Luigi Moio: chardonnay e terroir di Borgogna

Può bastare una serata per raccontare lo chardonnay della Borgogna? Forse no, ma Luigi Moio con una degustazione scientifica ed emozionale ha svelato i segreti della tipicità aromatica dello chardonnay che in Borgogna si trasforma in Chablis, Corton-Charlemage, Chavalier Montrachet, un nettare intrigante che non è solo sorso di squisita materia ma un'esperienza sensoriale memorabile

Anna Basile

Luigi Moio

Docente ordinario di Enologia, una laurea in Scienze Agrarie, Moio comincia ricordando i primi anni passati sul territorio, all’inizio dei suoi studi pioneristici ventiquattro anni fa, quando ha incontrato quasi per caso i vini della Borgogna. 
Da quei ricordi prende vita una degustazione che comincia proprio dal territorio. 

Il sottosuolo argilloso ricco di sedimentazioni marine, la varietà di micro-ambienti pedoclimatici capaci di trasformare lo chardonnay da un cru all'altro, l'esposizione specifica di ogni parcella, il microclima, il terroir di ogni vigna: ecco il tesoro della Borgogna, dove tutto è teso a creare vini diversissimi tra loro anche se fatti con il medesimo vitigno. 
«Nessuno in Francia parlerebbe di chardonnay», dice il professore, perché sarebbe riduttivo per alcuni tra i più grandi vini bianchi al mondo noti proprio per la loro inconfondibile identità sensoriale, varietale e territoriale. Il miracolo della Borgogna è questo: ottenere da un solo vitigno, lo chardonnay, ben quattrocento vini. 

«Corton-Charlemagne, Puligny Montrachet, Meursault», continua, «sono vini che tutto il mondo apprezza, conosce e ama per i loro eccezionali caratteri di unicità». 
Moio spiega l'imprescindibile legame che c'è tra territorio e vino: «lo chardonnay e la Borgogna sono una coppia perfetta, il vitigno è in totale sintonia con il territorio e il contesto pedoclimatico; benché le variabili siano davvero poche -i produttori usano barrique di rovere, gli allevamenti sono impiantati a guyot, il vitigno è lo chardonnay- i vini sono unici». 

In questo ambiente il ruolo dello chardonnay è determinante: «è un vitigno inconfondibile, lo si riconosce sempre ma non per un aroma specifico. Nello chardonnay non c'è il solista, quel carattere univoco che lo contraddistingue in modo netto». Sono centinaia gli aromi dello chardonnay e tutti concorrono a caratterizzare la sua identità varietale equilibrata e armoniosa. 

Individuare in maniera scientifica le molecole odorose è fondamentale, e Moio, grazie alle sue ricerche sugli aromi, ha individuato centinaia di descrittori odorosi dello chardonnay. 

Ma per capire a fondo la Borgogna bisogna degustare i suoi vini: la degustazione condotta dal professore comincia con Chablis Gran CRU, Les Clos, William Fever 2011. Giallo con tonalità verdoline, al naso spiccata mineralità e più di tutti gli altri aromi - sottobosco, anice stellato, pietra focaia - prevale il miele. L'ingresso al palato è gradevolmente untuoso, largo, subito armonizzato da un'acidità esuberante. Eleganza, finezza e persistenza: si comincia con un vino maestoso. 
Lo Chablis Premier CRU, Montmains, La Chablissienne, 2011 è già diverso, più leggero nella struttura e meno ampio al naso: insieme alla mineralità sprigiona lievi sentori fruttati ma rivela una minore opulenza. Non resiste tanto nel bicchiere: una percettibile nota di smalto, segno di una veloce ossidazione, dimostra che «un Grand Cru vale più di un Premier Cru». 

Il viaggio prosegue verso sud, lasciamo Yonne ed entriamo nella Côte de Beaune con l'appellation più prestigiosa. Corton-Charlemagne, Bonneau du Martray, 2011: la carica odorosa è potentissima, molto più profumato degli Chablis, impossibile non notare la grintosa spinta aromatica che si sprigiona. Arachidi tostate, croccante, torrone, mele al forno, legno e una gradevolissima burrosità. «Questo vino è un generatore instancabile di profumi», commenta, e, a fine degustazione, risulterà il più resistente, capace anche di continue meravigliose evoluzioni. Il bouquet si amplia con un aroma di confetti alle mandorle, tartufo bianco, funghi: una potenza odorosa che trova immediata risposta al palato. «Un vino maschio», all'assaggio felpato e dirompente, con una vena minerale fine. 

