Fra tradizione e innovazione, la riscoperta dell’Agro Pontino. L'avventura di Casale del Giglio

Quello che ho appreso nel corso degli anni e che più mi affascina del mondo del vino è che non si deve mai dare per scontato un territorio o un vitigno, lasciandosi semplicemente guidare da ciò che è stato detto, scritto, letto o ascoltato. Per questo scoprire come si è evoluto negli ultimi anni l'Agro Pontino, zona non proprio rinomata dal punto di vista enologico, è così interessante

Susi Bonomi

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Incontriamo dunque con curiosità Casale del Giglio, azienda nata nel 1967 da un’idea di Berardino Santarelli che intuisce la potenzialità fino allora inespressa di quel territorio. Nell’immaginario comune i vini laziali sono frutto di produzioni massicce, ottenute con impianti a tendone, dalle rese e densità d’impianto altissime (fino a 300 q/ha con 1000 ceppi/ha) che non consentono certo di produrre vino di qualità. Ma la situazione è cambiata, anche in quelle zone del Lazio che si pensavano meno idonee alla coltivazione della vite. Inizia così l'avventura di Casale del Giglio che, nei primi anni '80, avvia un'interessante sperimentazione, in collaborazione con alcune Università e Istituti di Ricerca, impiantando sessanta filari di uve diverse in un territorio originariamente paludoso e analizzando l'esito delle varie micro vinificazioni per sette anni. Considerando che l'azienda si trova a soli 5 km dal mare, si scopre che la brezza marina e l'intenso soleggiamento esaltano le proprietà del syrah, stile valle del Rodano, e del petit verdot, vitigno tardivo e austero, con un tannino difficile da gestire. Soddisfazioni arrivano anche da vitigni di media montagna: sauvignon blanc, dalla particolare tipicità marina e viognier che, pur adattandosi a climi caldi e soleggiati, richiede un accurato controllo della maturazione.

Nel 1988 si espiantano i vitigni sperimentali e s’impiantano a guyot i 180 ha della proprietà, selezionando le varietà in grado di esprimere al meglio la filosofia aziendale: quasi esclusivamente vitigni alloctoni, tutti con denominazione Lazio IGT, per ottenere prodotti che invitano alla beva e non stancano mai il palato.

 

A noi non resta altro che verificare tutto ciò con la degustazione condotta dal brand ambassador Luca di Carluccio

 
Faro della Guardia 2013, biancolella

Unico autoctono della produzione, coltivato e lavorato interamente sull'isola di Ponza, con uve conferite da ben trentotto viticoltori isolani e una produzione di sole mille bottiglie l’anno, da viti a piede franco di 80-150 anni. I profumi che si sprigionano evolvono con il trascorrere dei minuti: da susina e pesca bianca si passa a camomilla e biancospino. L'acidità è ben presente, ma la sua caratteristica peculiare è la mineralità.

 
Petit Manseng 2013, petit manseng

Vitigno semiaromatico originario dello Jurançon soffre di stress idrico tanto che è ammessa l'irrigazione di soccorso. Tre giorni prima della vendemmia l'ultima bagnatura facilita la pigiatura ed evita l’estrazione di sostanze amare dalla buccia piuttosto dura e coriacea. Si adotta criomacerazione per preservare genuinità e riconoscibilità del prodotto: buona struttura e morbidezza, dal finale ammandorlato che ben si adatta al sushi.

 
Antinoo 2012, viognier 67% e chardonnay 33%

Vendemmie, fermentazioni e lavorazioni separate per i due vitigni la cui proporzione è cambiata negli anni. Il viognier affina in tonneau di acacia da 500 hl per 6-8 mesi; lo chardonnay fa un piccolo passaggio in barrique di rovere per circa un mese. Fra i bianchi aziendali è l’unico sottoposto a fermentazione malolattica. L'acidità presente, ma poco invadente, lascia spazio al fruttato, al miele di acacia e a morbide sensazioni di caseina.

 
Shiraz 2013, syrah

E’ il vino più semplice, ma anche il più venduto. Per ottenere un discreto apporto tannico e una buona estrazione degli antociani, in cantina si usano diverse tecniche di macerazione: dal cappello sommerso, al rimontaggio, dal battonage al delastage. Sei mesi in barrique di rovere francese, di secondo, terzo e quarto passaggio, lasciano il vino ancora porpora, con profumi di sottobosco, rosa canina e pepe fino ad arrivare al sangue animale. Ideale abbinamento con l’amatriciana.

 
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Petit Verdot 2012, petit verdot

Affina in barrique di rovere francese, di secondo e terzo passaggio, per circa otto mesi. Bellissimo colore con sfumature ancora porpora; al naso si scopre tutta la ricchezza vegetale del vitigno e in bocca si avverte il tannino ritrovando anche la sapidità che si era un po’ persa nello Shiraz.

 
Mater Matuta 2011, syrah 85% e petit verdot 15%

Prodotto di punta dell’azienda, appena messo in commercio dopo l'affinamento di ventiquattro mesi in barrique di rovere e quattordici mesi in bottiglia, ha un notevole potenziale d’invecchiamento e nel tempo svilupperà le tipiche note di cacao e caffè, anche se per ora si avvertono solo toni fruttati e nessuna speziatura. In bocca il tannino è ancora un po’ verde, non consentendo così una degustazione ottimale; da riprovare fra qualche mese con la provola di bufala, affinata nelle vinacce di syrah, che l’azienda si fa preparare appositamente.

 
Aphrodisium 2013, petit manseng 30%, viognier 30%, greco 20% e fiano 20%

Terminiamo in dolcezza con questo passito che, nonostante non tocchi legno, svela al naso spezie, liquirizia, miele, albicocca essiccata e si completa in bocca con aromi di anice stellato e una leggera piccantezza.  Vino semplice che si sposa armoniosamente con la più classica crostata di confettura d’albicocche.

La nostra degustazione finisce qui, ma la sperimentazione di Casale del Giglio continua…

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