Noir. Radici francesi

Noir. Radici francesi

Interviste e protagonisti
di Gabriella Grassullo e Ezio Gallesi
10 luglio 2014

È un adieu quello di Jean Francois Coquard: 15 anni in Oltrepò Pavese, enologo alla Tenuta Mazzolino di Corvino San Quirico, ha deciso di lasciare, anche se come dice, seguirà l'evoluzione dei suoi "figli". Con il sogno di un'azienda tutta sua, ora guarda ad altri orizzonti

Jean Francois CloquardHa portato in questi anni un po' di vento di Borgogna in Oltrepò Pavese, riuscendo a realizzare gli obiettivi che si era proposto: lavorare sul pinot nero, ma non solo, in modo da raggiungere la massima espressività, valorizzando il territorio. Uomo concreto, dall'ideologia sempre in fermento e dalla professionalità impeccabile rivolta alla continua ricerca, accogliente nel sorriso, ha adottato una filosofia del giusto rigore, ottenendo un prodotto sempre elegante, fresco, incisivo e nitido negli aromi, dove determinante è stata la massima attenzione alla maturazione delle uve. Risultato? «Un amalgama di pensieri segreti che all'assaggio ti lascia in silenziosa contemplazione». La France est ici. 

Ci parli un po' di te, delle tue origini?

Il mio nome è tipicamente borgognone (Beaujolais). Provengo da una famiglia di vignaioli da dodici/tredici generazioni, almeno dal 1500 in Beaujolais. Tradizione di famiglia è lo spirito di ricerca, dell'andare a vedere fuori dai propri confini: mio papà è stato in Nord Africa a coltivare vigne in Algeria per più di dieci anni, mio fratello nel Wisconsin (enologo e proprietario della Wollersheim Winery) e io in Italia. Ho studiato chimica e biologia a Lione e poi all'Università di Borgogna enologia. Con il titolo di enologo, nel 1999, ho fatto una piccola esperienza all'Hospices de Beaune e poi sono venuto subito in Oltrepò Pavese da Mazzolino.

Al tuo arrivo in Oltrepò cosa hai trovato, quale è stata la tua prima impressione?

Sin da subito fu tutto legato al Pinot nero. La famiglia Braggiotti aveva iniziato nel 1984 con la produzione della prima annata del Noir. Hanno sviluppato l'azienda intorno a questo vitigno e quando hanno voluto dare un po' d'aria nuova, sangue fresco, hanno ricercato un giovane, un enologo che venisse dalla Borgogna, per portare la sua esperienza soprattutto sul pinot nero.

Quali sono stati i cambiamenti che hai apportato?

Nella Tenuta c'era già un ottimo lavoro in vigna. I primi anni, assaggiando il vino, mi rendevo conto che c'era da lavorare sulla gestione della maturazione delle uve: infatti anche se i cloni sono simili così come il terreno, il clima, invece, è completamente diverso. Si trattava già in vigna di capire la maturazione di questo vitigno, quanto produrne, in che periodo raccogliere: argomenti ai quali sono stato molto attento. Qui in Oltrepò spesso si vendemmiava un filino tardi. Con altri vitigni come la Croatina o il Cabernet la maturazione può andare avanti anche all'infinito e va sempre bene, mentre con il Pinot nero hai tempo quattro, cinque giorni e poi diventa troppo. Ho apportato vinificazioni più precise e l'uso del legno che per noi è un'antica tradizione.  Abbiamo verificato la provenienza dei legni, l'età, la tempistica per arrivare ad avere vini importanti e per capire quando imbottigliarli al momento giusto. Qui in Oltrepò avevo trovato tanti buoni vini, ma appena stappati erano già in parabola discendente. Il Pinot nero non accetta compromessi, può dare tanto ma va rispettato dalla vigna alla bottiglia. Ci voleva, quindi, il timing giusto: forse è questo il mio maggior contributo.

I continui successi della critica ed i premi delle guide sembra che ti abbiano poi dato ragione.

L'idea iniziale dell'azienda era una visione, quasi impensabile da concepire allora: partire decisi con il pinot nero già negli anni '80. Ovviamente già altri erano stati pionieri di scelte visionarie come Giacomo Bologna o Luigi Veronelli. Poi arrivò il tastevin d'oro nel 2008 per il Noir 2004: che il miglior vino lombardo fosse un Pinot nero era un segnale per noi come azienda ma anche per il territorio, perché essere davanti a Franciacorta e Valtellina era una cosa importante. Anno dopo anno arrivarono altri premi, per esempio dal Gambero Rosso e da Veronelli, che ci hanno dato ragione. La zona ha seguito il nostro percorso e si può dire che Mazzolino abbia fatto un po' da traino. Tutte le aziende in Oltrepò ormai allevano Pinot nero per la vinificazione in rosso. Un percorso che poi aperto anche la strada del Cruasé, vale a dire l'idea di poter fare un grande metodo classico a base pinot nero per darne un rosé. È stata un'altra cosa rispetto al Noir, l'abbiamo sposata, perché ci sembrava veramente naturale farlo, direi con buoni risultati.

