Il Tokaji Eszencia

Racconti dalle delegazioni
18 novembre 2008

Il Tokaji Eszencia

Il viaggio alla scoperta del mitico vino ungherese, protagonista di una serata organizzata da Ais Cremona, condotta da Beppe Frigerio...

Marco Morlotti

Ricordare tutti i posti dove sono state effettuate le degustazioni di volta in volta proposte dalla Delegazione provinciale di Cremona dell’A. I. S. è veramente cosa ardua, tanti sono. Ma dire quale sia il luogo dove più di ogni altro ci siamo ritrovati, con un bicchiere in mano, a discutere di vino con i vari soci, questo è sicuramente più facile: il Ponte di Rialto in quel di Crema. Questa è per certi versi la “casa” della nostra delegazione, una specie di sede storica. E dove, se non qui, potevamo trovarci per ascoltare questa storia e per assaporare questi vini, soprattutto uno di questi vini, un vino che nel secolo scorso è stato prodotto solo due volte, nel 1907 e nel 1993. In quest’ultimo caso ne sono state prodotte solo 300 bottiglie, tre delle quali sono qui davanti ai nostri occhi pronte a concedersi in tutto il loro splendore. Un magia di ambra liquefatta. Stiamo parlando del Tokaji Eszencia. Ma non precorriamo i tempi, una cosa per volta. Cominciamo col presentare chi ci accompagnerà in questo viaggio che parte intorno alla metà dello scorso millennio: Beppe Frigerio. Lui è un vecchio amico della nostra delegazione, un personaggio a tutto tondo che in camicia rossa e bretelle è pronto ancora una volta ad incantarci con le sue parole. Ci racconterà soprattutto del Tokaji Aszú, la cui produzione copre circa il 10% di tutta la produzione di Tokaji, ma la cui fama ha finito per oscurare tutti gli altri vini della zona. Tutto ha inizio intorno al 1650 in un angolo di Ungheria incuneato tra Slovacchia, Ucraina e Romania, quasi ai piedi dei Carpazi. Qui alla confluenza dei fiumi Bodrog e Tisza c’era, e c’è ancora, una cittadina il cui nome appartiene ormai a buon diritto alla storia del vino: Tokaj (così si scrive il nome della città, mentre il vino si scrive tocaji). Beppe ci segnala che siamo alla stessa latitudine di Colmar e quindi dell’Alsazia. Il clima è continentale, ma qui è influenzato dalla confluenza dei due fiumi che abbiamo menzionato prima. In conseguenza della diversa temperatura delle loro acque si sviluppa, nel periodo più opportuno, una nebbia mattutina che favorisce lo sviluppo della botrytis cinerea sugli acini. E qui scatta immediato il collegamento con la zona del Sauternes. Vi ricordate il Ciron che si getta nella Gironda? Tutto ha inizio intorno al 1650, anche se qui la viticoltura ha radici decisamente più antiche. Un primo impulso le fu dato dall’arrivo nel medioevo di viticultori valloni, ma soprattutto italiani. Furmint soprattutto, ma anche Hárslevelü e Muscat Lunel sono i vitigni che maggiormente hanno preso piede nella zona. Quest’ultimo è di chiara origine italiana, infatti come suggerisce Beppe Frigerio, altro non è che il moscato d’Alessandria o zibibbo. Ma cosa accadde in quel 1650? Si narra che a curare le anime e le vigne di questa zona ci fosse un prete, un tale Máté Szepsi Laczkó. Non è la prima volta che scopriamo l’importante presenza di un prete, o meglio di un religioso, nella storia e nelle leggende legate al mondo del vino. Vi ricordate Dom Perignon? Ma all’ingegno per emergere serve ogni tanto anche un poco di fortuna. La fortuna, se così si può chiamarla, si presentò sottoforma di attacco delle milizie turche proprio nel momento in cui si doveva procedere alla vendemmia. Lui non lo sapeva ancora, ma non tutto il male viene per nuocere. Le vigne si svuotarono e gli uomini andarono ad affrontare il nemico. Una volta che il nemico fu sconfitto e cacciato si tornò nelle