Cinema, vino, cibo. Incontri tematici e sensoriali. Prima parte

Racconti dalle delegazioni
28 febbraio 2022

Cinema, vino, cibo. Incontri tematici e sensoriali. Prima parte

Uomo dalla natura eclettica - florida penna enologica, documentarista, nonché docente e saggista di cinema -, Massimo Zanichelli ci invita a riconoscere quanto il vino sia vettore di esperienze sinestetiche con un viaggio eno-cinematografico in tre tappe permeato di visioni, profumi e sapori. La prima serata si è articolata attorno a tre batterie di vini (e che batterie!), spaziando dalla Francia all’Italia.

Florence Reydellet

Una leggenda chiamata Dom Pérignon

Con un linguaggio chiaro e diretto, Massimo Zanichelli avvia la serata raccontandoci le storie di due simboli dell’immaginario collettivo: lo Champagne Dom Pérignon, dal suo esordio nel 1936 come Cuvée de Prestige di Moët & Chandon alla sua progressiva assunzione a mito, e James Bond, protagonista di una leggendaria saga cinematografica, dal primissimo Licenza di uccidere (1962) all’ultimo No Time to Die(2021). Il parallelo eno-cinefilo non sbalordisce: entrambi incarnano, infatti, le aspirazioni umane di spensieratezza, lusso e divertimento. Non a caso i due s’incontrano, e anche più volte: in Licenza di uccidere, allorché lo scellerato Dr. No offre un Dom Pérignon del 1955 a 007, ricevendo una critica sul millesimo scelto, inferiore al 1953; in Goldfinger, quando Bond porge un Dom Pérignon 1953 all’avvenente Jill Masterson; o ancora in Thunderball, quando compare nuovamente un Dom Pérignon 1955.

Champagne vintage 2009 – Dom Pérignon
(chardonnay e pinot noir)
Così come 007, il Dom Pérignon Vintage è un vino che mette d’accordo tutti: non è cerebrale, non è concettuale. La versione 2009 sfoggia una veste di brillante giallo paglierino, vivacizzato da catenelle durature e sottili. Il corredo olfattivo sprigiona profumi intensi ed eleganti, dispiegando fragranti lieviti, frutta a polpa gialla (pesca), tiglio, erbe aromatiche e una lieve scia mielata, il tutto avvolto da soffusa freschezza. La gustativa è scorrevole e si fa apprezzare, più che per tensione o dinamismo, per succosità e pulizia. Bel finale dai rimandi agrumati. Tornano alla memoria le parole dell’ex Chef de Cave Richard Geoffroy: «più che la vigna è importante la visione». Frase emblematica del fascino di questo liquido.

Licenza di sedurre

Massimo ZanichelliNel 2006, spiega Massimo Zanichelli, la saga di Bond subisce la sua più notevole rottura. Il ventunesimo film, Casino Royale, funge da rebootdella serie avviata nel 1962 con Agente 007 – Licenza di uccidere: nel nuovo ciclo la storia viene ripresa dall’inizio e tutti i film sono collegati sul piano narrativo. Un passaggio epocale che combacia con l’azzeramento del personaggio: il nuovo Bond è rude e inesperto. Significativo al riguardo, l’incontro tra 007 e un giovanissimo Q alla National Gallery di Londra dinanzi al dipinto di William Turner, La valorosa Téméraire (1938-1939):

Q: «Dà sempre una certa malinconia. Una grandiosa nave da guerra trainata ingloriosamente alla demolizione. L’ineluttabilità del tempo, ti pare? Tu cosa vedi?»

007: «Tanta acqua e una barca.»

(Skyfall, 2012)

Un uomo più brutale, dunque, ma sicuramente più romantico. Un Bond che si innamora follemente, dapprima della procace Vesper Lynd (interpretata da Eva Green in Casino Royale) e poi dell’affascinante - giusto un filo proustiana - Madeleine Swann (interpretata da Léa Seydoux).