Cosa lasci in eredità?

Lascio sicuramente una serie di belle bottiglie: è una traccia che si può stappare e assaggiare, e quella rimane. Di questo sono abbastanza orgoglioso, si può stappare tranquillamente il Noir dal 1999 ad oggi in quasi tutte le annate. Penso di aver fatto capire che si può fare, si può avere una forte identità. La zona si identifica con la Bonarda che ovviamente rimane un punto di riferimento, ma può avere un'immagine forte anche con il Pinot nero. Ovviamente in Italia c'è l'Alto Adige, ma adesso in questa regione si stanno orientando in maniera decisa, e a ragione, sul Lagrein. 

Visto che stai parlando d'identità territoriale, hai qualche consiglio da dare all'Oltrepò per riuscire a conseguire quel riconoscimento come zona vocata al pari della Valtellina e della  Franciacorta?

Sicuramente bisogna sfruttare la versatilità del Pinot nero. Con il Noir abbiamo dato l'esempio di come da un cru si possano ottenere cose importanti, ma il Pinot nero può essere anche metodo classico, e dà ottimi risultati. Noi abbiamo il nostro Terrazze e questo è forse un segnale per la zona perché anche con il Pinot nero si possono ottenere vini freschi, fruttati, molto piacevoli, se ne possono fare molte più bottiglie. Il Pinot nero potrebbe diventare la punta ma anche un vino di largo consumo con delle prospettive enormi sia sul mercato nazionale che quello internazionale. Se avessi una mia azienda in Oltrepò punterei tutto sul Pinot nero, perché potrei fare più prodotti.

Jean Francois CloquardQuindi il vitigno su cui puntare ci sarebbe, ma all'Oltrepò manca qualcosa in mentalità, nell'incapacità di fare squadra, o è qualcos'altro ancora?

In questo territorio si sente aria di rinnovamento: per esempio il nostro nuovo giovane direttore del Consorzio Emanuele Bottiroli ha questa carica, un grande entusiasmo. Aziende importanti come Vistarino, Olmo della Tenuta Il Bosco, Frecciarossa, fanno dei vini da importanti con il Pinot nero. Sta maturando qualcosa di nuovo. Il problema è che l'Oltrepò Pavese, purtroppo, essendo una zona enorme, si muove con lentezza. E nel 2014 muoversi piano non è un pregio.

C'è qualche produttore o enologo che secondo te merita di essere citato come esempio di rinnovamento?

Per citare un giovane, Matteo Berté (Cantine Francesco Montagna) che ha appena trent'anni, ha avuto la fortuna di studiare in Francia e in California ed è tornato con questo bagaglio d'esperienze fatte fuori dal territorio. Mi sembra che i primi risultati sul Pinot nero siano buoni. È giovane, pieno d'entusiasmo. Insomma c'è fermento, qualcosa si sta muovendo. 

Torniamo a te, perché te ne vai?

Dopo quindici anni è finito un ciclo. Per metà è una scelta personale: voglio tornare a stare vicino ai miei cari, con mia moglie ed i nostri quattro figli. Poi è anche un'opportunità professionale: avendo maturato una buona esperienza, sviluppato contatti in tutto il mondo, inizio una cosa mia, un progetto di selezione vini e distillati. La mia nuova attività sarà tutta basata in Italia: vivo in Francia ma faccio vino in Italia e, avendo sempre giocato qui, ho voglia di toccare, per esempio, Nebbiolo, Sangiovese e Grillo, fare delle vinificazioni in varie parti d'Italia per creare una mia selezione assieme a due amici/soci e proporli nel mondo. In pratica il modello alla francese della Maison Negoce. In definitiva selezionare, fare o far fare a chi lavora bene delle produzioni per noi, appoggiandosi a cantine come Mazzolino e come tante in Piemonte, in Lombardia e nel Veneto. 

Visto che farai selezioni, hai già in mente il nome di un giovane produttore Italiano da proporre in Francia ed all'estero?

Marco Fay in Valtellina, oggi un caro amico, si può dire che siamo cresciuti assieme, produttore di una zona che ho conosciuto poco ma dove penso che mi sarei trovato veramente bene. Marco ha uno spirito incredibile. In Piemonte citerei Alberto Cordero di Montezemolo con il suo Barolo: sono vini che adoro e sono tutti e due giovani produttori.

Hai un vino della memoria, collegato ad un evento per te importante o che ha segnato la tua vita? Qual è stato il miglior vino che hai degustato?

