I Degustatori di AIS Lombardia alla scoperta del Sannio

Degustatori AIS Lombardia
13 dicembre 2021

I Degustatori di AIS Lombardia alla scoperta del Sannio

Ha un sapore diverso, questa volta, l’incontro dei degustatori di AIS Lombardia. Si respira l’atmosfera di trepidante attesa che precede ogni partenza. Il vino nel bicchiere non sarà solo una preziosa occasione di confronto e crescita, ma diventerà la via per intraprendere un viaggio con destinazione il Sannio.

Alessandra Marras

Esistono diversi modi per viaggiare, noi lo faremo attraverso il racconto e la passione di Libero Rillo, presidente da più di 11 anni del Consorzio Tutela Vini del Sannio. Il suo sguardo diventerà il nostro e ci accompagnerà tra quei filari che ben conosce, ad ammirare il profilo gentile del Taburno, che la vite da sempre protegge e accoglie, a sentire il battito di un territorio in pieno fermento. 

Una crescita continua e costante che, per ambire a grandi risultati, richiede però impegno. Vocazione, passione e qualità, non sono sufficienti, servono consapevolezza e azione sinergica; è necessario pertanto definire una progettualità comune che della coesione faccia punto di forza. Ed è questa la direzione intrapresa dal Consorzio, conscio del ruolo sempre più importante che di anno in anno è portato ad assumere.
Il proposito è ambizioso, non si tratta semplicemente di coltivare la singola identità del Sannio, ma di evidenziarne il valore e le peculiarità fino a diventare, all’interno di un progetto globale che vede protagonisti anche gli altri consorzi campani, incentivo di sviluppo e traino per l’intera regione. La produzione della Campania infatti, pur avendo un ricchissimo patrimonio ampelografico e una indiscussa vocazione vinicola, si attesta intorno al milione scarso di ettolitri; un peso, a livello numerico, nettamente inferiore rispetto alle altre grandi regioni del vino italiane.

Il Sannio e le sue specificità

Ma perché il Sannio è una zona produttiva di grande qualità? Quali sono le caratteristiche che lo rendono unico? In terra sannita i filari si tingono dell’oro della falanghina e del rosso profondo dell’aglianico, attori principali della realtà vinicola locale, composta da 10.000 ettari vitati, una fetta cospicua soprattutto se letta in comparazione con l’intera superficie vitata della Campania che si aggira intorno ai 25.000 ettari. Tre le denominazioni di origine: Aglianico del Taburno DOCG, Falanghina del Sannio DOC e Sannio DOC. Il nostro itinerario passerà attraverso cinque batterie: le prime quattro dedicate alla falanghina e l’ultima all’aglianico. 

La centralità della Falanghina

La falanghina è una varietà di indubbio interesse, sta richiamando grande attenzione sia a livello nazionale che internazionale ed è forse quella che più di tutte riesce a esprimere nel calice il territorio sannita. Presente in tutte le denominazioni campane, nel basso Lazio, nel Molise, in Puglia e nel nord della Calabria, è nel Sannio che trova il suo luogo di elezione. Sebbene infatti sia sempre attuale la diatriba che vede contendersi il primato di origine di questo pregiato vitigno tra i Campi Flegrei e il comune beneventano di Bonea, inequivocabile è il dato che vede concentrarsi nel Sannio l’85% della produzione complessiva. 

La ragione della così ampia e crescente diffusione della falanghina è da ascrivere a diversi fattori. Dotata di ottima acidità e di un bel tenore zuccherino, risulta inoltre essere un vitigno particolarmente resistente. Il grappolo è di rado serrato consentendo un’areazione ideale che preserva gli acini da sgraditi marciumi; la buccia, spessa, da un lato protegge e dall’altro si trasforma in generosa sorgente di sostanze aromatiche e polifenoliche. L’aspetto che però più la distingue e rende appetibile è la grande attitudine alla versatilità. Con estrema armonia riesce a esprimersi sia in pianura che in montagna (fino a 700 m sul livello del mare!) e il suo profilo identitario si presta alle più disparate interpretazioni: passiti, spumanti, vini d’annata, vendemmie tardive e vini da lungo invecchiamento. 