Tra tempo e presente (Il tempo e lo stile)

I reboot devono però fare i conti con tutto ciò che è venuto prima. In questo caso il passato è stato considerato identità preziosa da custodire per meglio abitare il presente. Gli ultimi cinque film della saga, infatti, sono intrisi di citazioni: basti pensare alla locandina di Spectre (2015) nella quale Daniel Craig omaggia l’iconico smoking bianco di Sean Connery in Goldfinger (1964), con tanto di garofano rosso all’occhiello.

Da Sean Connery a Daniel Craig, da Dom Pérignon a Bollinger: il cambiamento passa anche attraverso la scelta dei vini. Lo Champagne del primo Bond cinematografico fu, come detto, Dom Pérignon (sebbene nei romanzi di Ian Fleming compaiano anche quelli di Taittinger). La nuova serie rinnova il mito, «getta uno sguardo nuovo»: il personaggio è più complesso, e così il suo Champagne prediletto. Bollinger, apparso per la prima volta in Vivi e lascia morire del 1973, viene così pienamente confermato.

Champagne Extra Brut R.D. 2002 – Bollinger
(60% pinot noir, 40% chardonnay)
Ideato da Madame Lily Bollinger, l’R.D., Récemment Dégorgé, è una cuvée proposta in degustazione poco dopo la sboccatura: un vino per cultori. Palesa un dorato di grande eleganza nonché un perlage minutissimo e continuo. L’olfatto gioca sulla finezza: si esprime in primis con cenni floreali di biancospino e caprifoglio, mela golden e susina per poi virare su sentori di pastafrolla e una leggera nota ossidativa. Superbo al sorso, viene sorretto da un’ottima trama fresco-sapida, congedandosi su lunghi ricordi minerali: quel che avviene quando spontaneità e complessità si fondono in un tutt’uno.

Il vino come individualità

Dall’Inghilterra di Ian Fleming si passa alla Francia di Eric Rohmer. Si ode il vento. Lo si ode sull’erba, tra i filari e nei capelli arruffati di Magali, viticoltrice biologica della Valle del Rodano. Assieme all’amica Isabelle, riflette a voce alta circa la sensibilità rurale: «io non sfrutto la terra», dice lei, «la onoro». Un dialogo semplice eppure pregno di significato. La colonna sonora è solo il canto della natura, l’azione si svolge lentamente e ogni ripresa appare come un quadro impressionista. Racconto d’autunno (1998) è il capitolo conclusivo del ciclo delle quattro stagioni di Eric Rohmer, uno dei maggiori esponenti della Nouvelle Vague. Una poetica, la sua, dedicata alla riflessione sulla natura antropizzata e alla difesa della biodiversità, che impressiona per modernità. Il dibattito su pesticidi, solforosa, filtrazioni, enzimi - e così a elencare - è diventato mainstream solo in tempi più recenti. «I diserbanti alterano il gusto del vino», dice Magali. «I diserbanti alterano l’individualità del vino», aggiunge Massimo Zanichelli.

Côtes du Rhône-Villages Cairanne 2019 - Domaine Marcel Richaud
Siamo nella parte Sud della Valle del Rodano, in una piccola appelation che di nome fa Cairanne. Così come le vigne di Magali, il vigneto di Marcel Richaud viene condotto con rispetto degli equilibri ambientali. Il suo Côtes du Rhône-Villages 2019 mette i brividi. Profuma di tapenade (un vero e proprio rigoglio di oliva nera), erbe aromatiche, china calisaya ed elementi ematici. Palato pieno quanto agile, dalla tannicità dirompente e incisivo. Splendido l’allungo in un afflato sapido. Lui è un vino «naturale», un vino «individuale».

I viniIn una logica prosecuzione, ecco allora che visioniamo alcune scene di Mondovino, il documentario diretto da Jonathan Nossiter, presentato in concorso al Festival di Cannes nel 2004. Un’opera politica che radiografa i misfatti della globalizzazione del vino, contrapponendo interviste ad alcuni giganti dell’industria e a piccoli vignaioli sparsi per il mondo. Due visioni antitetiche: da un lato lo svilimento del concetto di terroir a favore dell’omologazione dei vini; dall’altro, la ricerca della massima espressività di un luogo vivente attraverso la resistenza del vignaiolo rispettoso. Fra di essi, Hubert de Monville - assieme ai figli Etienne e Alix - vignaioli artigiani della Côte de Beaune, convertiti alla biodinamica da più di una dozzina d’anni. Virtuosi esempi di una vitivinicoltura non invasiva e naturale, esaltano la necessità della trasmissione dei saperi di generazione in generazione. La tradizione si consacra allora come patrimonio culturale.

