Vini di Liguria - VinidAmare

Serata interregionale al Westin Palace di Milano: dalla Liguria i relatori Marco Rezzano, delegato AIS di La Spezia, e Antonello Maietta, vicepresidente nazionale AIS. In sala, dal Piemonte una delegazione di sommelier della sezione Vercelli e Valsesia e Guido Invernizzi, apprezzato relatore nonché commissario d'esame...

Susi Bonomi

Serata LiguriaSerata interregionale al Westin Palace di Milano: dalla Liguria i relatori Marco Rezzano, delegato AIS di La Spezia, e Antonello Maietta, vicepresidente nazionale AIS. In sala, dal Piemonte una delegazione di sommelier della sezione Vercelli e Valsesia e Guido Invernizzi, apprezzato relatore nonché commissario d'esame. Dalla Lombardia Beppe Casolo, vicepresidente ONAF (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggi); Luciano Merlini, vulcanico ed eclettico relatore, commissario d'esame, agronomo e consulente di successo; e infine tutti noi a garantire, come sempre, il tutto esaurito.

"Il pesto è una salsa fredda che è diventata il portabandiera della Liguria nel mondo. È la salsa più prodotta e imitata, ma solo in Liguria si detengono i segreti del successo". Comincia così Marco Rezzano, elogiando la preparazione che ha come ingrediente principale il basilico - dal greco "Basilikòn" o pianta dei re - erba aromatica pregiata per i suoi profumi e le proprietà medicinali. Il basilico che cresce in Liguria, con le sue sensazioni agrumate, ha caratteristiche aromatiche uniche che si ottengono solo in questa terra. La paternità del basilico migliore è contesa fra Pra, Celle Ligure, Sarzana... Comune denominatore è comunque la presenza del mare insieme al sistema d'allevamento, chiave vincente del prodotto finale. Nelle serre e nei campi all'aperto il terreno viene preparato alternando strati di sterco di cavallo e cotone per creare un ambiente asettico. I semi sono così fitti che ogni piantina deve combattere per crescere e, in questo contesto, sviluppandosi poco in altezza, riesce a concentrare l'aroma nelle sue piccole foglie.
Marco RezzanoIn Liguria la cultura delle salse fredde al mortaio ha origini antiche. I marinai genovesi, che stavano per mare lunghi periodi, portavano con sé aglio, acciughe salate e qualche erba aromatica, ingredienti che, pestati insieme, fornivano un ottimo condimento. Nel tempo si sono aggiunti altri elementi: il basilico, che comincia a comparire sulle tavole tra la fine del ‘700 e gli inizi dell'800; l'aglio, preferibilmente quello aromatico e dolce di Vessalico; i pinoli; il sale, che i liguri commercializzavano lungo le vie del sale, verso l'Emilia Romagna, da dove ritornavano con il formaggio e la farina per la preparazione della pasta; e, infine, il delicato olio, rigorosamente da olive taggiasche. Questi gli ingredienti di un buon pesto alla genovese.
Per prepararlo movenze e procedura sono importanti: si inizia a pestare nel mortaio l'aglio, per creare una matrice untuosa in grado di imprigionare i pinoli. Battendo vigorosamente si ottiene una crema a cui si aggiungono piccole foglie di basilico ben asciutte. Il movimento cambia: dalla rotazione del pestello contro le pareti del mortaio si estrae l'essenza aromatica e il tutto si colora di un bel verde smeraldo. È il sale grosso a mantenere la brillantezza dei colori. Amalgamando velocemente si aggiunge il formaggio, Parmigiano Reggiano e Pecorino Sardo e infine l'olio, in abbondanza.