Da sinistra: Luigi Bortolotti, Hosam Eldin, Libero Rillo

La falanghina, che l’incontro dei Degustatori di AIS Lombardia ha avuto la fortuna di analizzare in tutte le sfumature possibili, è al momento il catalizzatore di un grande fermento; fiera protagonista di una crescita che, per poter coglier al meglio i frutti di questa opportunità di affermazione in larga scala, deve essere accompagnata da un disegno comune che affidi alla ricerca dell’eccellenza qualitativa un ruolo sempre più centrale. Chiara è l’idea che la qualità debba, prima di tutto, passare attraverso una sempre più accurata e consapevole gestione della vigna e della cantina. Ampio lo spettro di azione: si va dal contenimento delle rese alle macerazioni a freddo per preservare al meglio la ricchezza sfaccettata del profilo aromatico, all’utilizzo del legno come puro strumento di valorizzazione e non come firma. Uno degli aspetti che l’esperienza diretta sul campo sembra già indicare è che la falanghina, per potersi giovare del contributo del legno e acquisire complessità senza snaturare le componenti olfattive che la caratterizzano, prediliga l’utilizzo dello stesso in fase fermentativa anziché in quella di maturazione. 

Specificità dei vitigni e saper fare dell’uomo non sono però sufficienti a completare il quadro interpretativo sulla tipicità del Sannio. Un altro aspetto essenziale e imprescindibile è sicuramente la variabilità dei suoli che lo contraddistingue. Impossibile ricondurre il territorio a un’unica matrice geologica; il panorama è composito e si evidenziano differenziazioni che inevitabilmente si rispecchiano nei vini. Il comune di Bonea, per esempio, dista in linea d’aria appena 25 km da Napoli, una posizione che nell’immediato deve far pensare alla presenza di una più marcata componente vulcanica riconducibile alla storica eruzione del Vesuvio. Non va però dimenticato che, parlando di Sannio, il legame con il Vesuvio è sempre riscontrabile, anche per zone più distanti che si trovano a non più di 40 km di distanza.  Spicca per eterogeneità dei terreni la Valle Telesina dove, anche in un lasso spaziale ristretto, è possibile riconoscere suoli calcarei, tufacei, silicei e ovviamente vulcanici.

Prima tappa - Falanghina del Sannio Spumante 

La falanghina, grazie alla spiccata acidità, si presta perfettamente alla produzione di vini base per la spumantizzazione. Nello specifico è stato rilevato come i vigneti a bassa quota, lungo il fiume, con le rese più alte, mostrino una maggiore predisposizione a tale vocazione rispetto a quelli di montagna, dove la conquista dell’ideale equilibrio tra acidità e zuccheri sembra essere più difficile da conseguire. Questa interpretazione del territorio lascia spazio a un’altra considerazione: la vocazione per la spumantistica non rappresenta unicamente una via espressiva del vitigno, ma diviene anche prezioso strumento di gestione della produzione. Con tutta probabilità infatti, quelle che si dimostrano essere uve perfette per le basi spumante, non riuscirebbero ad esprimersi altrettanto bene se utilizzate per la produzione di vini bianchi fermi. La trasformazione in spumanti contribuisce pertanto anche a evitare che prodotti non perfettamente coerenti con il target prefissato entrino sul mercato. I numeri stanno crescendo molto rapidamente ma, sebbene sia rintracciabile un’antica tradizione, di fatto la nuova pagina della spumantistica del Sannio ha un’origine molto recente, riconducibile ad appena una decina di anni fa; una gioventù che diventa apertura e slancio per ulteriori evoluzioni e approfondimenti. A oggi le bottiglie prodotte sono circa 1 milione e mezzo. 