Volnay Premier Cru Les Taillepieds 2017 - De Montille
«[…] può dirsi che il terroir del Taille Pieds sia uno di quelli atti ai rossi più “minerali” ed affilati della Borgogna intera» scrive Armando Castagno nel suo portentoso Borgogna: le vigne della Côte d’Or. Nella versione 2017, il Volnay Premier Cru Les Taillepieds di De Montille è un vino di grande razza, dai profumi impeccabilmente varietali - con i frutti rossi e la rosa a primeggiare - e note più crepuscolari che tendono verso rifiniture balsamico-speziate. Palato tenacemente tannico, di estrema integrità minerale e finissimo nella chiosa. Un vino persistente, lungo, che non si allarga; un grande Volnay da cui emerge chiaro lo spessore del vitigno e la personalità di chi lo ha plasmato.

Una finestra sul mondo

Concludiamo la serata con la visione di alcune scene di Sideways – In viaggio con Jack, film di culto diretto da Alexander Payne nel 2004. Miles (geniale l’interpretazione di Paul Giamatti) è un professore di lettere divorziato e un romanziere mancato, animato da una folle passione per il vino. Pur depresso, parte per una settimana in giro fra le vigne della Santa Ynez Valley (California) assieme all’amico Jack, strampalato attore televisivo in procinto di convolare, senza convinzione, a nozze. Il vino fa dunque da filo conduttore al film. Tuttavia, non è un film sul vino, rammenta Massimo Zanichelli. I due amici intraprendono un viaggio di evasione, per dimenticare la loro incapacità di vivere: entrambi dovranno percorrere una lunga strada prima di intravedere la luce, prima di intravedere una finestra sul mondo. E qui non ci si può esimere dal citare Robert Musil (L’uomo senza qualità): «Chi voglia varcare senza inconvenienti una porta aperta deve tener presente che gli stipiti sono duri.»

Nel corso del film vengono citati molti vini, fra i quali un Sassicaia 1988 e un Cheval Blanc 1961, che Miles avrebbe desiderato stappare in occasione dei dieci anni di matrimonio e che si ritrova invece a bere da solo in un fast food, per giunta in un bicchiere di carta, accompagnandolo con un hamburger.

Bolgheri Sassicaia DOC Sassicaia 2018 - Tenuta San Guido
«Un bouquet fitto di scontrosa eleganza». Così definì il Sassicaia 1968 Luigi Veronelli, recensendolo nel 1974 per il settimanale Panorama. Oggi questo vino, uno dei più grandi rossi d’Italia, una sorta di titolo in Borsa che ha scritto la storia dell’enologia del Belpaese, gode di una denominazione esclusivamente riservata a sé. Dentro di lui è luce e pienezza: alloro (contrassegno dei grandi rossi toscani), sottobosco, pepe. In bocca il tannino è scalpitante, l’acidità gemmea; vi è il dinamismo, vi è la lunghezza. Ineffabile.

St. Émilion Château Cheval Blanc 1er Grand Cru Classé "A" 2007 - Château Cheval Blanc
Erbe, pepe macinato, china sono le prime note di uno spettro aromatico guizzante, tutto informato a un sentimento balsamico. Lo sviluppo è a dir poco articolatissimo, teso, con un tannino di estrazione micrometrica e una lunghezza inesausta.

È mezzanotte. Un’esperienza edonistica ed estetica, una illuminante lectio magistralis, ha lasciato affiorare l’immagine di un uomo fonte di cultura inusitata. L’indomani ha scritto da qualche parte, sul web: «Ieri, una serata speciale che non dimenticherò.» Neanche noi la dimenticheremo, Massimo.