Le chiaroscurali Langhe e la luminosità del Barolo

Sette interpretazioni di un grande vino italiano in un’ora e mezza: parlare di Barolo, con tempi incalzanti e assaggi di tal portata, è cosa nient’affatto semplice. Enozioni 2020 e Armando Castagno lo hanno reso non solo possibile, ma anche emozionante.

Giuseppe Vallone

Armando Castagno apre il seminario dedicato al Barolo con un disclaimer, anzi, con un vero e proprio avvertimento: che non si pensi si possa parlare di uno dei più grandi vini italiani in soli novanta minuti! La platea, che occupa la piccola sala, guarda il Relatore con uno sguardo che è – al contempo – di comprensione e di sfida. Certo che non si può fare, nessuno si aspetta che sia possibile farlo, ma se c’è qualcuno che può farlo, beh quello è proprio Armando Castagno.

Ecco dunque che ha il via una masterclass intensa, sincopata, dal ritmo accelerato eppure chiara e densa di preziose informazioni. Armando cerca di fornirci qualche accenno funzionale alla degustazione che verrà di lì a poco; in effetti non c’è tempo né modo di parlare in lungo e in largo di denominazione, Comuni, zone, MGA, composizione dei terreni.


Il relatoreVero colpo di genio è la cartina, rigorosamente fatta a mano e di una fedeltà degna di un cartografo, che Armando svela da sotto il blocco di fogli per lavagna che ha alla sua destra: è la rappresentazione dell’area della DOCG comprendente gli undici Comuni dove è consentito produrre Barolo. Sarà punto di inizio e di costante ritorno durante tutta la lezione.

Ciò che Armando tiene a comunicare sono alcuni concetti a volte sottovalutati.

In primis, il Barolo è uno dei pochissimi casi in Italia di denominazione che impone un vitigno in purezza; ciò sta a significare, su tutto, che come tale accetta i rischi del nebbiolo, un vitigno dal lungo ciclo vegetativo (precoce nel germogliamento e nella fioritura, tardivo invece nella maturazione) e che esige una perfetta maturazione polifenolica, con ciò che questo comporta in termini di maggiore esposizione alle incostanze metereologiche.

In secondo luogo, il cambiamento climatico ha portato a una diversa gerarchia dei vigneti. Facendo l’esempio di Cannubi, collina di sabbia finissima posta a est di Barolo, Armando ci spiega che la sua fama – risalente al XIX secolo quando era capace di esprimere annate straordinarie anche in condizioni difficili – oggi non sta sempre al passo con il glorioso passato e, come altri grandi areali “tradizionali”, soffre l’aumento dell’alcolicità dei vini che se ne ricavano, con conseguente incidenza sulla finezza degli stessi.

Per contro, vigne che storicamente era poco considerate – ad esempio quelle poste a un’altimetria superiore ai 400 m s.l.m. – oggi hanno acquistato un notevole valore fondiario, proprio perché più capaci di restituire vini di una certa eleganza, proporzione e complessità date le mutate condizioni macro e microclimatiche.


Ia salaAncora, Armando ci offre una breve disamina dei Comuni che hanno dato, e danno tutt’oggi, dei grandi Barolo: Verduno, La Morra, Barolo, Novello e Cherasco, posti tutti sulla marna di Sant’Agata Fossili - composta da argilla e calcare – che con il suo pH alcalino esalta la potenza espressiva del vino, che si presenta solitamente più morbido, fine e lieve, di minore austerità ma dalla «sconcertante longevità». Poi Castiglione Falletto, che sorge sull’arenaria di Diano d’Alba, composta da sabbie compattate che rendono i suoi vini un perfetto connubio di carisma, autorevolezza ed eleganza. Infine Serralunga d’Alba, posta su strati casuali intervallati a formazioni di Lequio: qui il Barolo non scende a compromessi, ha grande compattezza e un’alcolicità pronunciata; il tannino può a volte apparire “sgarbato” in gioventù, l’austerità è incrollabile, la persistenza rimbombante e il magnetismo unico.

Da ultimo, Armando tiene a sottolineare la differenza lessicale che intercorre tra “tradizionale” e “classico”, per meglio consentirci di inquadrare i vini ormai prossimi all’assaggio. Il termine “tradizionale” porta con sé un senso di acriticità, rimanda a protocolli ripetuti costantemente nel tempo. D’altro canto, invece, “classico” si pone a un livello superiore, costituisce esempio indiscusso e indiscutibile. La distinzione è importante perché i Barolo che spesso sentiamo qualificare come “tradizionali”, in opposizione a uno stile “più innovativo”, sono invece da considerarsi “classici”, da prendere dunque come modelli di riferimento.

