Vino Santo trentino: il matrimonio tra nosiola e botrite

Mariano Francesconi, Presidente di AIS Trentino, ci conduce nella Valle dei Laghi, tra i piccoli centri di Sarche e Toblino. Qui, tra castelli da fiaba e paesaggi da cartolina, l’Ora – il mite vento del Garda – crea il microclima ideale per la raccolta tardiva della nosiola e lo sviluppo della muffa nobile, particolarità che ha salvato questo antico vitigno dall’estinzione

Davide Gilioli

Vino Santo Trentino - Ais MilanoLa tradizione dei cosiddetti “vini santi” risale all’utilizzo cerimoniale ed ecclesiastico di questi vini dolci, ottenuti da uve sottoposte a lungo appassimento e vinificate durante la Settimana Santa. Altri ne riconoscono l’origine greca, localizzata presso l’isola di Santorini, dove vennero vinificati per la prima volta, o ancora vengono associati alla parola greca “xantos” (“giallo”), per il colore dorato brillante (anche se esistono “vini santi” ottenuti anche da uve rosse, come ad esempio in Toscana).

Il vitigno nosiola è l’unico autoctono bianco attualmente presente in Trentino ed è coltivato su circa 76 ettari a fronte degli oltre 10mila ettari vitati presenti nella regione (meno dell’1%). Le difficoltà di coltivazione, che richiede gli attacchi di botrite (muffa nobile che favorisce una lenta disidratazione degli acini e lo sviluppo di particolari aromi) e offre rese di 10/12 litri per quintale di uva, nonché la diffusione di altri vitigni bianchi (pinot grigio e chardonnay), hanno portato all’espianto massivo della nosiola tra gli anni ’50 e ’70, dove l’unico produttore costantemente attivo era la cantina cooperativa di Toblino. A partire dalla metà degli anni ’80, grazie ad un gruppo di giovani aziende del territorio, la tradizione è stata gradualmente recuperata e ad oggi vi sono sette aziende che producono questa tipologia di vino.

I vini presentati nella serata, ottenuti interamente da nosiola parzialmente botritizzata, ricadono sotto la più ampia e generica DOC Trentino. Mentre termina il servizio dei vini in sala, Mariano Francesconi ci regala una carrellata di splendide fotografie tra cui quelle del fiabesco lago di Castel Toblino e della leggenda secondo cui le giovani coppie che vi si recano in visita si sposeranno entro l’anno successivo. Si abbassano quindi le luci in sala ed inizia la poesia della degustazione:

 
Giovanni Poli – 2004 (loc. Santa Massenza)

Delicato color oro antico, con riflessi ramati. Naso di frutta gialla dolce e polposa (albicocca e pesca sciroppate), con note di pasticceria, cannella, miele d’acacia. In bocca si distingue per l’iniziale potenza zuccherina, poi stemperata dall’acidità che gli regala un finale pulito e fresco, su lunga persistenza di albicocca disidratata.

 
Francesco Poli – 2002 (loc. Santa Massenza)Vigneti Nosiola

Oro rosso, scende nel bicchiere denso e concentrato. Al naso è piacevolmente dolce e non stucchevole: agrumi canditi, fiori gialli in appassimento, nocciola tostata e fichi secchi. Il sorso è pieno, appagante, avvolge la lingua con una spessa trama zuccherina e note di nocciola. Chiusura più asciutta del precedente, complice anche l’annata e il minor tempo di appassimento.

 
F.lli Pisoni - 1990 (loc. Pergolese)

Ambrato e luminoso, ma meno consistente dei precedenti. Olfatto mutevole e complesso, con frutta caramellata, datteri, noce, erbe amare, una nota resinosa che volge verso l’etereo (solvente), per tornare infine su legni aromatici (sandalo) e nocciola tostata. In bocca denota maggiore personalità dei vini precedenti, ma meno dolcezza ed avvolgenza, poiché gli effetti della botrite risultano attenuati dalla lunga sosta in bottiglia.

 
Gino Pedrotti 1988 (loc. Pietramurata)

Ambrato scarico, con riflessi color caramello. Naso complesso, che manifesta gli effetti della botrite in fase di terziarizzazione: pesca caramellata, zafferano, fungo cotto che, unitamente alle note dolci e amidacee, ricorda un risotto. Assaggio potente e fresco, di grande personalità, su note di cioccolato, caffè d’orzo, anice e  finale di rabarbaro, piacevolmente amaricante.

 
Cantina di Toblino 1986 (loc. Sarche)

All’aspetto si presenta come uno sherry: caramello scuro e grande densità zuccherina. Il naso inizia pungente (da sherry oloroso), tradendo una punta di acidità volatile; dopo una breve rotazione nel bicchiere vira su note mediterranee di dattero e carrube, poi una leggera tostatura, miele di castagno, fichi secchi, caffè, tabacco e note affumicate. Sorso denso e avvolgente, con la trama zuccherina dipanata dall’acidità che regala un finale sorprendentemente pulito e balsamico.

 Sarà per la dolcezza degli aromi della nosiola o per la struttura data dalla botrite, che ancora perseverano nei palati dei presenti, ma il silenzio degno di uno spettacolo teatrale viene rotto solamente da uno scrosciante applauso. Mentre si ripristinano gradualmente le luci in sala, la poesia ed il fascino di questi vini porta a riflettere sul corredo enologico di cui è dotata l’Italia; grazie al proverbiale spirito cooperativo dei vignaioli trentini, che hanno salvato questo patrimonio dall’estinzione, gli appassionati ed i comunicatori del vino possono oggi proseguire la loro missione per divulgarne la tradizione e continuare così a tutelarlo.

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