Vini Veri 2019. Vini e suggestioni di otto vignaioli

Esattamente un anno fa, sabato 6 aprile 2019, il gruppo dei degustatori di AIS Lombardia seguì un appassionante incontro a Cerea, durante l’annuale edizione di Vini Veri. Riviviamo quella giornata attraverso le storie e i vini di otto protagonisti, dandoci appuntamento all’edizione 2021

Anna Basile

La certificazione più grande è quella del vignaiolo che si assume la responsabilità di ciò che dice”. Queste le parole con cui Giampaolo Bea, presidente del consorzio Vini Veri, apriva l’incontro del 6 aprile 2019 con i degustatori lombardi, giunti a Cerea per un approfondimento sul vino biologico, biodinamico e naturale. 

Quest’anno l’emergenza Covid-19 ha reso obbligatorio l’annullamento di molte manifestazioni, tra cui anche Vini Veri, rimandata al 2021.  

Non vi raccontiamo semplicemente una degustazione: vogliamo dare voce a otto produttori, audaci difensori della natura, estimatori convinti delle sue imprevedibilità. Attraverso le loro storie e i loro vini ci parleranno di identità: valore ancora indiscutibile per il vino oppure parola vuota, vittima di mode e nuovi gusti? 

Il messaggio dei produttori del consorzio è apparso chiaro: il rispetto dei cicli della natura, la tutela della vigna e la materia prima – l’uva di origine – sono le sole condizioni che permettono di portare sulle tavole quei vini che racchiudono l’identità del territorio. L’identità nasce in vigna, e nessuna etichetta, per quanto veritiera, legalmente e scientificamente, potrà mai certificarla, “non siamo qui per valutare un’etichetta. Quello che ci preme valutare è la qualità”, spiega Hosam Eldyn Abou Eleyoum, presidente AIS Lombardia, dando il via alla degustazione. 

CATERINA GATTI, Bolle Bandite 2017

Non mi piace essere incasellata in una qualche categoria, quello che mi interessa è portare avanti un progetto di etica. Non bado al dio denaro, io. Quando mi sveglio la mattina voglio potermi dire: forse sono un po’ pazza, ma qualcosa di buono voglio provare a farlo”. Le parole di Carolina Gatti scatenano subito un applauso, come anche le sue Bolle Bandite: questo prosecco, da clone Balbi acino tondo, fa 9 mesi in vasche di cemento e rifermenta in bottiglia col mosto della stessa annata. Le belussere di Caterina si trovano su terreni argillosi “nella pianura bassa – aggiunge –, dove tutti credono che si possa coltivare solo mais”, su suoli ricchi di sedimenti che rendono questo prosecco un’esperienza gustativa sorprendente.

Aspetto opalescente, al naso svela dapprima note di agrumi e fiori di mandorlo, poi sentori di crosta di pane e pietra focaia. L’assaggio ricco, denso e cremoso, trova nella sapidità la sensazione predominante, anche se non manca la freschezza accompagnata da note agrumate. Persistente, dalla beva generosa e vivace, perfetto per accompagnare i piatti della zona, “con questo vino torniamo alla radice del prosecco – spiega Bortolotti – è questa la base di partenza, legata alla tradizione contadina. Bisogna recuperare la vera storia del prosecco”.

CANTINA NINNI, Poggio del Vescovo 2012

Vicino ai monti Martani, a 350 mslm, Gianluca Piernera, abbandonata la carriera da elettricista, ha piantato le sue vigne scegliendo una conduzione naturale: il vigneto è naturalmente inerbito, non si eseguono pratiche di diserbo né si concima, l’unico momento in cui la vite viene aiutata è durante la fase vegetativa, e solo con prodotti naturali. Così nasce il Poggio del vescovo, trebbiano spoletino in purezza, giallo paglierino vivace, al naso è intenso nelle sue note di fiori bianchi, nespole e nocciole. Non manca la mineralità che nell’assaggio si affianca alla freschezza e a piacevoli sensazioni di pesca gialla e agrume. La vigorosa struttura ingentilisce le durezze rendendo il vino molto piacevole. 

