Enrico Crippa: l'arte dell'equilibrio

Enrico Crippa: l'arte dell'equilibrio

Interviste e protagonisti
di Anita Croci e Paolo Valente
26 marzo 2015

Ricerca, arte e amore. Tre parole, come tre sono le sue stelle Michelin, per introdurci alla cucina di questo chef riservato e gentile, cui determinazione e creatività brillano negli occhi vispi e attenti

Enrico CrippaL’esordio nella ristorazione avviene a sedici anni, come commis nello storico ristorante milanese di Gualtiero Marchesi. Quindi, un crescendo di esperienze europee di altissimo livello: Christian Willer alla Palme d'Or di Cannes, Gislaine Arabian al Ledoyen di Parigi, Antoine Westermann al Buerehiesel di Strasburgo, Michel Bras a Laguiole, Ferran Adria a El Bulli di Roses.
Nel 1996 avvia a Kobe il ristorante di Gualtiero Marchesi e poi si trasferisce ad Osaka al Rhiga Royal Hotel. Nel 2003 prende avvio il sodalizio con la famiglia Ceretto, con la quale realizza il suo progetto di ristorante: il Piazza Duomo ad Alba, dove la sua silenziosa genialità raggiunge in poco tempo una fama planetaria, consolidata ogni anno da nuovi riconoscimenti.

Per la significativa esperienza orientale, spesso viene definito "cuoco zen". Vero quanto riduttivo; la Francia come il Giappone, il rigore quanto la creatività, la semplicità insieme alla ricerca: l’esperienza si combina all’essenza e sublima in una trama equilibrata e armonica che i suoi piatti, quanto la sua aura, trasmettono.


Qual è il suo rapporto personale con il vino? 

È curioso come il mio rapporto con il vino sia migliorato profondamente dal momento in cui mi sono trasferito ad Alba. 
Concettualmente lì il vino è presente prepotentemente nella vita quotidiana di tutta la popolazione, tanto è vero che, per esempio, l'aperitivo a Milano lo si fa con un superalcolico o con un cocktail, mentre là anche un ragazzo giovane lo fa con l'arneis o con un bicchiere di rosso. 
Prima ho sempre pensato che non ci potesse essere un così forte legame tra il cibo e il vino, invece poi mi sono reso conto che un vino può accentuare l'intensità di un piatto e viceversa. 
Tante volte però il vino può giocare brutti scherzi se uno non è più che preparato a creare l'abbinamento e se non ha un'adeguata conoscenza anche della cucina stessa.

Enrico Crippa sul Palco di Identità Golose 2015

Quando concepisce un nuovo piatto, pensa anche al possibile abbinamento? 
No, io principalmente penso al piatto che ho davanti. Partendo da un prodotto, creo l'abbinamento degli elementi con quella materia prima per completare il progetto di quel piatto. 
Dopodiché, una volta che è concettualmente costruito, mi confronto con un'altra figura professionale che è il sommelier del ristorante. 
Insieme, in degustazione, ripeto a lui quello che io sento al gusto e che sono soprattutto umori e sapori legati alla cucina, lui invece rimane sempre su una tendenza legata più a umori, sapori e sentori floreali, molto più legati al vino, e da lì si crea l'abbinamento. 
Poi, quando io degusto il vino che lui ha pensato per quel piatto, di nuovo ritrovo sentori più legati a ciò con cui io mi confronto continuamente ogni giorno, perciò i sapori della cucina; lui avverte più i sentori di legno, cuoio o fiori, mentre io sento la riduzione di pomodoro, le marmellate e via dicendo.

Considerate le eccellenze enologiche dell'albese, con il sommelier ricercate soprattutto un abbinamento territoriale? 
Partendo dal piatto, che riguarda un ingrediente o una preparazione più o meno tradizionali, non necessariamente ci vincoliamo a rimanere nel territorio. 
Certo è importante per noi, come struttura ricettiva e di ristorazione, spingere il prodotto locale, anche per un'immagine ed un ritorno economico della regione: più vendiamo vino del territorio e più promuoviamo il territorio stesso. 
Non è però sempre così. Nella cantina del ristorante abbiamo anche moltissime referenze diverse, vini classici di Francia, molte proposte biologiche e biodinamiche.

Volevamo appunto chiederle quale tendenza abbia riscontrato nella clientela a proposito dei "vini naturali" e delle micro produzioni. 
Se lavori con una clientela internazionale, ti accorgi come ormai l'85% chieda esclusivamente vini naturali. Se non li hai in carta, ti precludi a priori una buona fetta di mercato. 
È proprio una richiesta costante per noi che, soprattutto nel periodo estivo, lavoriamo moltissimo con i paesi nordici. Danimarca, Svezia, Norvegia, Scandinavia, Belgio, Olanda, Francia -i francesi poi sono molto fissati ultimamente con i “vins de garage”- vogliono vini naturali e micro produzioni. 
I nostri sommelier sono alla costante ricerca di queste realtà, vis-à-vis e insieme alla maison Ceretto, con il suo catalogo Terroirs, ovvero tutti i vini che importa direttamente. 
Lo facciamo sia noi con Vincenzo (Donatiello, ndr) che è il nostro sommelier o con Mauro Mattei, che era prima nostro sommelier e adesso lavora in azienda ed è incaricato di trovare nuove bottiglie di produttori biodinamici e biologici. La ricerca è costante.

Il vino per lei è una componente importante o indispensabile di una cena? 
Personalmente non riesco a concepire una cena senza un bicchiere o una bottiglia di vino in accompagnamento. Poi tra un piatto e l'altro ci possono essere anche tisane, brodi o altro; però principalmente, anche tirando l'acqua al mio mulino, in un pasto il vino ci vuole assolutamente.

Ci può congedare con un abbinamento che le piace in modo particolare? 
Allacciandomi ad un piatto che ho realizzato oggi, il midollo di cardo con infusione di olio al cardo, acciuga e uovo marinato nel sale e frullato con l'acciuga, abbinerei, lasciando da parte per una volta Barolo e Barbaresco, una barbera o un grignolino “giusto”. 
Ancora meglio, se fosse una barbera un po' mossa come si usava una volta, qualcosa di pronta beva, facile, che con una bagna cauda, se vogliamo restare nel territorio, ci sta perché questo piatto è un richiamo alla tradizione della bagna cauda.


Crediti foto: F. Brambilla - S. Serrani

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