Barolo DOCG Cannubi 2014 – Comm. G. Burlotto
Il primo Barolo che degustiamo non ha conosciuto diraspatura, i lieviti non sono stati inoculati, ha fatto tre mesi di macerazione sulle bucce e poi affinamento in botti grandi.
Il 2014 è stato tutt’altro che facile ma il vigneto, con piante di oltre 50 anni, è vocato e capace di tener testa ad annate come questa.
Al naso, a riprova di quanto sopra, il frutto baccaceo è luminoso, c’è tanta florealità, dalla viola alla lavanda, «sembra di entrare in erboristeria», finezza superlativa.
In bocca ha un bel fiato e forza alcolica, il tannino è di buccia, «sembra di mangiare l’uva», è un esempio di compostezza.


I tappiBarolo DOCG Ravera 2013 - Réva
Fondata nel 2012 da Miroslav Lekes e condotta dall’enologo Gianluca Colombo, l’azienda si è presentata per la prima volta al mondo del Barolo con questa annata.
Da vigne di nebbiolo michet di circa 60 anni di età, il vino ha conosciuto un affinamento di due anni in botti grandi nuove.
Il 2013 è stata una grande annata e il profilo gusto-olfattivo la rispecchia, fulgido esempio di cosa possa dare la Vigna Ravera: naso giocato sul frutto, beva piena e saporita, nessun particolare fronzolo aromatico. La morsa tannica è tenace, avvincente la persistenza, torna e sorprende anche a fine degustazione.

Barolo DOCG Bricco Boschis 2013 - Cavallotto
L’annata straordinaria si fa sentire anche in questo Barolo, con un naso pura «joie de vivree fruttuosità che innamora». Sposa gli estremi di una vibrante acidità e di una maturità aromatica; in bocca emerge nitido l’agrume.

Barolo DOCG Rocche di Castiglione 2011 - Brovia
Vigna con «pendenza paradossale», sotto il bosco, composta da una falesia dalla consistenza della cipria.
Questo è uno dei Barolo più fragili e lirici che si possano concepire; il campione a nostra disposizione, purtroppo, non è in forma smagliante e ci consente soltanto in parte di apprezzarne la caratura.


I viniBarolo DOCG Bussia 90 dì 2012 – Giacomo Fenocchio
La Bussia è troppo grande per tracciarne una fisionomia unica, «venne disegnata senza dare troppa o quantomeno sufficiente attenzione alle differenze che pure contiene». A parere di Armando, Claudio Fenocchio ne è oggi il miglior interprete.
Questo vino parte dal presupposto che il nebbiolo si avvantaggia delle lunghe macerazioni, in questo caso durate appunto “90 dì”. È forse il vino più setoso di tutti quelli in degustazione, è «un foulard, radice di liquirizia, fiore e tanto sole che ne marca la persistenza».
È un Barolo da pasto intero, con un tannino lieve, vellutato, gestito alla perfezione. Straordinaria finezza, è un vero ricamo.

Barolo DOCG Monvigliero 2010 - Sordo
Delle undici Menzioni Geografiche Aggiuntive di Verduno, «Monvigliero è la punta di diamante, è il Grand Cru». Insieme a Cannubi e a Rocche dell’Annunziata significa pseudo-caloricità, frutta macerata e in infusione nell’alcol. In questo caso, il vino ha fatto 28 giorni di macerazione e poi affinamento in botte grande.
Al naso è esuberante nei profumi, all’assaggio è caldo, sul frutto, tannico ma di grande eleganza, infinito nella persistenza.

Barolo DOCG Monprivato 2011 – Mascarello Giuseppe e Figlio
È senza dubbio uno dei grandi vini italiani e tanto basta.
Strepitoso al naso e in bocca, finissimo e magistrale nei profumi di frutto, fiore e spezie, ha un assaggio cesellato, cadenzato, ritmato e polifonico, con un tannino smussatissimo, in definitiva «è stordente per quanto è buono».

Terminata la degustazione, ci sentiamo appagati e arricchiti. La lezione di Armando Castagno è stata emozionante, sì, ma anche di grande approfondimento su un vino che rappresenta oggi una delle grande eccellenze del panorama enoico mondiale.