Champagne: l'evocativa sublimazione dell'essere vino

Un’altra degustazione fiore all’occhiello dell’edizione 2019 di Enozioni a Milano. Un viaggio in sei tappe, che a sorpresa sono diventate sette

Barbara Sgarzi

Sette champagne di grande classe che presentano similitudini e differenze: in comune, dosaggi tendenzialmente bassi, permanenza sui lieviti di molto superiore ai limiti di legge e massima attenzione alla produzione.

Le differenze, invece, ci hanno permesso di analizzare le diverse sfaccettature della Champagne: Millesimati e Non Vintage, vinificazione in legno e in acciaio, Blanc de Noirs, Blanc de Blancs e assemblaggi più classici. A guidarci, la competenza di Nicola Bonera, che fa volare il pomeriggio tra un assaggio e un aneddoto.

Iniziamo la nostra esplorazione degustando il De Sousa Mycorhize Extra Brut Grand Cru. Un Blanc de Blancs che proviene da una singola parcella coltivata in modo biodinamico. Puro vigneto, puro vitigno: uno chardonnay di Avize, non il più gessoso, ma comunque di profilo terroso, minerale e di buona potenza. Tra le altre note tecniche, Bonera ricorda l’uso del legno e il 25% di vin de reserve (utilizzo di vin de reserve perpetuel). Ci tuffiamo nel bicchiere per scoprire un naso sapido, addirittura salato, potente, dove le note terrose, saline e vegetali arrivano prima dell’essenza dello chardonnay. Elegante e leggero al naso, all’assaggio è ricco, potente, di splendida persistenza. «Lo definirei saporito, anzi, meglio, saporoso; ma l’ho detto una volta e mi hanno criticato perché non esiste», sorride Bonera.

E mentre attendiamo il responso dell’Accademia della Crusca per questo nuovo aggettivo, proseguiamo con il secondo vino, Ayala Cuvée Perle d’Ayala 2006 Brut. Finezza e leggerezza, questi i termini più usati da Ayala per descrivere i propri vini. Aggettivi che ritroviamo in questa bottiglia che arriva da un millesimo, il 2006, che ha regalato vini freschi e tesi. Dallo chardonnay in purezza del precedente passiamo all’80% di chardonnay e 20% di pinot nero. L’evoluzione importante si trova al naso, eccellente: note tostate, di fumo, di terra, donate allo chardonnay dal tempo. Uno champagne classico, senza fronzoli o zavorre; esattamente quello che ti aspetti quando degusti un vino di questo profilo e di questo invecchiamento. All’assaggio, la bocca è più leggera del precedente, manca il legno e arriva un piacevolissimo finale d’agrume e d’erbe. «Un vino che ti dà delle certezze», riassume Bonera.

Il nostro viaggio tra le mille sfaccettature della Champagne procede con un pinot meunier in purezza creato da un piccolo produttore. J.M. Goulard La Charme Brut, un blanc de noirs 100% pinot meunier proveniente dalla zona del Massif Saint Thierry, dove prevalgono appunto le uve rosse. Il pinot meunier, vinificato per il 60% in legno e con un dosaggio di 7 g/L, regala un vino generoso, rotondo, anche se oggettivamente più “corto” dei precedenti. Bel naso di miele per uno champagne di stile ossidativo, dove il legno si sente non tanto come aroma, quanto come evoluzione. Ma s’avverte anche la sapidità e, sotto la trama, una componente vegetale forte e speziata di radice, di anice stellato. La bocca è più semplice, tipica del meunier, con durata e persistenza inferiori rispetto ai primi due. «Oggettivamente, anche se oggi è lavorato meglio di un tempo, il meunier qualche limite ce l’ha sempre, anche in bottiglie riuscite come questa», nota Nicola Bonera.

La sorpresa di questa eccezionale degustazione è il vino in più portato dal nostro relatore: Maurice Grumier Les Plates Pierres 2008. E qui non ci si può esimere da un peana al millesimo 2008: «Una grandissima annata, uno degli champagne più buoni di sempre.» Il consiglio di Nicola Bonera? Comprate tutto quello che potete e conservatelo, non ve ne pentirete! Champagne assemblato da chardonnay al 20%, pinot nero 25% e pinot meunier 55%, provenienti da una singola parcella, dosaggio 3 g/L, con vinificazione in legno e malolattica svolta. Il naso è ricco e interessante, ma è la bocca a sorprendere: perfetta, succosa, rotonda, con ancora una bella freschezza. Il giudizio finale? «Da berne a secchiate», e tutta la sala annuisce con il relatore, trascinata dall’entusiasmo con il quale ci racconta questi vini eccellenti. Che procedono verso il gran finale degli ultimi tre.

La seconda parte della nostra degustazione inizia con Bollinger La Grande Année 2005 Brut. Annata carnosa, potente, quella del 2005; alcuni produttori l’hanno evitata, proprio per la sua potenza, altri l’hanno esaltata. Qui, come sempre, la mano sugli assemblaggi è eccezionale. Pinot nero 70%, chardonnay 30%, dosaggio 7 g/L. Nel calice troviamo, insieme, la freschezza e l’eleganza dello chardonnay e la speziatura del vino rosso. Non è uno champagne, è un viaggio, un’esperienza multisensoriale, perché dopo pochi minuti cambia completamente, rivelando nuove sfaccettature. «Gira come una giostra», nelle parole di Nicola Bonera, regalando sentori di foglia di vite, di castagno, d’alloro. Sensazioni quasi amarognole che si stemperano nella linfa, nel miele. La beva è proporzionata a una struttura così importante. È un vino che si degusta, si centellina con calma, o si accompagna a piatti di pesce ricchi e saporiti: rombo con salse, tranci di merluzzo in umido, suggerisce Bonera.

La penultima emozione di oggi arriva con Michel Furdyna Brut 1988, sboccatura 2013, per un’annata gloriosa. Siamo nell’Aube, dove trovare millesimi così maturi è raro, per cui aggiungiamo esperienza all’esperienza. Pinot nero 70%, chardonnay 30%, dosaggio 7 g/L. Colore oro caldo e un naso chiaramente ossidativo con sentori di cera e uve sovramature, che si aprono poi al muschio e al mandarino. Ma in bocca è ancora perfetto; fresco, delicato, agrumato, privo di alcun sentore metallico e con, intatti, il floreale e le erbe aromatiche. Splendida beva, con un agrume che torna piacevolmente nel finale. Un bellissimo spettro di evoluzione per una degustazione sorprendente.

L’ultimo vino, Charles Heidsieck 2006 Rosé, è anche l’occasione per ascoltare una piacevolissima mini-lezione su Charles Heidsieck, il primo a portare lo champagne negli Stati Uniti «praticamente porta a porta» e sul rosé in generale. La curiosità? Questo 2006 è stato messo in vendita prima dell’annata 2005. Rosé per assemblaggio, più di 100 mesi sui lieviti, circa il 60% di pinot nero, di cui un 10% vinificato in rosso, e il restante chardonnay. Uno dei rosé più buoni della Champagne, secondo la nostra guida d’eccezione nel mondo delle bollicine di Francia. Un vino di classe, con alla base un grande bianco, ma dove tornano, al naso e in bocca, percezioni e sensazioni da rosso: il ribes, l’arancia sanguinella, la granatina, immersi in sentori di fragolina di bosco e rosa, che persistono a lungo in bocca e nel bicchiere.