiava, tanto che quando, a meta dell’800, l’Arciduca Giovanni cerca in introdurre varietà francesi o internazionali, trova accoglienza alquanto fredda. Il Novecento cambia il panorama altoatesino: la coltura delle mele, meno faticose da curare e più redditizie rispetto alla vite, si impadronisce dei fondivalle relegando la viticoltura in collina o in alta collina.

Territorio fortemente parcellizzato con la superfice media di meno di un ettaro per proprietario; conseguentemente, un’importante presenza delle cantine sociali che si spartiscono circa il 70% del territorio. Il rimanente 30% è di proprietà di aziende che spaziano dalle medie dimensioni a piccolissimi produttori locali.

L’azienda di Martin Foradori Hofstätter, quarta generazione, nasce ai primi del ventesimo secolo da un commerciante di vino: Joseph Hofstätter che, negli anni, comincia anche ad acquistare vigneti; oggi la superfice della Tenuta consta di 50 ettari di proprietà che coprano circa il 30 % del fabbisogno aziendale.

La viticoltura altoatesina non è mai stata particolarmente incline ai vini da assemblaggio a cui sono preferiti i monovarietali, fortemente radicati al territorio. Anche la desinenza -hof, presente nel nome di tanti vini o cantine, sta ad indicare uno specifico luogo, un maso. 
È anche filosofia di Hofstätter, perpetrare questa tradizione e concentrarsi sui vini di territorio. 

Abbiamo degustato quattro Gewürztraminer da due differenti appezzamenti e di diverse annate. Gewürztraminer vigna Kolbenhof 2017
Gewürztraminer vigna Kolbenhof 2016
Gewürztraminer vigna Kolbenhof 2007
Gewürztraminer Konrad Oberhofer vigna Pirchschrait 2007
Ne abbiamo apprezzato la finezza aromatica e il giusto connubio tra acidità e sapidità che supportano la precisione di una bocca dalla lunghezza affascinante. 

Il Gewürztraminer è un vitigno che, come Martin tiene a sottolineare, non è originario di Termeno (Tramin, in tedesco) anche se alcuni documenti del 1500 citano un vino Tramin che poteva essere sia bianco che rosso, frutto di uve differenti e nulla aveva a che vedere con l’attuale.

Romano Dal Forno e Luigi BortolottiIl sogno di Romano Dal Forno

di Laura Zaninelli

La terza batteria di degustazione ci porta in Veneto, in terra di Valpolicella, ospiti delle parole e dei vini di Romano Dal Forno. Come quasi tutti i figli di questa terra, la luce nella produzione del vino di qualità è stata rappresentata da Giuseppe Quintarelli, un padre al quale tanti si sono riferiti, dal quale si è imparato molto sia a livello di conduzione della vigna che nel lavoro in cantina affinché il vino mantenesse delle caratteristiche territoriali forti.

Romano, raccontando delle radici della sua famiglia, ricorda il nonno Luigi che “pettinava i campi”: da lì l’insegnamento alla dedizione alla terra che, negli anni e nei passaggi di padre in figlio, è giunto ad allineare alla sapienza antica un fare moderno per poter valorizzare il territorio e i suoi vini, con particolare attenzione al recupero di vitigni autoctoni. L’occhio di chi stava imparando, prosegue Romano, è stato rivolto anche verso la Francia, il Piemonte e la Toscana, maestre di storia vinicola.

Il sogno era ed è che il vino di Dal Forno sia prodotto in modo che chiunque se ne accosti e ne gusti possa esserne colpito e desideroso di farne altra esperienza. 

Ai degustatori lombardi sono stati riservati e spiegati 5 assaggi significativi per la comprensione della filosofia e dello stile della cantina:

  • Valpolicella Superiore DOC 2011
  • Valpolicella Superiore DOC 2005
  • Amarone della Valpolicella DOCG 2008
  • Amarone della Valpolicella DOCG 2003
  • IGT Veneto Vigna Serè 2003

Ciascuno di essi ha rivelato che l’esigenza primaria è effettivamente quella di cogliere qualità da tutto il territorio a disposizione, anche da una zona, come quella della Cantina Dal Forno, che non è geograficamente posizionata nel luogo più classico; vini di corpo e personalità, di grande eleganza ed equilibrio, espressione del lavoro e di una storia che dura da lungo tempo.

 

Credit foto: Paolo Valente