I primi due campioni in degustazione sono ottenuti con il Metodo Charmat. All’assaggio si rivelano perfetti e coerenti interpreti del proprio ruolo. Piacevolissima e fresca la dinamica espressiva, fragrante e nitido il frutto. Non particolarmente lunga la PAI, ma assolutamente in linea con la tipologia.
Il terzo e quarto campione, entrambi Metodo Classico, propongono due diverse interpretazioni. Se il terzo mette in evidenza struttura e note evolutive, il quarto, arricchito in leggerezza da 48 mesi sui lieviti, si presenta elegante, pulito e ancora vivacemente dinamizzato da un piacevole alternarsi di frutta e fiori bianchi.

Seconda tappa - Falanghina del Sannio 2020

La falanghina d’annata è il vino d’ingresso, della quotidianità, non deve avere pretese di grande complessità e, proprio perché destinato a entrare nella vita di tutti giorni, è il più importante. Una tipologia che tendenzialmente non ricorre all’uso del legno e di freschezza e bevibilità fa la sua virtù. Positivo il costante trend di crescita che negli ultimi dieci anni l’ha vista passare dai 2 milioni e mezzo di bottiglie ai 6 milioni attuali.

Cosa aspettarsi? Un bel frutto che può assumere spontanei (non ascrivibili ai lieviti) sentori di banana, mela verde, pera, accompagnati da una rinfrescante vena balsamica che può ricordare il sambuco e talvolta il basilico.

In degustazione due territori: la valle Telesina e il Taburno.
Il primo e terzo campione ci portano in Valle Telesina, nell’ampia vallata solcata dal fiume Calore, sponda destra, la zona in cui si concentra la parte più cospicua della produzione e caratterizzata, come anticipato, da una interessante diversità di suoli. Attraversiamo una suggestiva strada lunga circa 30 km, in cui le viti, disposte su entrambi i lati della carreggiata, disegnano un percorso che gradatamente abbandona la pianura fino a raggiungere i monti.
Con il secondo e quarto campione ci spostiamo nell’area del Taburno, ma è bene evidenziare che qui, nei 13 comuni di pertinenza, la vite popola tutti i quattro versanti del rilievo, rendendo impossibile definire una singola connotazione che identifichi la peculiarità della sottozona. La variabilità che coinvolge esposizione, altitudine e matrice geologica induce a parlare di sfaccettature del Taburno, ciascuna caratterizzata da un diverso linguaggio espressivo.
Con il primo vino siamo nel cuore della Valle Telesina, a Castelvenere. Freschezza, bella espressività fruttata e floreale, buon equilibrio naso bocca con note di biancospino inseriscono questo vino, non particolarmente complesso, nella dimensione di piacevolezza e estrema bevibilità.

Il secondo campione per problemi imputabili alla bottiglia non viene preso in considerazione. Nel terzo campione torniamo in Valle Telesina nella zona di Guardia Sanframondi.  Torna la mela, ma questa volta il frutto si veste dei toni invernali del marrone. Un tocco di erbe aromatiche, una nota di glicine, e un lieve accento agrumato si integrano in un profilo in cui struttura e complessità sono più evidenti rispetto al primo campione; anche la sapidità risulta più incisiva.
Con il quarto campione ci spostiamo nel Taburno, nella zona di Bonea, il versante che maggiormente risente dell’influenza vulcanica. Vivida la frutta fresca mediata da un bel contributo sapido e un’acidità presente ma perfettamente integrata.

Terza e quarta tappa - Falanghina del Sannio cru e di più lungo affinamento

È il momento di degustare le selezioni aziendali. Diversi gli stili produttivi che variano da vini che fanno solo acciaio a vini che si avvalgono di un utilizzo del legno non invasivo. Qualunque sia lo stile, è qui che la falanghina affonda il fendente. Con qualche anno sulle spalle, infatti, questa varietà si esprime al meglio, aumenta la sua complessità, a dà origine a un vino più strutturato, più imponente, “più serio” commenta Libero Rillo. Un livello di eccellenza di immediata riconoscibilità prontamente rispecchiato da punteggi che senza fatica raggiungono e superano l’eccellenza. 

