Nicoletta Bocca

Nicoletta Bocca

Interviste e protagonisti
di Alessandro Franceschini
29 febbraio 2012

Ci siamo dati appuntamento nel mezzo di una freddissima mattina di gennaio in un grazioso ristorante, dal fascino antico, severo e famigliare insieme, quasi un rifugio immerso tra la masnada di insegne pseudo tradizionali che addobbano da sempre il Naviglio Grande.

Tratto da Viniplus di Lombardia N°2 - Marzo 2012

Nicoletta BoccaSuo padre, Giorgio Bocca, morto pochi giorni prima del nostro incontro, il 25 dicembre del 2011, non ha bisogno di finte decorazioni celebrative così come di beceri attacchi da chi non lo stimava: “Sono passati tutti da casa sua, per conoscerlo così come per chiederli un consiglio”. Benché in generale la morte, soprattutto di un genitore, mescoli e frulli i sentimenti in modo poco controllabile e razionale, spesso induce anche alla calma e alla riflessione, come spinti dal desiderio di cercare un punto attorno al quale ricominciare. Così, giornalismo e vino, vera informazione e senso di estraneità rispetto alla tempesta di parole con cui il web costringe quotidianamente a misurarci, sono stati l’incipit della nostra chiacchierata. Nicoletta Bocca è una delle produttrici più spiazzanti che potrete avere la fortuna di conoscere: gioiosa quanto introversa, può passare ore a discettare di potatura così come di difesa di una denominazione e senso di appartenenza a un territorio, a una comunità. Odia i falsi moralisti e pressapochisti, ma soprattutto quel facile “stare in mezzo”, senza mai prendere posizione, che spesso diventa l’alibi di chi ha abdicato dall’approfondimento in nome del desiderio di essere amici di tutto e tutti. La sua fermezza non le impedisce di esplorare e curiosare tra le nuove forme di comunicazione che i social network mettono a disposizione, sempre disponibile ad un confronto, al dialogo, a uno scambio di prospettive, anche con chi è lontano anni luce dalle sue idee. Il suo approccio in vigna e in cantina, oramai indirizzato senza indugio verso la biodinamica, non tradisce questo modo di intendere il suo lavoro, proteso più alla ricerca dei fondamenti e a una visione complessiva, che non ai singoli dettagli, intorno ai quali spesso nascono guerre di religione prive di respiro. La potete trovare dietro San Fereoloi banchetti delle fiere dei vini naturali così come in prima linea, insieme a produttori che hanno fatto altre scelte rispetto alle sue, se il fine è valorizzare il vino e la denominazione della sua Dogliani. Sebbene abbia percorso apparentemente strade ben definite – certificazione Demeter e biologica CCPB, membro del gruppo Renaissance des Appellations – ha sempre amato mettere e mettersi in discussione, senza paura di apparire un bastian contrario. La sua vita corre a metà strada tra la capitale più incompresa del Dolcetto e Milano: puoi incontrarla vicino a una vasca di vinificazione intenta a controllare la fermentazione dei suoi dolcetto, così come intabarrata a più strati mentre percorre le vie meneghine con lo scooter. Dopo anni di clausura tra vigne e bricchi, succedutesi a un passato da ricercatrice nel mondo della moda, oggi Nicoletta Bocca è prima di tutto una mamma, decisa e dolce insieme quando ti parla del figlio, quasi adolescente, delle sue scelte e della loro vita, divisa tra città e campagna. Non ha estrazioni contadine, anche se il padre, piemontese, cuneese, il vino l’ha frequentato e condiviso sempre, in famiglia così come con gli amici più cari. Eppure le si accendono gli occhi quando parla del suo Dogliani, della sua storia travagliata, del suo territorio stretto tra i giganti delle Langhe e imbavagliato dalla comune, quanto erronea, convinzione che dal dolcetto si possano ottenere solo vini schietti, semplici e di pronta beva, senza alcuna ambizione a durare nel tempo. Chi avesse ancora dubbi a riguardo può testare di persona un campione del suo San Fereolo 2001: un dolcetto cangiante e a tratti ancora scalpitante, che mostra ora il meglio di sé con quel suo piglio mediterraneo, rilassato e vivo insieme, che induce a riflettere circa la capacità di stupire da parte del vitigno più piemontese che esista.

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