“Qui ci si accende, e la passione arde!” Cronaca di una serata tra bicchieri di Barbaresco

Racconti dalle delegazioni
07 febbraio 2009

“Qui ci si accende, e la passione arde!” Cronaca di una serata tra bicchieri di Barbaresco

In una sala gremita da circa 100 appassionati del buon vino si è svolta venerdì scorso, 6 febbraio, una interessante degustazione dal titolo “Il Barbaresco con Franco Ziliani”. A condurre la danza il noto giornalista bergamasco, in trasferta per la prima volta presso la Delegazione AIS Brescia.

Davide Bonassi

Un pizzico di emozione, quindi, subito vinta dalla profonda passione che Franco Ziliani, dichiaratosi nebbiolo-addicted, avrebbe messo nel raccontarci i Barbaresco che di lì a poco sarebbero scivolati nei nostri bicchieri, e poi nelle nostre avide gole. L’ouverture non poteva che essere un doveroso tributo ai caratteri peculiari del nebbiolo: un vitigno “non internazionale” per antonomasia, non ubiquitario, fortemente legato perciò a pochi e limitati terroir posti per lo più nella fascia subalpina del nord Italia, con la Langa sua heimat riconosciuta. Un vitigno che ama recitare da solista, desiderio assecondato dal disciplinare del Barbaresco DOCG, dove ne è previsto infatti l’utilizzo in purezza. Trasformato in vino il nebbiolo esige attenzione, curiosità e voglia di entrare letteralmente dentro il bicchiere. Solo così la complessità dei vini a cui dà origine, fatta di un aspetto olfattivo preminente, dinamico, mutevole, in cui il frutto non è tutto, e di una fase gustativa articolata tra tannicità, freschezza, note terrose e minerali, può essere colta e apprezzata fino in fondo. Il Barbaresco dovrebbe essere morbido, ma non dolce; con odor di mammola e vivace colore (da “Il Ghiottone Errante” di Paolo Monelli, 1935, recentemente ristampato dal TCI), risultato di una condizione pedoclimatica differente rispetto alla vicina area di produzione del Barolo, riguardo al quale, ad esempio, Flavio Colutta nel suo “Guida alle bottiglie d’Italia” edito nel 1972 per i tipi della Longanesi scrisse: “Il suo segreto sta nel terreno argilloso, che gli conferisce un particolare profumo di viola, nella favorevole esposizione e nell’altitudine limitata (da centocinquanta a duecentocinquanta metri).” Non deve essere considerato un fratello minore del Barolo, anzi, a leggere quanto scrisse Domizio Cavazza, già Direttore della Regia Scuola Enologica di Alba e fondatore nel lontano 1894 delle Cantine Sociali di Barbaresco, se ne coglie a pieno il valore, addirittura in competizione con le più alte punte qualitative della Francia enoica: “Ha la finezza del Bordeaux, le rare e distinte morbidezze del Borgogna, le tenerezze vellutate dei Macons, le giovanili e precoci generosità dei Beaujolais, le vaste ondate dei Côte-d’Or… e, come lo Château Margaux (!), è generoso senza dare al capo, rianima lo stomaco, lascia l’alito puro e la bocca fresca”.



Un po’ di numeri citati ad hoc nel corso della serata hanno aiutato a mettere a fuoco lo scenario langarolo. Da un lato l’areale del nebbiolo da Barbaresco insistente su tre comuni (Barbaresco, Neive e Treiso), per un totale di circa 700 ha, dall’altro la zona di produzione del Barolo, estesa per oltre 1.800 ha distribuiti in ben undici comuni. Il Barbaresco ha visto crescere l’estensione delle proprie vigne di ben 220 ha in poco più di dieci anni, ma soprattutto ha visto nel medesimo periodo incrementare di quasi l’80% il numero di bottiglie prodotte, passando dalle circa 2.000.000 del 1995 alle 3.700.000 del 2005. Le previsioni puntano a numeri ancora più alti. Forse qualche rischio in termini di tenuta qualitativa della denominazione è dietro l’angolo.



Il Barbaresco, dopo aver ambito a “baroleggiare”, torna oggi ad essere più aderente a quella che è la propria identità di vino gagliardo, generoso eppur sottile – un guanto di velluto che riveste un pugno di ferro (come ebbe a definirlo Paolo Monelli nel già citato “Il Ghiottone Errante”) – e capace di regalare un grande senso di benessere, di forza e di coraggio. Questo ritorno alle origini ci dona nuovamente dei Barbaresco splendidamente votati all’abbinamento con il cibo, “food friendly” come direbbero oltremanica. Ti viene voglia allora di correre a sfogliare “Il Vino Giusto” del compianto Gino Veronelli, edito per i tipi della Rizzoli nel 1971, e apprendere del felice matrimonio tra il Barbaresco, meglio di 3-4 anni e servito alla temperatura di 18°C, e le costolette di vitello alla bolognese o alla milanese o volendo pure alla valdostana.



