Pelago, una verticale dalle suggestioni marine

Racconti dalle delegazioni
06 novembre 2018

Pelago, una verticale dalle suggestioni marine

La storia di un grande blend italiano, il Pelago di Umani Ronchi, e la sua storia raccontata grazie a cinque annate: 2013, 2008, 2005, 2000, 1998

Alessio Di Paola

“…lampi di genio che aprono varchi, allargano prospettive, preparano l’avvenire…”

È da una serie di intuizioni che nasce uno dei vini di punta dell’azienda Umani Ronchi, il Pelago, che coniuga eleganza e morbidezza, rispettivamente dei vitigni internazionali cabernet sauvignon e merlot, con il carattere di un grande vitigno italiano, il Montepulciano d’Abruzzo.

Ma procediamo con ordine.

L’azienda, inizialmente una piccola realtà agricola sita nel comune di Cupramontana, nella zona del Verdicchio dei Castelli di Jesi, viene fondata nel 1957 da Gino Umani Ronchi.

In seguito Gino viene affiancato dal socio Roberto Bianchi che, nel 1968, con il genero Massimo Bernetti, rileva l’azienda e sposta la sede amministrativa a Osimo dove inaugura la nuova cantina dedicata alla produzione del Rosso Conero, mantenendo marchio originale e potenziando la vecchia cantina nella zona del Verdicchio.

Negli anni ‘80 i soci si avvalgono della consulenza enologica di Marco Monchiero che, per primo, ha l’idea di impiantare alcuni filari di cabernet sauvignon e merlot, vitigni con i quali era consentita la vinificazione a titolo sperimentale e che solo successivamente vennero introdotti nel disciplinare di produzione del vino Marche IGT.

Lungimiranza e obiettivi chiari, palesemente rivolti verso la produzione di qualità e al mercato estero, portano l’azienda ad acquisire appezzamenti anche in Abruzzo, più precisamente a Roseto degli Abruzzi, arrivando a un totale di 210 ettari vitati.

Negli anni ‘90 la gestione dell’azienda passa da Massimo Bernetti al figlio Michele e alla conduzione della cantina arriva Giacomo Tachis, il “papà” enologico di Sassicaia, Tignanello e Solaia che, dopo aver visitato la tenuta, si convince a lavorare per Umani Ronchi da… un grande risotto di pesce, gustato presso la baia di Portonovo nel Conero!

Da sinistra: Michele Bernetti, titolare di Umani Ronchi, Amalia Della Gatta e Francesca Provenzi

Dopo la vendemmia del 1994, a fronte di numerosi assaggi dei vini base, Tachis ha l’intuizione di creare il blend (45% montepulciano, 45% cabernet sauvignon e 10% merlot) che sarebbe diventato la ricetta di partenza di un grande vino, il cui carattere balsamico di eucalipto, di menta, di pino marittimo ispirò il nome Pelago dalla parola greca pélagos, mare aperto.

Un affinamento in barrique per circa 14 mesi, un riposo di un anno in bottiglia ed ecco che la prima annata di Pelago, la 1994, è finalmente pronta per il commercio. Proprio con questa annata, nel 1997 l’azienda partecipa all’International Wine Challenge di Londra organizzato dalla prestigiosa rivista Wine e il Pelago viene premiato come Miglior Novità, Miglior Rosso Italiano e, soprattutto, come Miglior Rosso del Mondo, collocandolo di diritto nell’olimpo dei vini e suscitando immediato interesse da parte del mercato internazionale e degli appassionati.

Tachis collabora con l’azienda fino al 2001 e a lui subentra, a partire dall’anno dopo, Beppe Caviola, tuttora enologo dell’azienda, che non apporta modifiche sostanziali al Pelago, ma pone una maggiore attenzione alle potenzialità di evoluzione nel tempo piuttosto che alla piacevolezza di beva più immediata. È questo il motivo per cui la verticale, come abbiamo avuto modo di verificare, non ha evidenziato differenze stilistiche nel vino ma, anzi, ha fornito le basi per un’interessante riflessione su come le diverse condizioni climatiche e le differenti età delle viti si sono riverberate nelle bottiglie.

Ad oggi Umani Ronchi è un’azienda solida, che esporta il 65% della produzione ed è un simbolo di eccellenza delle Marche nel mondo.

Ma eccoci finalmente alla degustazione.

Si parte con l’annata 2013 contraddistinta da condizioni climatiche pressoché perfette: una primavera abbastanza piovosa, estate asciutta e fresca e un autunno regolare permettono di svolgere la vendemmia nei tempi canonici per i tre vitigni. Il vino si offre dapprima austero con evidenti note speziate per poi svelare fragranze fruttate, note fungine e di liquirizia. Al palato arriva deciso, con una componente tannica elegante e un finale piacevolmente salino che invita a successivi assaggi.

Si passa al 2008, annata molto fresca. Dal calice affiorano suggestioni autunnali, evidenti note eteree e grande balsamicità. Seppur pronto e piacevole, appare più idoneo del Pelago 2013 al motto: «da scordare in cantina».

Le condizioni climatiche della vendemmia 2005, caratterizzate da un’estate calda, hanno portato il cabernet sauvignon a un eccezionale livello qualitativo per cui la percentuale di quest’ultimo, nell’assemblaggio di quell’anno, è leggermente maggiore. L’importanza dell’annata si rivela al naso con articolati intrecci olfattivi che virano tra pellame, anice, cassis, potpourri di fiori rossi e tabacco bruno. Al palato si palesa potente e vellutato, grazie a un tannino raffinato e a una ragguardevole freschezza che sfocia in un lungo e appagante finale mentolato… delizioso!

Giungiamo al Pelago 2000, una annata molto calda, il calice si permea di profumi vellutati di amarena sotto spirito, eucalipto, rimandi di tartufo e una forte sensazione agrumata tra arancia e chinotto. Al sorso è morbido e bilanciato, dalle peculiarità fruttate e dalle persistenze esperidate e balsamiche.

Eccoci all’ultimo vino della batteria, il 1998, annata fresca e particolarmente fortunata per il montepulciano. Anche in questo caso il bouquet è eterogeneo: prugna esiccata, muschio, malto e un’idea di legno portuale, da barca. Assaggiandolo, morbidezza ed equilibrio accompagnano il lungo finale dai risvolti marini.

«La barrique non è lo Chanel N°5 del vino» soleva rispondere Tachis a chi lo interpellava riguardo l’utilizzo del legno, ovvero la botte deve aiutare il vino a evolvere senza snaturarlo e in questa verticale ne abbiamo avuto ampia prova.

Vini distinti dall’ottima piacevolezza e di grande potenziale evolutivo, che in una tiepida serata milanese di inizio autunno, ci hanno fatto assaporare “il dolce naufragar in questo mare”.