Tutto il mare e il sole della Sicilia in un “duetto” vinicolo imperdibile

Per avere un’idea immediata e d’impatto di che cosa sia il vino siciliano, AIS Milano ha pensato di servire in due soli calici una “spremutina” di sole e mare di Sicilia.

Giulia Cacopardo

Lo scorso 30 maggio il delegato AIS Hosam Eldin Abou Eleyoun ha presentato due verticali dell’azienda Duca di Salaparuta: Bianca di Valguarnera - Sicilia IGT in degustazione nelle annate 1997, 2007, 2010 e 2013 e Duca Enrico – Sicilia IGT nelle annate 1997 e 2010.

Di quanto sia ampio e ricco il panorama vitivinicolo dell’Isola, in più occasioni all’AIS ci siamo fatti un’idea, ma Bianca di Valguarnera e Duca Enrico sono un esempio talmente lampante di come il territorio “si faccia” vino da meritare una “lezione” a sé.

«Negli anni ’80, quando ancora in Sicilia si producevano prevalentemente vini di “serie B” – ha raccontato Francesco Miceli a capo del gruppo tecnico dell’azienda – Duca di Salaparuta scelse di realizzare due etichette che fossero rappresentative dell’ampelografia della Sicilia e del proprio stile». 

Hosam Eldin Abou EleyounDalla difficile e versatile inzolia coltivata ad alberello nella Sicilia occidentale, precisamente nella zona più ventilata della tenuta di Salemi, nacque nel 1987 il primo Bianca di Valguarnera. La tenuta di Salemi, situata nella valle del Belice in provincia di Trapani, è un territorio collinare che si affaccia sul mare. I terreni argilloso-calcarei, l’esposizione e la vicinanza al mare permettono al vitigno inzolia di esprimere al meglio la sua mineralità. 
«Quest’uva ha un profilo talmente unico, “mediterraneo”, che noi diciamo che l’inzolia sa di Sicilia e basta.» ha aggiunto Miceli. 
La particolarità di Bianca di Valguarnera è che è un bianco da invecchiamento; matura, infatti, a contatto con i lieviti circa 8 mesi in barrique nuove e affina altri 12 mesi in bottiglia. 
L’inzolia, affinata in legno, offre una grande opportunità: la longevità. I pregi di questo bianco da invecchiamento si esprimono in tutta la loro potenza specialmente nelle annate 2010 e 1997, considerate dall’azienda annate di riferimento grazie alle condizioni climatiche particolarmente favorevoli per la produzione. 
Il giallo dorato e cristallino e le note minerali, agrumate, tipiche della macchia mediterranea del 2010 virano in un color topazio e in note di miele, cognac, marmellata di agrumi e fiori secchi di camomilla nell’annata 1997.

Le annate 2010 e 1997 sono due annate di riferimento anche per il Duca Enrico. Primo nero d’Avola in purezza prodotto in Sicilia, Duca Enrico fu realizzato per la prima volta nel 1984 nel feudo Suor Marchesa, che prende il nome dalla contrada omonima nel Comune di Butera, in provincia di Caltanisetta. 
I relatoriIl nero d’Avola, vitigno ricco di antociani, ha bisogno di tutto il sole siciliano per esprimere al meglio morbidezza e concentrazione di colori e profumi. Ha precisato Miceli: «i rossi siciliani più che la profondità devono cercare l’eleganza, la finezza». 
Per raggiungere quest’obiettivo, l’azienda Duca di Salaparuta scelse l’entroterra dell’isola: le colline di Riesi sono calde, asciutte e ventilate e quindi particolarmente adatte alla produzione di nero d’Avola. Duca Enrico viene affinato almeno 18 mesi in fusti di rovere francese, durante i quali acquisisce complessità e longevità e altri 18 mesi in bottiglia a temperatura controllata. 

Correttamente conservato in cantina, possiede una longevità di oltre 10 anni. «Se nell’annata 2010 si sente ancora un frutto “croccante” di ciliegia, di marasca, di melograno – ha spiegato il nostro Delegato - nell’annata 1997, prevalgono note di caffè, di cioccolato, d’inchiostro e di arancia sanguinella: l’annata ’97 esprime a pieno lo stile di Duca Enrico, con la sua morbidezza, la sua sapidità e un tannino perfettamente gestito, ritorna l’eleganza del 2010». 
Ha concluso la degustazione Francesco Miceli precisando: «l’azienda ha voluto proporre due vini che rappresentino la Sicilia, con la consapevolezza che i vini importanti si fanno solo con quello che ti dà il territorio»
Ancora una volta all’AIS ne abbiamo avuto la riprova.

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