Carlo Alberto Panont. Prima parte

Carlo Alberto Panont. Prima parte

Interviste e protagonisti
di Gabriella Grassullo e Ezio Gallesi
27 agosto 2013

Oggi è direttore del Centro di Ricerca Riccagioia a Torrazza Coste (Pv), ma ha una carriera alle spalle che lo ha visto protagonista di zone e Consorzi fondamentali per la viticoltura lombarda: Franciacorta, Valtellina e Oltrepò Pavese. Quarantanove anni, asciutto, sempre in movimento e dalla personalità decisa, brillante, diretta. Ci ha raccontato tanto, ripercorrendo molte delle sue tappe, che sono un pezzo di storia anche del vino lombardo. Partiamo con la Franciacorta.

Carlo Alberto PanontPossiamo definirlo il Tommaso Marinetti del secondo millennio. Sì, perché il suo è un “Manifesto del Futurismo” che in parte è già stato “scritto” con le precedenti esperienze presso i Consorzi  di Franciacorta, Valtellina e Oltrepò Pavese, ma molto ancora si propone di realizzare puntando in alto. Due sono i punti del suo “Manifesto”. Integrità:  dell’uomo, delle uve e del vino. Elementi: vigneto, annata, terroir.

Parliamo un po’ di te, sei un protagonista del vino, quali sono le tue radici etiche e culturali?

Quelle etiche sono la famiglia. La famiglia Panont vuol dire “pane”: siamo tutti panettieri, chi panificatori chi molini, per cui sono nato in mezzo alla farina. Ho avuto una panetteria, quindi siamo sempre stati vicini anche al mondo della produzione. Vengo da una famiglia dove non si smette mai di lavorare. La mia era una casa di ringhiera, quelle di fine ‘800 erano costruite sopra la panetteria, la salumeria o la latteria. La mia aveva un grande forno a carbone che scaldava la casa, gli appartamenti erano esattamente sopra il forno, comunicanti, era un continuo ricambio, chi non lavorava dormiva e viceversa, ci si chiamava l’uno con l’altro. Io nei miei sogni ho il ricordo dell’impastatrice e della biga, in sostanza tutti si è parte di una sola cosa. Le radici culturali sono trentine e venete, Colli Euganei, anche se io sono di San Stino di Livenza. Alcuni della famiglia hanno fatto politica a Venezia, fondatori di una parte della DC veneziana: siamo artigiani, da  parte di padre panettieri, mentre da parte di madre falegnami. Il percorso che mi ha portato al vino è stato attraverso l’agricoltura: sono stato prima perito agrario, poi ho fatto un percorso combinato fra latte e vino e poi ho scelto vino.

Parliamo ora delle tue esperienze nei tre consorzi nei quali hai lavorato, partendo in ordine di tempo dalla Franciacorta. 

Alla Franciacorta devo l’iniziazione generale. Era un Consorzio che nasceva con la denominazione e fu la prima volta, perché non c’era il Consorzio Franciacorta ma l'Ente Vini Bresciani: la Doc allora era “Vini Bresciani” all’interno della quale c’erano anche gli spumanti. Si scriveva Franciacorta ma non c’era la Doc Franciacorta. Al mio ingresso in Franciacorta ero un assegnista di ricerca: mi occupavo di zonazione, ero referente per 2-3 zonazioni. Quella dei Colli Piacentini era stata la mia tesi, seconda zonazione italiana dopo quella dell’Oltrepò. Siamo a metà degli anni ’80, poi partì quella della Franciacorta e a fianco quella della Val d’Illasi (Valpolicella) di cui ero uno dei referenti, oltre ad essere referente unico per la Franciacorta. In sostanza facevo su e giù da Milano, Brescia, lago d’Iseo e poi Soave, queste erano le mie due occupazioni. Poi la Franciacorta si staccò da Brescia, la zonazione era già in atto: avevano idee molto chiare, perché i primi 15 produttori, poi diventati 40, che formarono il Consorzio vini della Franciacorta, volevano proprio delineare una denominazione. Io partecipai al disegno del perimetro della denominazione e al lavoro di zonazione.  Ancora oggi viene usata quella bella carta colorata, frutto del mio lavoro abbinato anche al libro che porta la firma del direttore e la mia: è stato un lavoro di ricerca, quel libro  riporta tutte le zone della Franciacorta e mi ha permesso di conoscere il territorio dal di dentro, dal suolo. Quindi quella genesi è mia, si può dire che mi sono formato con la Franciacorta, quindi conosco gli attuali personaggi.

Zonazione Franciacorta

Parlaci un po’ di quei primi anni pioneristici.