Il trebbiano spoletino, vitigno “contadino”, ha grandi potenzialità di invecchiamento e le vigne della cantina Ninni, posizionate su terreni marnosi, riescono a raccontare questo territorio. “Tra qualche mese i sentori vireranno verso note di tartufo”, spiega Gianluca e consiglia un abbinamento: “Assaggiatelo con l’uovo o con le fettuccine al tartufo”. 

PODERE LUISA, Amnesya 2016

Mughetto, albicocca secca e tabacco biondo: ecco i sentori che compongono il bouquet di Amnesya 2016 del Podere Luisa. Siamo a Montevarchi, nell’aretino, tra le colline, sui terreni tipici del Chianti, l’Amnesya è l’unico bianco dell’azienda, vocata ai rossi. Ma questo è un bianco che ha ragion d’essere perché da voce alla realtà contadina e genuina di chi lo produce: trebbiamo e malvasia, 20 giorni di macerazione, 18 mesi di affinamento in legno: “colore fantastico, vivacità cromatica ambrata, pur conservando toni luminosi – dice Bortolotti –, questo non è il solito vino, qui c’è la naturalità del prodotto contadino”. Arricchito da una succosità fruttata, un’ottima persistenza e una leggera resinosità, Amnesya ha una beva gradevole e un finale amaricante di arancia candita. 

Il nostro lavoro e le nostre conoscenze non oltrepasseranno mai quelle della natura”, ci spiega Beppe che sottolinea l’importanza per l’uomo di avere come unico, prezioso alleato proprio madre natura. “È l’identità contadina, la nostra identità, quella che troviamo in questi vini: un risultato che possiamo ottenere solo preservando il patrimonio di vigne che coltiviamo”.

DARIO PRINCIC, Jakot 2016 

Io sento solo l’uva e nient’altro, tutti i profumi che sentite voi io non li sento. Io sento l’uva”. Chi non conosce la ruspante sincerità di Dario Princic e lo “spirto guerrier ch’entro [gli] rugge”? Punto di riferimento per la produzione del Collio, Dario racconta il suo Jakot 2016, friulano in purezza, proveniente da vigne di quasi 60 anni, poste su terreni marnosi, ricchi di arenarie. Raccolta manuale delle uve e fermentazioni spontanee, “io lavoro solo così – spiega –, in modo naturale, da sempre: il vino segue i tempi e le regole della natura. Punto”. 

All’assaggio Jakot 2016 è esplosivo, un friulano esemplare, un po’ ribelle (se lo leggete al contrario Jakot diventa Tokaj, un gesto reazionario nei confronti di una querelle internazionale che ha permesso l’utilizzo del nome Tokaj solo per i vini dolci ungheresi), di grande personalità: un ventaglio odoroso che va dalla cremolada di arancia al miele di acacia, e ci delizia con sbuffi di pepe bianco, erbe officinali, fieno, cardamomo e zenzero. Potente l’assaggio, ricco e di ottima persistenza, Jakot fa una macerazione di circa 20 giorni, e prima dell'imbottigliamento affina in botti grandi per 30 mesi (“botti di rovere e acacia dei nostri boschi”, aggiunge Dario) e in acciaio per altri 3. Non ci sono solfiti aggiunti, né chiarificazioni e filtrazioni. “Questo vino va oltre le categorie a cui siamo abituati – commenta Bortolotti – i grandi friulani si esprimono così”. 

FATTORIE ROMEO DEL CASTELLO, Vigorosa 2018 

Vigorosa 2018 è il nostro rosato e, come tutti i nostri vini, rispecchia l’annata in cui nasce. Noi non possiamo far altro che accettare sempre quello che la natura decide di darci”. Il rosato da nerello mascalese delle Fattorie Romeo Del Castello nasce da una storica vigna ad alberello, miracolata dalla terribile eruzione dell’Etna del 1981 che ha distrutto 21 ettari della proprietà, “quando la colata lavica è arrivata di fronte a questa vigna, ha deviato il suo percorso – racconta Rosa oggi, infatti c’è un muro lavico di ben 10 metri”. Etna, 700 mslm, siamo giunti nei pressi di Randazzo, vicino al fiume Alcantara, qui Rosa e la sua famiglia hanno deciso di coltivare solo nerello mascalese, e Vigorosa è l’unico rosato che producono. Vestito da rosato, muscolatura da rosso, il bouquet di Vigorosa irrora note di lampone, pompelmo rosa, marasca, amarena e bouganville, “tutte piante che potete trovare in vigna”, mentre in bocca le fragranze fruttate di mela annurca e piccoli frutti rossi si affiancano a una piacevole mineralità. Fresco, esuberante e potente, è una bellissima espressione in rosé di nerello mascalese. 