vigne per procedere alla vendemmia. Lo sconforto fu grande vedendo quegli acini ormai tutti avvizziti e ricoperti da una inguardabile muffetta grigiastra. Buttiamo via tutto e chi s’è visto s’è visto. Cedendo allo sconforto, questa fu probabilmente l’idea iniziale. Ma poi pensando probabilmente a tutto il lavoro fatto si disse: perché buttare via tutto? Facciamo questo vino e quel che viene, viene. E quel che venne lo scoprirono la primavera successiva, sembra in occasione delle celebrazioni pasquali. Il risultato fu talmente sorprendente che stupì tutti. Così inizia la storia questo grande vino e siamo circa duecento anni prima della produzione del Sauternes. Il tocaji di fatto è il vino muffato più antico del mondo. Questo vino ebbe un successo tale che lo portò su tutte le più nobili tavole d’Europa, arrivando al punto di influenzare anche scelte politiche pur di accaparrarsene la produzione. Grandi estimatori del tokaji furono lo Zar di Russia, il Re di Francia e la Casa Arburgica dove fu vino di corte fino all’inizio della prima Guerra Mondiale. Estimatori al punto che si deve proprio al Re di Francia Luigi XIV, la citazione tuttora riportata sulla bottiglia dell’Eszencia: Vinum regum, Rex vinorum (Re dei vini, Vino dei Re). Dopo la I° Guerra Mondiale, iniziò il declino. Tutto fu ridotto, come ci ricorda l’amico Frigerio, ad un vino di bassa lega un po’ ossidato e fortificato che veniva usato negli scambi commerciali, soprattutto gas, con i vicini paesi dell’area sovietica. E ci racconta anche di come molti italiani andassero da quelle parti con valigie piene di calze di nylon, laggiù probabilmente introvabili, per tornare con bottiglie di vino. Tutto questo durò più o meno fino al 1989, anno della caduta del muro di Berlino. Da lì in poi iniziò una nuova stagione per il Tokaji. Le vigne furono reimpiantate con metodi di allevamento più moderni (guyot) e grazie soprattutto a lungimiranti investimenti francesi e spagnoli questo vino è stato riportato al livello che più gli spetta. Vediamo a questo punto di capire come viene fatto questo vino, innanzi tutto partendo dalle uve. Come abbiamo già detto dietro molte grandi scoperte c’è a volte un piccola o grande dose di fortuna. Ma senza studio e lavoro comunque non si va da nessuna parte. Il nostro prete, incassato quello che la fortuna gli aveva regalato, cominciò a studiare le varie uve per vedere di trarre da queste il massimo risultato ottenibile. Guidati da Beppe scopriamo anche noi queste uve. Il Furmint fa ovviamente la parte del leone. La sua maturazione avviene intorno alla metà di settembre. È caratterizzata da una forte acidità, ma anche da una certa povertà di aromi. Il grappolo risulta piuttosto compatto e quindi tra gli acini gira poca aria; questo favorisce lo sviluppo della muffa nobile. Ecco perché fu proprio questa l’uva che si decise di fare appassire sulla pianta. L’Hárslevelü matura invece un poco più tardi, intorno alla prima settimana di ottobre. Decisamente più ricca di aromi, si presenta con un grappolo spargolo. Questo fa si che la botrytis cinerea attecchisca con maggiore fatica e per di più le uve fatichino a raggiungere un grado di appassimento elevato. E infine il Muscat Lunel che come abbiamo già avuto modo di dire altro non è che moscato d’Alessandria o zibibbo. Questa uva aromatica con buccia molto spessa a causa della sua maturazione tardiva non arriva all’appassimento (arrivano prima le gelate) e pertanto è utilizzata sono nei vini meno importanti. A questo punto, viste quali sono le uve con cui viene prodotto questo vino, andiamo a scoprire come viene fatto. Ma prima di cominciare cerchiamo di capire il significato di un paio di termini che ricorreranno più volte:

