Birra - Rurale. Di nome e di fatto

Birra - Rurale. Di nome e di fatto

Non solo vino
di Maurizio Maestrelli
03 settembre 2012

L'inizio da semplici hobbisti. La storia di cinque amici che hanno iniziato quasi per scherzo e che ora si trovano invece a fare sul serio. Per loro, ma anche, per nostra fortuna.

Birra rurale“Il massimo l’abbiamo raggiunto qualche tempo fa, quando ci hanno chiesto delle nostre birre per fare una degustazione e ci siamo accorti che non ne avevamo più. Siamo dovuti andare in giro da alcuni nostri clienti per chiedere se ce ne restituivano qualcuna…”. Sorride Silvio Coppelli mentre ci racconta l’incredibile aneddoto. E sorridiamo anche noi. È il bello della birra artigianale italiana che vive ancora qualche scampolo di adolescenza, quel periodo della vita nel quale non conosci il cinismo, sei pieno di entusiasmo e pensi che il primo amore durerà per sempre. Coppelli è un quinto della squadra che si raduna sotto l’ombra protettiva del gallo, il simbolo del Birrificio Rurale (www.birrificiorurale.it), realtà più che emergente nella ormai nutrita pattuglia di birrifici lombardi. Gli altri compagni di strada sono Lorenzo Guarino, il birraio ufficiale, Beppe Serafini, Stefano Carnelli e Marco Caccia. Si erano incontrati quasi per caso, uniti dalla stessa passione casalinga per la birra, a Lurago Marinone, alla corte di quell’Agostino Arioli che ormai può vantarsi di avere discepoli eccellenti. Tra una birra homemade e una Tipopils, l’idea di mettersi insieme per fare qualcosa di più che rubare pentoloni e occupare la cantina o il garage di famiglia deve essersi fatta strada velocemente.