Si susseguono netti e definiti sentori di ginestra, biancospino, miele di acacia. Al palato risalta l’elegante complessità. La persistenza aromatica è infinita, sostenuta da una bella espressività minerale ottimamente coniugata con la freschezza. 
La falanghina evoluta rimane inconfondibile, non scambiabile con nessun altro vitigno. Ha dell’incredibile questa sua capacità di mantenere, in un contesto evolutivo, una splendida fragranza fruttata; un complesso gioco di equilibrio senza prevaricazione alcuna.
Libero Rillo sottolinea come diversi vini in degustazione si avvalgano del contributo di enologi di fama, a testimonianza dell’indiscusso potere di attrazione che ormai il territorio sannita esercita.

L’unanime constatazione della bellezza del terzo campione della quarta batteria, offre il pretesto per portare alla luce un altro argomento cruciale in evoluzione. Questo vino, ottenuto con uve raccolte con un lieve posticipo di vendemmia, viene classificato come “vendemmia tardiva”, fornendo un messaggio che in realtà può essere fuorviante e ingannevole. La necessità di conferire a questa tipologia una veste più consona ha indotto il Consorzio ad avviare una procedura di revisione del disciplinare al fine di introdurre, il prossimo anno, la dicitura Riserva, decisamente più appropriata e di più corretta chiarezza comunicativa. All’interno di questa nuova categoria i vini  dovranno prevedere un abbassamento delle rese al 65 anziché 70%, un titolo alcolometrico più elevato conseguito grazie ad una perfetta maturazione delle uve, una più sostenuta acidità. I campioni di queste due batterie rivelano profili diversi ma tutti estremamente interessanti. Si va dal vino di grande e opulento impatto più affine al gusto internazionale, al vino che di discrezione e levità fa la sua grandezza, una perfetta armonia che è ricca e complessa senza mai essere sopra le righe.

Quinta tappa - Aglianico del Taburno

Anche l’aglianico del Taburno è al centro di un nuovo progetto che mira a ottenere vini che siano pronti prima, senza in alcun modo lederne peculiarità ed espressività: tannino sostenuto, freschezza, tenore alcolico e concentrazione di frutto. Non si tratta di trovare scorciatoie ma di ottimizzare le fasi che dalla vigna portano alla cantina.

Cruciale si è dimostrata la gestione dei vinaccioli che, se non accompagnati a perfetta maturazione, possono incidere negativamente conferendo al vino un tannino dal retrogusto amaro. Utili si sono dimostrati in tal senso la raccolta dell’uva a piena maturazione fenolica, l’utilizzo del délestage, le pressature soffici, la riduzione dei tempi di macerazione e le fermentazioni a temperatura controllata. L’obiettivo è di offrire al consumatore un tannino presente ma di nobile espressione che, in sinergia con la vivida acidità del vitigno, diventi una preziosa risorsa anche ai fini dell’abbinamento cibo vino.

Il primo campione è un 2017, esprime bene l’aglianico ma viene un po’ a mancare l’armonia gusto olfattiva. Secondo campione, sempre 2017, ha una bellissima concentrazione fruttata, la gioventù si dimostra ancora un po’ scalpitante ma il profilo riesce già a donare un’accattivante complessità.  Il terzo, stesso enologo del secondo, è un 2015. Ha acquisito più aristocrazia, più eleganza; ha perso un po’ quella violenza fruttata, che è comunque un pregio nell’aglianico, in favore di una bella complessità terziaria, di una maggiore coerenza e di una rimarchevole persistenza rivestita di elegante sapidità.

Il quarto, un 2009, in formato magnum, incarna in maniera splendida l’evoluzione dell’aglianico nel tempo. Nonostante i dodici anni sulle spalle, ha una presenza tannica incisiva, ben definita, quasi graffiante ma perfettamente integrata con una profonda espressività di frutto nero, della mora selvatica, del mirtillo, e armonicamente coniugata con un ampio spettro di note terziarie e speziate. 

Si chiude qui il nostro itinerario alla scoperta dei vini del Sannio e se, come sosteneva Marcel Proust, “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”, noi oggi abbiamo tangibilmente viaggiato nella realtà vinicola sannita.

Photo Credit: Giuseppe Vallone