Avevo 27 anni, Mattia Vezzola oggi ha 60 anni, pensatelo allora! Zanella era un giovanotto, Arturo Ziliani era un bimbo come me. Era un percorso intrapreso dai padri, in cui io ero il tecnico che stava mettendo insieme le cose con un Consorzio che allora era appena una segreteria. C’erano aziende, chi per investimento, chi per curiosità, che mi chiedevano un consulto: consigliavo loro come fare una galleria o come utilizzare un capannone per accatastare subito i vini. Inevitabili gli errori delle prime bottiglie che risultavano colose, poi i primi grandi risultati con i primi Franciacorta. Ma fondamentale fu soprattutto il momento in cui si decise di non chiamarsi più spumante. Il Franciacorta è stata la prima grande operazione culturale del vino fatta in Italia attraverso un acceso dibattito a livello nazionale. C’era il Consorzio metodo classico attorno al quale gravitavano tutti. Poi ci fu la nascita del “Satèn”: fummo i primi a spiegare il concetto di “satinato”, “setoso”, “suadente”, scritto non alla francese, “satin”, anche perché era un assorbente, quindi potete immaginare le discussioni e la nostra fermezza a difendere invece il nome “Satèn". 

Che strumenti avevi a disposizione, che tipo di organizzazione, per portare avanti il tuo lavoro?

Il Consorzio non mi mise in mano alcun mezzo, solo la passione che avevamo tutti. Si andava ovunque: bisognava andare a Napoli a spiegare? Si partiva, si faceva la notte in macchina. Sono nato con quella forza e non vedevo altro, Franciacorta e basta. Nel 1997 divenni vicedirettore, mi diedero una sorta di “patente di guida” importante. Ad un certo punto i sogni di ragazzo sono quelli, in sostanza ti senti parte integrante di quel luogo, e pensi: “un giorno sarò io il direttore”. È una cosa che ti senti dentro, l’hai costruita insieme ad altri, quindi conosci tutti, parli in sostanza in modo vero, quindi con te non possono fare "la carta patinata", perché siamo tutti parte di una stessa nascita, dovevamo giocarla alla pari. Questo probabilmente mi ha creato dei problemi, perché mi metteva in condizione di non avere freni: mi sentivo assolutamente all’interno del sistema. Ma probabilmente quel sistema allora voleva qualcosa di più maturo, nonostante io avessi ancora tanto da dare.

Cosa esattamente?

Mi permisi di prospettare l’evoluzione della denominazione. Il Franciacorta, infatti, già allora era esclusivamente una bollicina: avevo già scritto tecnicamente che era inutile tentare di produrre dei rossi. Avevo già previsto il reinnesto di 500/600 ettari, in sostituzione di quelli da vino rosso. Avevo già visto che era inutile tentare di proseguire una strada con il Terre di Franciacorta. Era necessaria una divisione, che per me però non era tra “Franciacorta” e “Curtefranca”. Curtefranca è Franciacorta al contrario, scritto in latino, quindi è un’idiozia nei termini, tanto è vero che è una denominazione che non ha successo, lo sappiamo perfettamente.

A cosa pensavi invece che Curtefranca?

Già ai tempi io vedevo una denominazione come “Sebino”, che allora avrebbe allargato le porte inserendo anche il Lauro, Monte Isola e via discorrendo. Quindi io avevo già allora un progetto chiarissimo: vedevo una produzione completamente legata al Franciacorta. Ma stiamo parlando di tempi dove un’azienda come Ca’ del Bosco faceva più vini fermi che Franciacorta, per cui probabilmente, seppur giovanotto, ero troppo avanti. Comunque quello che ho scritto si è avverato, anche se purtroppo quindici anni dopo. Ma per fortuna la strada era quella giusta: significa che avevo le idee chiare già nel 1999 quando poi me ne andai.

Perché sei andato via dalla Franciacorta approdando in Valtellina?

Non ho trovato più la porta aperta per fare il direttore. Ad ogni modo la Franciacorta ha proseguito quella strada. A loro devo tantissimo perché mi portarono in Francia, ebbi la possibilità di vedere la Champagne, “da sotto” e “da dentro”. Tutte cose che mi hanno consentito ancora oggi di avere un portafoglio di conoscenze enorme, patrimonio che mi porto dentro. All’inizio partii per la Valtellina con il cuore spezzato: per un po’ feci sia il direttore tecnico in Franciacorta che il direttore in Valtellina, ma dopo un po’ capii che dovevo chiudere la mia avventura in Franciacorta. Non era più il momento di continuare a sperare. Per cui ho detto basta: scelgo la Valtellina. E da lì è nato un percorso magico, sono diventato un uomo con tutto quello che avevo messo insieme, mi è stata data carta bianca.   

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