LAIOLO REGININ, Da Sul 2016

Da Sul è il primo vino che io e mia moglie Anna abbiamo prodotto. Da generazioni la mia famiglia ha sempre fatto vino sfuso, noi abbiamo voluto fare un passo in più. Da Sul significa Da solo, senza l’aiuto di enologi, puntando tutto sul nostro progetto e sulla nostra idea di fare vino”. Paolo presenta così la sua Barbera D’Asti, un vino di carattere, nato da un vigneto centenario: “raccolgo e lavoro un frutto che è dolce, fresco e profumato, e la mia mano nel trasformarlo non deve variare quello che la natura ha fatto”.

Naso soggiogato da nuance di mora e mirtillo, frutti maturi e succosi, ravvivato poi da un’elegante speziatura. L’assaggio rivela un tannino vigoroso, degno di una barbera che esprime bene tutti i suoi valori, ritorni di frutti rossi, oltre a composta di prugne e cacao. Un alcol perfettamente integrato, non prepotente, nonostante il titolo alcolometrico di 14,5%, fa da supporto alle note fruttate, “perché solo un alcol che si svolge da zuccheri maturi è sempre dolce”, conclude Paolo.

I MANDORLI, Sangiovese 2012

La mia idea di proprietà della terra è prendersi cura di qualcosa che non può appartenerci mai completamente. La terra, in fondo, è un po’ di tutti”. Anche per Maddalena dell’azienda I Mandorli, il rapporto con la terra è legato inscindibilmente all’amore e al rispetto che si nutre per essa. Approdiamo a Suvereto, in provincia di Livorno, tra Bolgheri e Piombino, sulla cresta di una collina che ha il mare da una parte e le colline metallifere dall’altra, e assaggiamo un Sangiovese frutto della vendemmia 2012. “Vi ho portato in degustazione una delle annate peggiori che abbiamo avuto" annuncia Maddalena. Una provocazione che subito incuriosisce tutti e lentamente si scopre un vino che ha bisogno di tempo per aprirsi e rivelare le sue caratteristiche, “non è un vino largo, orizzontale, che punta sulle morbidezze, ma è un vino verticale, incentrato sulle durezze”. Molto legato al territorio, ricorda quasi un sangiovese di Montalcino con le sue note fruttate di marasca e prugna, i sentori lievemente ematici e un tocco salmastro. Come le persone, il vino non è subito pronto ad aprirsi, va atteso, e questo Sangiovese 2012 è sicuramente un ragazzo scontroso, un po’ solitario, che guarda con sospetto chi ha di fronte, soprattutto se ci si aspetta da lui comportamenti ben precisi. Ma se ci liberiamo dalle aspettative e riusciamo ad attendere, il ragazzo scontroso si trasforma in un giovane garbato e affabile. 

DI SALVO, Rosso Sicara 2016

Azienda storica fondata a inizio secolo dal nonno tornato dagli Stati Uniti, oggi Di Salvo produce vini nel pieno rispetto della natura, consapevole che così potrà esprimere al meglio l’identità del territorio. Rosso Sicara 2016, nero d’Avola in purezza, è la prima etichetta prodotta, e racconta bene il carattere della Sicilia. 

Rubino fitto, al naso svela sentori di frutti dolci ma ancora croccanti, prugna, mora e ribes, affiancati a nuance di viola e sbuffi di spezie, pepe nero e chiodi di garofano. L’assaggio è potente, dai lunghi ritorni fruttati, incredibilmente verticale, caratterizzato da una scia fresca e da quelle durezze più rare per un nero d’Avola che, di solito, rivela un animo più morbido e dolce. Perfetta la fusione delle note alcoliche con la fragranza del frutto. “In questo assaggio, come in tutti gli altri, ho ritrovato l’identità di territorio”: Sebastiano Baldinu chiude la degustazione che ha rivelato vini di piccoli produttori dalle grandi idee, coraggiosi e capaci di esprimere le vere caratteristiche della propria terra.