La scelta dei vini proposti in degustazione è stata effettuata da Franco sulla base di criteri trasparenti e assolutamente condivisibili quali la piacevolezza, l’equilibrio, il rispetto della tradizione, pur con la giusta apertura mentale necessaria ad apprezzarne anche un’onesta rivisitazione e dulcis in fundo il prezzo abbordabile. Scoprirò solo più tardi che Mario Soldati nel suo “Vino al Vino”, resoconto di peregrinazioni lungo lo Stivale a caccia di vini monumentali, edito in più volumi nel corso degli anni Settanta, ebbe modo di assaggiare uno dei vini degustati nel corso della nostra serata: Barbaresco Asili della Cantina Bruno Giacosa… 1970! (sigh!)



Quattro vini hanno proposto le qualità dell’annata 2005: tannino più rigido dell’annata 2004, meno dolce e morbidezza, un’impronta più austera e abbottonata.

Quattro vini hanno invece proposto le qualità dell’annata 2004: annata di esemplare regolarità, generosa al punto da richiedere l’intervento in vigna con vendemmie verdi per gestirne la qualità finale.



Una serata che ha dimostrato come con il nebbiolo sia possibile dialogare, senza farsi intimorire dal blasone che i vini a cui dà origine a volte possono indurre. Il Barbaresco ha dimostrato di essere un ottimo ambasciatore contro il conformismo, la noia, l’apatia, la furbizia di tanti vini bevanda. PROSIT!



Post Scriptum: a conferma dell’importanza per il Barbaresco di una adeguata spina dorsale acidica, aspetto rimarcato giustamente da Franco Ziliani nel suo preambolo alla degustazione, sempre “saccheggiando” le emozioni provate da Paolo Monelli nel sorseggiarne dell’annata 1931, riporto: “Ma io mi lascio andare alla sforzante grazia del suo nerbo; penso come gli sta bene questo nome (Barbaresco, ndr) che evoca tempi di corruccio e di sdegni, fuste brigantesche per l’assolato mediterraneo, bagliore di armi, e grato posare dopo le armi.” Proprio un belle esempio di degustazione poetica, no? Chapeau!



NOTE DI DEGUSTAZIONE



BARBARESCO

Produttori del Barbaresco Barbaresco 2005 14,00% tit. alc.

Rosso rubino luminoso e di bella intensità. Ancora saldo nel colore, senza cedimenti sull’unghia del disco vinoso. Abbastanza consistente. Al naso nitido, complesso, elegante. Note di lampone, prugna, sottobosco, cuoio, pepe, rosa appassita e cacao. In bocca più verticale che largo. Fine, preciso, chiude con una nota terrosa.



Castello di Verduno Barbaresco Rabajà 2005 14,00% tit. alc.

Visivo da nebbiolo di classe. Naso ancora abbottonato, dominato in prima battuta da note minerali, terrose, speziate e sentori di pellame. In bocca componente tannica importante. Vino che va in larghezza, ampio, PAI lunga, finale privo di note amare o secche. Ancora sulla rampa di lancio.



Cortese Barbaresco Rabajà 2005 13,50% tit. alc.

Aspetto visivo più ricco cromaticamente dei due precedenti. Al naso evidenza di fruttato succoso, di sentori terrosi e minerali, di cacao. Fragrante e complesso. Bocca lineare, agile, acidità in bella mostra e tannino più sciolto del precedente Rabajà. Buona sapidità.



Azienda Agricola Falletto di Bruno Giacosa Asili 2005 14,00% tit. alc.

Colore inteso e profondo. Naso fine, oscillante tra fruttato integro e fragrante e note più scure tra il terroso e il minerale. In bocca assolutamente giovane ma non scontroso. Elegante, piacevole, con tannini dolci.



Cascina delle Rose Barbaresco Rio Sordo 2004 14,00% tit. alc.

Visivo lucente, vivo. All’olfatto spicca per fragranza, con rimandi a sentori di viola e sottobosco, intensità aromatica, piacevolezza. Tannino moderatamente sostenuto, ancora scontroso, PAI interessante supportata da buona freschezza. Finale di bocca coerente con l’impronta olfattiva.



Cascina Luisin Barbaresco Rabajà 2004 14,00% tit. alc.

Si presenta cupo e ricco di materia colorante. Al naso presenta già sentori terziari di cuoio, di pellame, grafite. In bocca verticale, dai tannini densi ancora da educare e un finale su note minerali.



NEIVE

Giacosa Fratelli Barbaresco Basarin Vigna Gian Matè 2004 13,50% tit. alc.

Colore concentrato, luminoso. Buona consistenza. Naso ricco di sentori fruttati, floreali, in specie viola, note di sottobosco, di speziatura e minerali. In bocca PAI lunga su note di goudron e tostato.



TREISO

Rizzi Barbaresco Boito 2004 14,00% tit. alc.

Visivo coerente con il vitigno. Al naso note di frutta sotto spirito, di rosa canina, di salmastro e minerali. In bocca ricco in struttura, invoca l’abbinamento con una preparazione adeguata.

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