Il Maestro del Luppolo

Il Maestro del Luppolo

Non solo vino
di Maurizio Maestrelli
19 aprile 2012

Fare birra artigianale sembra oggi un’attività, forse una moda, di crescente successo. È il momento giusto per ricordare le ragioni iniziali che hanno creato il fenomeno: la passione, l’energia “primitiva”, la creatività… Per questo motivo abbiamo incontrato Beppe Vento, del Bi-Du di Olgiate Comasco

Beppe Vento del Bi-Du di Olgiate Comasco

Tratto da Viniplus di Lombardia N°2 - Marzo 2012

La birra artigianale italiana sembra essere sulla bocca di tutti. È un dato di fatto, non solo una sensazione. Per quanto ancora di minuscole dimensioni, è proprio il segmento occupato dai microbirrifici quello che sta ottenendo le migliori prestazioni sul mercato negli ultimi anni. Dati alla mano, il giovane movimento italiano sta crescendo in misura esponenziale, arrivando oggi a poter contare su quasi 400 impianti in attività. Un numero enorme se si pensa alla manciata di pionieri che avevano iniziato a metà degli anni Novanta. Passando, tra l’altro, quasi del tutto inosservati. E oggi invece non solo si stanno moltiplicando le aperture (la Lombardia si conferma regione leader a livello nazionale con ben 72 impianti), ma anche i ristoranti che tengono qualche etichetta artigianale in carta e così pure le enoteche, i winebar, i negozi gourmet e, ovviamente, i beershop. Ciliegina finale sulla torta, di birra artigianale si scrive anche su riviste non di settore e non mancano eventi in cui non spunti qualche bottiglia da micro produzioni. Insomma, sembrerebbe un piccolo trionfo. Sebbene ci sia molta strada ancora da percorrere, lo è di certo.

Effettivamente, nell’esplosione del fenomeno si corre qualche rischio. Bisogna infatti imparare a riconoscere la buona birra artigianale e a distinguerla da quella meno buona, si deve capire quando il birraio è mosso da passione o quando la molla, al contrario, è la semplice intuizione del business. Ancora, bisogna avere la capacità di considerare un ornamento, sicuramente apprezzabile ma non fondamentale, tutto quello che ruota attorno alla birra artigianale. Ovvero separare la parte “modaiola” da quella concreta e tangibile. Che è poi quella che sorseggiamo, degustiamo, semplicemente beviamo… In queste pagine vogliamo proporvi una sorta di viaggio alle origini del fenomeno “birra artigianale italiana”, per farvi scoprire, o riscoprire, che dietro gli articoli della stampa, oltre gli eventi glamour e l’emergente - quanto drammatico - luogo comune “siamo tutti artigianali”, ci sono persone vere, mosse da una quasi inconsapevole passione per le birre, e dall’indiscutibile talento. Per intraprendere questo viaggio ci siamo procurati una guida, un Virgilio, diciamo così. Anche perché definirlo una Beatrice ci sembra, onestamente e con tutto il bene che gli vogliamo, davvero eccessivo.

Bi-Du di Olgiate ComascoLa guida risponde al nome di Beppe Vento, fisicamente adatto per fare la comparsa tra gli arrabbiati highlanders di William Wallace, uomo di scarse parole e sfuggente come pochi ai complimenti e alla retorica alla quale tutti i giornalisti, me compreso, tendono a indulgere. Quelle poche parole però, Beppe Vento di Olgiate Comasco dove si trova il suo birrificio Bi-Du (via Torino, 50 – tel. 031.945418), te le rifila precise e pesanti, rivelando una competenza e una professionalità difficilmente deducibili tra una pinta e l’altra. Pinte che sono necessarie per entrare in confidenza con Beppe. Poco male: nell’ampio numero di birre prodotte nel suo nuovo e più moderno impianto è difficile trovare cose balorde (tutte le birre sono disponibili anche in bottiglia da 75 o da 37,5 cl). I suoi “cavalli di razza” sono certamente l’Artigianale, interpretazione sul tema classico anglosassone delle bitter, dal color rame, aroma fruttato e finale secco e amaro, e poi la Rodersch, di scuola tedesca (le kolsch di Colonia), birra chiara, fortemente luppolata e dal gusto piacevolmente acidulo. “Birre da bere”, come tiene a sottolineare Beppe nel suo primo “telegramma” da quando ci siamo seduti al bancone, senza tanti voli pindarici né giustificazioni “di territorio” o quant’altro.

“Le birre che faccio piacciono innanzitutto a me”. E lo dice come se questa cosa dovesse bastare. In realtà è felice che piacciano anche agli altri, ma l’impressione è che, comunque vadano le cose, farebbe una fatica tremenda a spostarsi dal suo percorso. Sarebbe un errore però considerare Vento un birraio ortodosso, della serie “solo acqua, malto, luppolo e lievito”. Se Beppe prende il largo, non lo si piglia più. Negli anni sono nate infatti la H10OP5, dieci varietà di luppoli europei inseriti nella ricetta in cinque fasi diverse della produzione, una birra spettacolare, dall’aroma che ti aggancia e non ti molla, con l’unico limite di essere prodotta una sola volta l’anno; la Lampogna, birra chiara con lamponi freschi coltivati in provincia di Como; la Ley Line, ambrata con miele di corbezzolo; la Bi-Du di Olgiate ComascoDu Bi-Du, saison di scuola belga prodotta con coriandolo e melissa; la Confine, scura porter dalle caratterizzanti note di tostatura; la Gelsobira, con more di gelso provenienti dalla Sicilia e la Saltinmalto, selettiva birra salata, con il sale delle Hawaii e una leggera speziatura di coriandolo. Tanto per far capire che, se si tratta di mettere in moto la fantasia, Beppe ha un sacco di cartucce da sparare. Il fatto è che lui, a differenza di qualche suo epigono, queste birre, in realtà tutte, le fa dopo averle meditate, provate, assaggiate e poi, solo alla fine, le fa debuttare. Per quanto sappia fare delle birre sensazionali, non ricerca il sensazionalismo fine a se stesso e se segue delle mode sono le sue mode personali. “Alla fine sono uno che cerca di fare birre equilibrate”, confessa Beppe. “Che abbiano del carattere, certo, ma questo carattere non deve ostacolare la bevibilità. Non m’interessa insomma fare ‘birre da degustazione’. Non è questa la mia idea di birra”. Beppe scansa in questo periodo i luppoli più esotici che stanno affascinando tanti altri birrai italiani. Proprio lui che va considerato un “maestro del luppolo”… “Abbiamo fatto la Saaz of Anarchy – commenta – proprio perché stufi di tutti questi luppoli americani, neozelandesi, giapponesi. Per la Saaz abbiamo usato un solo luppolo, il ceco Saaz ovviamente, e ogni volta che uso un luppolo americano lo ‘taglio’ con un altro luppolo europeo. I luppoli americani portano a birre che, presto o tardi, stancano…”. In totale, per le sue diciannove birre, Beppe usa venti luppoli diversi e solo quattro di questi sono statunitensi. È una scelta quasi controcorrente, nel panorama attuale della birra artigianale italiana. Ma è una scelta che rivela come al Bi-Du di Olgiate Comasco le mode e gli ornamenti contano davvero poco. Conta solo la birra…

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