Con l'acquolina in bocca, pervasi dal profumo che si diffonde in sala, la parola passa ad Antonello Maietta che ci accompagna alla scoperta della vitivinicoltura ligure attraverso la degustazione di cinque vini da vitigni tradizionali.
A causa delle limitate produzioni i vini liguri difficilmente si trovano al di fuori della regione. È una viticoltura difficile, "eroica": il territorio è compresso e la montagna arriva al mare troppo presto. La superficie vitata è esigua: 5000 ha coltivati prevalentemente con uve a bacca bianca anche se sta crescendo la percentuale dei vitigni a bacca nera. In Liguria, a differenza di altre zone d'Italia, non c'è stata la rincorsa all'utilizzo dei vitigni internazionali: la diffidenza del popolo ligure verso ciò che arriva dall'esterno preservato i vitigni autoctoni, vero patrimonio di queste terre. Dopo il progressivo abbandono del territorio, negli ultimi anni giovani vignaioli si stanno affacciando sul mercato scoprendo che si può vivere di viticoltura a patto di migliorare il profilo qualitativo dei prodotti. La produzione rimane comunque limitata: 160000 hl, il 50% dei quali è a denominazione d'origine.
In Liguria si possono identificare due filosofie produttive: la vinificazione dei vitigni in purezza adottata nella Riviera di Ponente e la pratica dell'uvaggio della Riviera di Levante. Se si considera che Toscana e Piemonte sono, rispettivamente, le due regioni confinanti, la ragione è evidente.
Per scoprire i vitigni tradizionali non resta altro che iniziare la degustazione dei vini.

PigatoRiviera Ligure di Ponente Pigato 2009 - Azienda Agricola Bio Vio
Il primo vino che incontriamo è un Pigato, stretto consanguineo del Vermentino. Le prime notizie storiche su questo vitigno risalgono alla fine del ‘700. L'elemento che contraddistingue il grappolo sono le piccole puntinature, color ruggine, che si trovano sulla buccia degli acini, in dialetto pighe, da cui l'origine del nome. Il territorio d'elezione di questo vitigno si colloca nell'area geografica che parte da Albenga e risale la Valle Arroscia fino ad Ortovero (SV) e Ranzo (IM). Curioso notare come il Pigato, coltivato in altre zone, perda le sue picchettature.
Il vino in degustazione, immediato e fresco, esprime una componente olfattiva in cui sono nitidi i richiami di erbe aromatiche, macchia mediterranea, incenso, frutta delicatamente matura. Al palato è fresco, sapido e vivace, connubio ideale di paste fresche, rigorosamente senza uova, condite con il pesto appena preparato.

VermentinoColli di Luni Vermentino "Vigneto Boboli" 2008 - Azienda Agricola Giacomelli
Già noto, il Vermentino a partire dal 1300 arriva in Liguria dalla Penisola. Il suo nome deriva dalla caratteristica del grappolo che, anche a maturazione piena, vira al verde. Nella regione è il vitigno più diffuso, coltivato un po' ovunque con risultati interessanti in entrambe le Riviere. I vitigni tradizionali della denominazione interregionale Colli di Luni sono in realtà Trebbiano, Malvasia e Sangiovese: il Vermentino, una scoperta relativamente recente. Il disciplinare che consente la produzione del vitigno in purezza risale al 1989: in precedenza era utilizzato sempre in associazione con altre varietà, per dare profumi ed eleganza, ma non il corredo acido, unico punto di debolezza. La città di Luni, nota fin dal tempo dei romani che la utilizzavano come porto per il trasporto dei pregiati marmi bianchi delle Alpi Apuani, ritorna in auge alla fine degli anni '60. Luigi Veronelli, alle prime esperienze del giornalismo enogastronomico, inviato da "Il Giorno" al seguito del Giro d'Italia con lo scopo di scoprire prodotti tipici e vini genuini lungo il percorso della gara, qui trova un ottimo vino prodotto a Castelnuovo Magra dal Generale Tognoni, medaglia d'oro del Sabotino e ultimo ferito della Grande Guerra: un Barbera con la denominazione Colli di Luni.
Il Vermentino in degustazione ha un bel colore giallo paglierino intenso. Al naso è complesso, con una nitida nota sapida e minerale, quasi di pietra focaia, che emergerà meglio con l'evoluzione. Frutta matura, buccia di cedro candito, fiori di ginestra delicatamente appassiti ed erbe aromatiche. In bocca la nota alcolica si sprigiona, seppur equilibrata dalla freschezza e dalla nota sapida. È un vino che meriterebbe di essere degustato un po' più in là nel tempo. Ottimo in abbinamento con i prodotti nobili del mare: dagli scampi all'aragosta.

