L’incontro con Col D’Orcia

Una entusiasmante verticale di Brunello di Montalcino e la possibilità di conoscere da vicino le peculiarità di un territorio di grande prestigio insieme a Santiago Marone Cinzano

Nadia Giroldi

Biologici da 10 anni, Col d’Orcia rappresenta la prima cantina toscana per estensione di vigneti completamente coltivati secondo i dettami dell’agricoltura biologica. Un nome di riferimento all’interno della denominazione di Montalcino, con vigne posizionate nell’areale sud di questo territorio: 540 ettari di proprietà, 150 dei quali vitati e coltivati in un contesto territoriale particolarmente favorevole, con un microclima protetto dal Monte Amiata e mitigato dalle brezze marine provenienti dal Tirreno.

La serata organizzata da AIS Mantova ha visto succedersi al tavolo due batterie che hanno consentito ai presenti di avere un'approfondita conoscenza della produzione complessiva di Col d’Orcia. Se la prima batteria aveva come protagonisti vini di ottimo livello, molti dei quali in formato magnum, come il Vermentino 2021, il Rosso di Montalcino 2020, il Brunello di Montalcino Nastagio 2016 e i due supertuscans – Nearco 2017 e Olmaia 2013 – prodotti sotto il cappello della Doc Sant’Antimo, la seconda ha davvero stupito i presenti con una progressione di annate davvero entusiasmante, a partire dal Rosso di Montalcino 2011 in formato Jeroboam e proseguita con una verticale di Brunello, ancora in formato Magnum, delle annate 2017, 2014, 2013, 1999 e 1997.

La serata ha visto la presenza di Giammichele Grieco, direttore commerciale Italia, e quella di Santiago Marone Cinzano, figlio del proprietario, il Conte Francesco Marone Cinzano. «Prima dell’ acquisto della tenuta da parte del nonno, la mia famiglia non è mai stata proprietaria di vigneti» ha spiegato il giovane Santiago che, nonostante la giovane età, è già operativo all'interno dell'azienda con ruoli di responsabilità. «La Cinzano non produceva vino, ma ha sempre acquistato uve, erbe aromatiche e quanto le serviva per la su produzione interna. Mio nonno, nel 1973, si innamorò di Montalcino e acquistò Col d’Orcia trasferendo a mio padre prima, ed ora a me, la passione per la coltivazione dell’uva e la produzione di un vino che sappia esprimere il meglio del nostro territorio».

Da sinistra: Santiago Marone Cinzano e Luigi BortolottiLa decisione di convertire tutta la produzione viticola al biologico è avvenuta nel 2010 e ha coinvolto anche oliveti, seminativi, e persino il parco ed i giardini. Una scelta, come ha sottolineato Santiago, favorita anche dalle caratteristiche pedoclimatiche di questo areale e della presenza di una grande biodiversità, pur essendo comunque fondamentale avere una ferrea volontà all’interno dell’azienda per superare i tanti problemi che la coltivazione biologica costringe ad affrontare.

I vini di Col d’Orcia sono esportati in molti Paesi nel mondo e, secondo Santiago, in generale sul mercato mondiale il vino italiano sta vivendo un momento particolarmente positivo, sebbene non sia facile comunicare l’incredibile quantità e varietà di vini presenti in Italia. In prospettiva, ha concluso il giovane proprietario di Col d’Orcia, occorrerà comunicare il patrimonio vitivinicolo italiano attraverso modalità che sappiano stimolare gli appassionati di tutto il mondo alla conoscenza delle diversità presenti lungo tutto lo Stivale.