Con Pernard-Vergelesses, Vincent Girardin, 2011, lo chardonnay cambia ancora, ma la gara col Corton-Charlemagne è subito persa. Al naso sprigiona fragranti essenze di biancospino e fiori di acacia, ma al palato la scarsa sapidità e la poca persistenza deludono. «Due vini fatti a una distanza ridottissima eppure del tutto diversi tra loro: ecco la bellezza della Borgogna che non smetterà mai di stupire.» 

Arriva il momento di Meursault, Clos de la Barre, Domaine de Comtes Lafon, 2011 e in bocca è tornata la suadente burrosità, l’opulenza. «I Meursault», spiega Moio, «sono gli chardonnay che vincono più di qualunque altro la sfida con il tempo grazie anche all’acidità. Mentre il Corton-Charlemagne è fresco, questo Meursault è grasso, meravigliosamente opulento.» Fantastica la complessità aromatica: untuoso con intensissimi sentori di tabacco biondo e sottobosco. Un vino indimenticabile. 

Il viaggio continua e arriviamo al leggendario territorio di Montrachet che riassume l'essenza dello chardonnay della Borgogna. Si versa Chevalier-Montrachet, Domanie Bouchard Père e Fils, 2011 ed ecco che l'eleganza e la finezza assoluta entrano in gioco. E le armoniose fragranze sprigionate da Chevalier-Montrachet sono una conferma per Moio che ha un'intuizione folgorante: «dopo ventiquattro anni nulla è cambiato». Il vino diventa frammento di eternità e supera la prova del tempo. Il naso più lieve, meno maschio del Corton-Charlemagne, sprigiona note di legno, mela essiccata, e se si ha la pazienza di aspettare, si avverte una delicatissima essenza di cipria. 

 white burgundyA tutti i Montrachet si riconosce un’eleganza incontrastata: Puligny-Montrachet, Les Pucelles, Vincent Girardin, 2011 svela note di vaniglia, noce di cocco, zucchero filato mentre Chassagne-Montrachet, Clos du Cailleret, Vincent Girardin, 2011 risulta ancora più complesso: smorzata la nota tostata, finissimi toni di miele e fiori. Ecco un esempio del fantastico mosaico dei micro-territori della Borgogna: stessa appellation, stesso stile, i tre Montrachet sono espressione di eleganza assoluta e un filo invisibile li unisce. Una magia possibile in Borgogna. 

Ma le sorprese non sono ancora finite, il professore continua la degustazione con il Rully, Bouchard Père e Fils, 2011 e intuisce la presenza invasiva dell'intervento dell'uomo. «Territorio antropizzato: gli aromi rivelano che qui è più forte l'intervento dell'uomo. Mele, cera d'api, fiori di acacia, albicocca essiccata: questo vino si è sganciato dal suolo, si sente la surmaturazione delle uve, caratteristiche che lo conducono all'omologazione.» 

Anche con il Montagny, Bouchard Père e Fils, 2011 il territorio viene meno: una neutralità inappropriata, spicca appena una timida nota di miele. L'ultima tappa è nel Mâconnais: anans e mandorla fresca si rincorrono nel Pouilly-Fuissé, Bouchard Père e Fils, 2011. Discreto rispetto allo chardonnay della Côte, ma simile in eleganza: al naso è delicato e al palato la vigoria e la buona freschezza fanno presagire una lunga persistenza, caratteristica che non troviamo nell'ultimo vino, un Viré-Clessé (Macom Village), Le Héritage du Comte LAFON, 2011 «un vino ordinario, leggermente resinato» aggiunge il porfessore. Anche in questo caso le attese non sono state deluse e la scala delle appellation è stata rispettata. 

La serata è conclusa, ma nessuno ha voglia di lasciare la sala: nei bicchieri c'è ancora la terra di Borgogna che sussulta e il professor Moio non si risparmia, ancora commenta e racconta, riprende i bicchieri tra le mani e trova nella vivacità camaleontica dello chardonnay ancora qualcosa di non detto, regalando ad AIS Milano un evento sensoriale unico.

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