OrmeascoOrmeasco di Pornassio 2009 - Cascina Nirasca
Il primo rosso che incontriamo è il Pornassio o Ormeasco di Pornassio DOC, da uve dell'omonimo vitigno Ormeasco, importato dal Piemonte a partire dal 1300. La zona di produzione, descritta magistralmente da Mario Soldati ne "Vino al vino", è situata interamente nella provincia di Imperia. L'Ormeasco altro non è che un Dolcetto piemontese, a raspo rosso, acclimatato nell'Alta Valle Arroscia in una fascia compresa fra i 450 e i 650 m di altitudine. Rispetto al Dolcetto Piemontese risulta più versatile e prodotto in 4-5 tipologie, fra le quali lo Sciac-Trà, vino rosato che riprende nel nome la metodologia di vinificazione, da Sciac = pigia e Trà = svina, in dialetto ligure.
Il vino in degustazione, rosso rubino con riflessi porpora, conferma la sua vivacità al naso, con note fruttate di lampone e floreali di rosa e violetta. Al palato ha una bella freschezza, con un lieve tannino che risulta ben amalgamato. Si abbina con formaggi freschi, salumi delicatamente stagionati, pollame e coniglio.

DolceacquaRossese di Dolceacqua "Galeae" 2008 - Azienda Agricola Kà Mancinè
Ci spostiamo di poco e andiamo a Dolceacqua (IM). Paesino bellissimo, attraversato dal torrente Nervia, è conosciuto per il famoso ponte a schiena d'asino ad un'unica campata e il castello dei Doria, roccaforte messa a difesa del territorio. Da secoli ha acclimatato il vitigno Rossese, presente solo in questa zona impervia, il cui nome deriva dalla trasposizione della parola roccese, da cui rossese = vino della roccia. Il Rossese di Dolceacqua è prodotto in Val Nervia e Valle Crosia, dando origine a due prodotti alquanto differenti. Più eleganti, fini e con minore struttura sono i vini della Val Nervia a cui fa capo Dolceacqua; più complessi e ricchi sono quelli della Valle Crosia, come il vino in degustazione. Ottenuto da un vigneto centenario, all'esame visivo si presenta con un colore rosso rubino discretamente trasparente. Al naso si percepisce un fruttato particolarmente maturo e un floreale appassito; lievemente speziato, caratteristica della varietà, ricorda liquirizia e cannella. In bocca è suntuoso, ricco, con un tannino mitigato da una nota alcolica importante. L'abbinamento gastronomico tradizionale è la capra con i fagioli. Ma non stupitevi se a Dolceacqua vi sarà offerto accompagnato da una preparazione dolce, la Michetta, piccola brioche vuota cosparsa di zucchero grezzo.

Bicchieri in salaCinque Terre Sciacchetrà 2007 - Azienda Agricola Luciano Capellini
Terminiamo la serata con un vino la cui produzione è estremamente limitata. Siamo nella Riviera Ligure di Levante: Bosco, Albarola e Vermentino sono i tre vitigni che compaiono nel disciplinare di produzione del Cinque Terre Sciacchetrà. Il Bosco, uva selvatica a bacca neutra tipica della zona, è insostituibile per fare grandi vini passiti, poiché ha il grappolo spargolo e la buccia compatta, prerogativa che la rende resistente alle malattie e alle muffe. L'Albarola, o Bianchetta genovese, conferisce al vino una bella acidità. Il Vermentino, infine dà profumi ed eleganza. Diverse sono le epoche di maturazione dei tre vitigni: solo coltivandole ad altimetrie differenti è possibile vendemmiarle contemporaneamente. Per ottenere questo pregiato vino passito la raccolta precoce delle migliori uve, ricoverate sui graticci ad appassire, all'ombra, conserva il corredo acido necessario per l'invecchiamento. Dopo circa tre mesi si pigiano le uve e si procede con la macerazione a contatto con le bucce per 2-3 settimane. Successivamente si diraspa e ha inizio una lunga fermentazione.
Lo Sciacchetrà in degustazione ha bel colore ambrato con riflessi dorati. Colpisce il naso, nitido di albicocca; fichi, noci, mandorle completano l'esame olfattivo dove ben presenti sono ancora le erbe aromatiche, rosmarino in primis. In bocca si percepisce una blanda astringenza: è il tannino estratto durante la macerazione che si fa sentire, ma non disturba questo vino che ha 14,5 % vol. di alcol e 120 g/l di zucchero. Abbinamento? Un pandolce genovese in versione estiva con tanta uvetta per un passito giovane; un pandolce tradizionale compatto per lo sciacchetrà più evoluto.

Fiorenzo Detti e Antonello Maietta

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