  • Aszú – (con questo termine si indicano gli acini appassiti (avvizziti) e colpiti dalla botrytis cinerea;

  • Puttonyos – si tratta di gerle o bigonce utilizzate per la vendemmia che fungono anche da unità di misura della capacità di circa 25 kg o 20 litri.

    Il nostro prete si rese probabilmente conto che se tutte le uve fossero state fatte appassire e ammuffire, i quantitativi di vino prodotti sarebbero stati ovviamente piuttosto esigui. Si provò allora a mischiare una pasta fatta con gli acini aszú ad un mosto/vino base. Il risultato fu eccellente e la pratica prosegue tuttora. Ma andiamo un poco più nel dettaglio. La vendemmia è fatta rigorosamente a mano e gli acini raccolti vengono posti nei puttonyos e periodicamente mescolati fino a formare una specie di pasta. Dopo alcuni giorni questa pasta viene aggiunta ad un mosto base semi appassito contenuto in botti da 136 litri prodotto con le uve precedentemente menzionate. La tipologia di vino che si otterrà è legata al numero di puttonyos pieni di acini aszú che vengono aggiunti al mosto base, normalmente da tre a sei. Dopo un breve periodo, che può variare da poche ore a due o tre giorni, il tutto viene pressato e messo a fermentare. La tagliente acidità del furmint viene ben equilibrata dalla dolcezza delle uve appassite dando così vita a dei vini straordinari. Questi vini vengono fatti maturare per almeno due anni in botti che si trovano in cantine scavate nel tufo. Qui in conseguenza della forte umidità presente si sviluppa una particolare muffa che è l’ideale per l’affinamento. A questo si aggiunge poi anche un anno di affinamento in bottiglia. Ma non finisce qui. Per effetto del loro stesso peso gli acini che si trovano nei puttonyos formano sul fondo di questi contenitori una specie di percolato che viene opportunamente raccolto e messo a fermentare in damigiane. Come dire: che nulla vada perduto. Questo nettare che ha un contenuto zuccherino di circa 650 grammi/litro ha una fermentazione molto lenta che può durare anche un paio di anni. Solo una parte degli zuccheri nel corso della fermentazione sarà trasformata in alcol e di fatto questo “vino” non raggiungerà mai gradazioni elevate. Prodotto solo con uve furmint conserva, oltre alla dolcezza una spiccata acidità accentuata anche dalla presenza sulle uve della Botrytis cinerea. Questo è il Tokaji Eszencia. È giunto finalmente il momento di assaggiare questi vini. Ne abbiamo cinque in degustazione.

  • HÉTSZŐLŐ TOKAJI FURMINT 2006 – gradazione alcolica 13%;

  • HÉTSZŐLŐ TOKAJI LATE HARVEST 2006 – g. a. 11,50%;

  • HÉTSZŐLŐ TOKAJI ASZÚ 3 PUTTONYOS – g. a. 12,50%;

  • HÉTSZŐLŐ TOKAJI ASZÚ 6 PUTTONYOS – g. a. 11%;

  • HÉTSZŐLŐ TOKAJI ESZENCIA 1993 – g. a. 7%



    Guidati dal nostro compagno di viaggio Beppe Frigerio, approcciamo il primo vino. Come si può facilmente intuire leggendo l’etichetta il Tokaji Furmint 2006 è prodotto con un solo tipo di uve. Si presenta con una bella veste giallo paglierino brillante, con leggeri riflessi verdognoli. Modesta carica aromatica e olfattiva. Al naso giungono leggere note di mela, ananas e banana acerba. Caldo per via di una evidente alcolicità e fresco per la spiccata acidità di queste uve. Buona rispondenza gusto olfattiva. In bocca ritroviamo le stessa note fruttate ma con una tonalità più matura. Il Tokaji Late Harvest 2006 comincia ad introdurci ad una storia diversa. Con il 50% di furmint e il 50% di hárslevelü provenienti da vendemmia tardiva si presenta con un’accattivante livrea giallo paglierino. Il mosto dal quale deriva questo vino è lo stesso che viene utilizzato per la produzione della maggior parte dei Tokaji Aszú. Troviamo sicuramente una maggiore complessità e persistenza e un perfetto equilibrio tra acidità, alcolicità e dolcezza. Ritroviamo la mela, l’ananas, la banana, ma con delle tonalità decisamente più mature. Entriamo ora nel mondo dei Tokaji Aszú. Il primo che ci viene proposto è un 3 puttonyos fatto con sole uve furmint. Nel bicchiere ci troviamo un liquido di un bel giallo dorato e brillante. Naso fine e pulito con sentori di frutta matura, uva sultanina, canditi. Cade un pochino al gusto. Non particolarmente lungo ma equilibrato Struttura non importantissima. Il secondo Aszú e decisamente più interessante. Sei puttonyos di “pura libidine” che si presentano con un bel colore giallo dorato (oro antico) con evidenti riflessi ambrati. Eccellente intensità olfattiva. Albicocca secca, mela secca, frutta candita, miele, banane: un trionfo. Grande rispondenza gusto/olfattiva e grandissimo equilibrio. E finalmente eccolo, il vino che da solo vale la serata: l’Eszencia. Il bicchiere è davanti a noi e cominciamo a scrutarlo. La prima impressione è di avere davanti agli occhi dell’ambra allo stato liquido che si concede alla vista con fiammeggianti bagliori dorati. Bellissimo. Un leggero e armonico movimento del bicchiere e ci presenta tutta la sua imponente consistenza. È il momento. Lo avviciniamo delicatamente al naso e veniamo letteralmente travolti da note fruttate e balsamiche, miele e uvetta e poi di nuovo canditi e frutta essiccata, soprattutto mela e albicocca. Un’esplosione. Quindi con uno schioccare di lingue il prezioso nettare viene portato alla bocca. Fine, elegante, molto equilibrato, ci comincia a raccontare tutta la storia che porta con sé, ci racconta la storia dell’Ungheria. A bientôt.
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