D’altro canto e diversamente da molti altri birrai, i nostri non sono dei ragazzini. Avevano, e in gran parte hanno ancora, un vero lavoro. Ergo, alla birra potevano dedicare qualche weekend, magari contrattandolo con mogli e resto della famiglia. Ma la cosa, almeno fino a quel punto, ci poteva anche stare. Correva l’anno 2004, o 2005 visto che manca ancora una biografia ufficiale, e complice qualche discesa a Rimini dove da sempre, a febbraio, si tiene la fiera nazionale della birra, il progetto andava prendendo consistenza. Mancava qualcosa tuttavia. Mancava la “visione”. “La visione è tutta colpa del Beppe” ci tiene a sottolineare scherzando Silvio Coppelli. “Quando ha pensato a dove collocare i macchinari per fare birra, gli è venuta la balzana idea del silo. Ne aveva visto uno dietro casa sua. Noi, in realtà, eravamo abbastanza perplessi”. Il primo silo a dire il vero non si rivela disponibile, ma Beppe Serafini insiste e, alla fine, eccolo che salta fuori. Lo trovano in località Cascine Calderari, nel territorio comunale di Certosa di Pavia, all’interno di una fattoria didattica che si chiama Oasi e che, per certi versi, è un’oasi per davvero. Noi ci arriviamo una mattina tiepida di giugno. Il silo è un semplice cilindro di cemento che spunta all’angolo di una bella cascina di campagna, con tanto di porticato. Niente cartelli, nessuno striscione, un semplice tubo giallo nel quale qualcuno scarica quelle che, comprendiamo subito, sono trebbie, ovvero le rimanenze solide del mosto di birra. Sono ottime e non alcoliche, il che piace agli umani che ci possono fare pane e biscotti, ma piacciono anche alle capre e alle galline che aspettano speranzose il tributo. Del resto, sono anche loro che contribuiscono a rendere per davvero “Rurale” il birrificio. L’ambiente sarà bucolico, ma fatte le opportune scale esterne ecco una piccola ed efficiente sala cottura. È il regno di Guarino, coadiuvato ormai da Giulio Zucchetti, che governa cotte da 700 litri ciascuna. Sopra la sua Birra ruraletesta sono stoccate le materie prime, sotto c’è la sala maturazione e la cantina. Volendo esagerare, è il primo birrificio “formato minigrattacielo” che vediamo. Nel silo è iniziato tutto. Per l’esattezza nel giugno del 2009. Nel frattempo i soci erano diventati sei, con l’ingresso di Luca Franceschi che, facendo di mestiere il grafico, si rivela un acquisto importante per l’immagine del Rurale. “A fine 2009 avevamo prodotto 80 ettolitri di birra” ci spiega sempre Silvio. “Un ottimo risultato per noi, ma a febbraio 2010 la nostra Terzo Miglio vinceva una medaglia al concorso Birra dell’Anno organizzato da Unionbirrai ed è stata una specie di svolta. Le richieste di birra iniziavano ad arrivare non solo dal Pavese e dalla Lombardia, ma anche da altre regioni italiane. E così abbiamo chiuso il 2010 con 450 ettolitri di birra prodotti. Nel 2011 è arrivata un’altra medaglia, ci siamo fatti conoscere ulteriormente, e siamo arrivati a 840 ettolitri prodotti”. Insomma, la stagione dei weekend in cui fare la birra in compagnia era definitivamente tramontata. “Esatto” riprende Silvio Coppelli. “Abbiamo capito che questa attività che ci stava dando così tante soddisfazioni meritava di essere seguita con maggiore dedizione e organizzazione”. E così Lorenzo Guarino è stato il primo a fare il “salto” e adesso si occupa a tempo pieno del birrificio. D’altro canto, non sono solo i volumi a essere aumentati, ma anche la gamma birraria. Alle pionieristiche Seta e Terzo Miglio, che comunque assorbono il 75% della produzione ancora oggi, si sono affiancate via via la Castigamatt, la Milady, la Blackout e la Oasi. Tre quarti della produzione è affidata ai fusti, il resto viaggia in bottiglie da mezzo litro. La richiesta continua a essere elevata e qualche volta mette in difficoltà i soci del Birrificio Rurale, come nell’occasione del famoso aneddoto citato in apertura. “In effetti, dobbiamo arrenderci all’evidenza” ammette Lorenzo Guarino “che il silo e questo impianto non bastano più e, visto che qui non abbiamo la possibilità di allargarci, è inevitabile pensare a un trasloco”. Trasloco imminente, visto che si parla di “entro la fine del 2012”, località Desio (provincia di Monza e Brianza) dove sorgerà il nuovo impianto del Birrificio Rurale: sala cottura da 20 ettolitri e cantina di maturazione da ben 160. Certo, qualcuno rimpiangerà la presenza del Rurale in un contesto davvero “rurale”, il silo tornerà a essere una visione, a patto di non volerne costruire uno simbolico in quel di Desio, ma logistica ed efficienza, nonché qualità della vita sul posto di lavoro, dovrebbero migliorare molto. Di contro, a Cascine Calderari potrebbe restare qualcosa, ammettono i protagonisti di questa storia, magari una sorta d’impianto pilota. Quello che è sicuro è che, comunque vada, non correremo più il rischio di restare senza le grandi birre di questo birrificio partito quasi per gioco e diventato una delle aziende più belle del settore. La nostra personale classifica delle loro birre vede al primo posto la Terzo Miglio, un’american pale ale intensa, elegante, aromatica e pulita con bei luppoli in evidenza ma senza essere invasivi. A seguire la Seta che è una blanche floreale e speziata, eccellente sempre e assolutamente fantastica quando ci è capitato di assaggiarla in versione “special” con l’aggiunta di bergamotto siciliano. Poi le altre: la Milady, una stile bitter molto interessante, la Castigamatt, Ipa scura come va di moda oggi da 7,5% vol. e di grande profondità, la Blackout, una dry stout dalle note di cacao e caffè d’orzo e infine la Oasi, una blonde caratterizzata dalla presenza di miele di castagno. Troppe birre per essere gestite tutte in un piccolo impianto all’interno del secondo piano di un silo, e troppe richieste da parte di pub e ristoranti per poter continuare a restare nel bucolico ambiente di Cascine Calderari. Ma, stavamo quasi dimenticandoci di dirvelo, la birra artigianale italiana ha un altro aspetto bello oltre alla “fase adolescenziale”. Ed è quello che, più del luogo dove produci, conta l’anima con la quale produci. E quella, l’anima intendiamo, te la porti sempre con te. Dovunque tu vada…

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