Potrebbe essere lo stesso. Ho un ricordo, forse un'opportunità unica, accaduta durante l'ultimo anno di Università in Borgogna. Noi studenti eravamo stati invitati più volte da un nostro amico che è anche un grande produttore di Sancerre, Jean-Laurent Vacheron, allora tirocinante alla Romanée-Conti, per poter assaggiare le prove che faceva di batonnage sul Pinot nero. Verso fine corso, a giugno, Aubert de Villaine (proprietario di Romanée-Conti), organizzò una cena in azienda per ringraziarci della collaborazione. Aprimmo diverse bottiglie importanti, perché lì sono tutte una più importante dell'altra. A fine cena ci fece un gran regalo, e questo me lo ricordo ancora benissimo. Essendo noi giovani enologi di Borgogna ci disse: "Di questa annata ne abbiamo undici/dodici bottiglie, vorrei stapparne una per voi, è una bottiglia un po' strana perché è una Romanée-Conti del 1943". Chiaramente ci raccontò tutta la storia: "Siamo a metà della seconda guerra mondiale, quel vino fu fatto sicuramente dalle donne degli uomini che erano al fronte. È l'ultimo anno a piede franco, perché poi è la vigna è stata estirpata e ripiantata. Per voi che siete nati nel Pinot nero, forse è l'unica e ultima volta che lo assaggerete franc de pied". È stata un'emozione unica, perché quel vino aveva una freschezza incredibile, e questo è un ricordo che non dimenticherò mai. Non abbiamo mai neanche considerato il valore monetario, perché per Aubert de Villaine la cosa più bella e naturale era farla bere a dei giovani enologi.

La Borgogna è inarrivabile o pensi che l'Oltrepò possa avere un suo spazio a livello internazionale?

Una cosa che ci ha aiutato a crescere, come azienda italiana, è essere stati invitati al Pinot noir Celebration in Oregon dove abbiamo portato l'annata 2000 del Noir. So già che il miglior Pinot nero si fa in Borgogna, ci sono però delle zone nel mondo che fanno delle buon interpretazioni e l'Oregon è una di queste. Portare il nostro Pinot nero in un contesto internazionale insieme a quelli dell'Oregon, della California, di Felton road, della Nuova Zelanda è stato utile. Abbiamo capito che il nostro vino era più o meno in linea con delle zone importantissime e ci ha confortato. L'Oltrepò può dare vini che possono avvicinarsi ad un vino della Côte de Beaune, alla Willamette Valley in Oregon, alla Central Otago in Nuova Zelanda, e questo ci ha veramente dato una carica importante. Quando invece ci confrontavamo con quello che trovavamo sul territorio nazionale, soprattutto in Alto Adige, che produce vini molto interessanti ma su uno stile varietale fresco, noi eravamo invece sempre un po' spiazzati.

Jean Francois CloquardLasci come un vuoto. Le persone che hanno lavorato con te ti descrivono come una persona molto disponibile, sempre con il sorriso anche quando hai dovuto affrontare delle avversità.

Adesso con una webcam e skype faremo delle degustazioni virtuali, anche a me mancheranno, oltre alle persone che lavorano qui dentro, mi mancherà la quotidianità di un'azienda. Anche se negli ultimi anni ho viaggiato parecchio, era bello ritrovare il ritmo della vigna, della cantina. Vedremo tra dieci anni: probabilmente avrò la mia aziendina in Borgogna, questo sicuramente è il sogno.

Della tua famiglia c'è qualcuno delle nuove generazioni che segue o seguirà la tradizione di winemaker?

Mia nipote Celine, la figlia di mio fratello ha studiato enologia all'Università di Cornell nei Finger Lakes (Stati Uniti), anche lei fa il vino e sarà la nuova generazione Americana, ha 24 anni. Io non so se uno dei miei figli seguirà la mia strada, spero almeno uno su quattro: sono cresciuti qui in mezzo alle vigne, il loro ritmo è tutto legato al ciclo della vite, la vendemmia in particolare, per questo sogno di avere una mia azienda. I miei zii e i miei cugini hanno aziende in Beaujolais, il sogno, quindi, sarebbe di riprendere un po' di vigne mie, vedremo.

Dove andrai ad abitare?

Nel sud del Beaujolais, nella zona delle Pierres Dorées, soprannominata "La petite Toscane": tutte le case sono di pietra, le colline luminose e poi sei a venti minuti da Lione che è una città incredibile e sei anche a 3 ore da Torino.

Tornerai in Oltrepò? Qualcosa di tuo lo vedremo ancora?

Sì, verrò a vedere le mie ultime annate: ho il 2013 in legno, il 2012 in cantina, adesso invece con il Noir siamo fuori con il 2011 e sono curioso di vederle maturare. Per qualche anno verrò a controllare i miei "bambini".

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