Le voci del Barolo

Racconti dalle delegazioni
13 dicembre 2021

Le voci del Barolo

Nel raccontare il Barolo, Armando Castagno ha dato voce, con eleganza e romanticismo, a chi in Langa ci è nato e vissuto, in un’epoca – meno lontana di quel che si pensi – in cui l’albese era terra rurale e povera.

Giuseppe Vallone

Come approcciare quello che è «probabilmente il più grande vino italiano»? In che modo possiamo avvicinarci a un sicuro vanto che il Belpaese può esibire sulla scena mondiale? Sono domande fuor di retorica, queste, perché la risposta è tutt’altro che univoca.

Armando Castagno, presentando in AIS Milano la serata Le Voci del Barolo, ha scelto un contatto romantico, poggiato su un sentimento d’affetto che nasce spontaneamente a sentire storie di vite vissute in un’altra epoca e, potremmo dire, in un altro mondo, che oggi non c’è più.

Sì, perché se è vero che la storia del Barolo incrocia fatalmente la strada di Camillo Benso di Cavour, Louis Oudart e di quella grande donna, prima ancora che nobildonna, che fu Juliette Colbert di Maulévrier, marchesa di Barolo – «oggi quasi dimenticata», chiosa Armando ricordando con un pizzico di mestizia la periferica e anonima Via Marchesa di Barolo a Roma, antistante il carcere femminile di Rebibbia, quasi una beffa per una, come appunto fu la moglie di Tancredi Falletti, che per le donne fece davvero tantissimo -, ecco, dicevamo, se l’incrocio è giocoforza quello, non si deve però dimenticare che il Barolo affonda le sue radici nella terra, in particolare nella terra di Langa.
Armando Castagno

«È il nostro vanto contadino» scandisce Armando, ricordando con una certa onestà che la Langa di Alba, fino agli anni ’70 del secolo scorso, era un posto dove non troppo metaforicamente «si moriva di fame» e dove il Barolo era un vino che si beveva raramente, nelle occasioni di festa, con indosso l’abito buono della domenica. In una terra che diede i natali a Radegonda Oberto - figlia del primissimo Novecento, maestra elementare di La Morra dal 1927 al 1967 e la cui testimonianza letta da Armando è tanto verace e dura quanto di autentica e sublime bellezza - il Barolo si beveva «allungato con copiosa acqua», per dosarne la potenza alcolica sì, ma anche, e soprattutto, per centellinare qualcosa che era considerato molto prezioso.

Il Barolo è quindi un «baluardo di vera cultura contadina» alla quale l’odierno universo langarolo, così scintillante, non è da contrapporre, ma da intendere come frutto di una rivoluzione antropologica, ancor prima che di stile. Con questa presa di coscienza possiamo quindi apprezzare, con il giusto peso, la vita di Carlo Rapalino, agricoltore nato all’alba dell’ultimo lustro dell’Ottocento che fu, vanto dei vanti, campione alla Sagra dell’Urlo della sua Monforte.

Di questi natali popolari e terragni e del nobile battesimo che gli fu dato e che lo fece diventare celebre, il Barolo si è arricchito, fino a diventare, celebre motto, “il vino dei Re e il re dei vini”. Ne ha ben donde, diremmo noi, ascoltando Armando darne una descrizione tanto poetica quanto precisa, netta, cesellata.

Il Barolo è dunque «un vino lento, che parla il linguaggio universale dell’eleganza e della finezza, è un vino eloquente nel suo silenzio, è letterario e artistico perché genera domande, muove questioni, prerogativa dell’arte e della letteratura». Il Barolo, continua Armando, insegna a fare il vino perché è la «croce di chi è convinto di poter fare qualunque cosa in cantina», ma insegna anche a degustare perché «va ascoltato, atteso e compreso». A chi vuole approcciarvisi conviene muovere nella sua direzione, perché il Barolo sta lì, nella sua austera, complessa e bellissima torre e bisogna davvero imparare a scalarla, quella torre, per poi potervi accedere.

Un vino straordinario, che oggi si produce in 11 Comuni con 181 Menzioni Geografiche Aggiuntive declinate su caratteri e caratteristiche proprie e peculiari. Armando ne ha scelte sette, dagli altrettanti principali Comuni in cui si fa il Barolo.

La degustazione si è quindi dipanata lungo Verduno con la MGA Monvigliero, La Morra con le Brunate, e quindi Barolo con i Cannubi; Novello con la Ravera, e poi Castiglione Falletto con Rocche di Castiglione e Serralunga d’Alba con la MGA Broglio, per chiudere poi con la Bussia di Monforte d’Alba.

Barolo DOCG Monvigliero 2016 – Bel Colle
Vigna di circa 1,5 ettari messa a dimora nel 1986 a 380 m s.l.m.. Uve vinificate spontaneamente in acciaio con macerazione di 17 giorni a cappello emerso. Affinamento di 30 mesi in botti di rovere di Allier, poi 6-8 mesi in bottiglia.
«Il 70% della degustazione di un Barolo la fa la bocca» ci dice Armando. E il Monvigliero di Bel Colle gli dà ragione: è un vino d’assaggio, più che di naso. I profumi sono infatti sfumati, delicati, di frutti e di fiori, ma è in bocca che questo vino fa emergere la sua personalità elegante e finissima. È diffuso, con un tannino addensato, saporito, di buccia d’uva. Un vino che coinvolge, pur non insistendo troppo sulla persistenza.

Barolo DOCG Brunate 2016 - Marcarini
Le uve provengono da una parcella di 4,5 ettari impiantata tra il 1978 e il 1987 a 380 m s.l.m.. La macerazione è di 28 giorni, l’affinamento è di 28 mesi in botti grandi di rovere di Slavonia da 20 o 40 ettolitri, a cui segue una lunga sosta in bottiglia.
Il calice racconta di funghi e sottobosco, fieno di montagna e sbuffi di tabacco biondo. È una sinfonia appena accennata, delicata eppur complessa. «Un grande vino che sussurra» lo definisce Armando, «che si impone con la bellezza del racconto».

Barolo DOCG Cannubi 2012 – Poderi Luigi Einaudi
Vigna di 3,42 ettari messa a dimora tra il 1962 e il 2002 a 220 m s.l.m.. Vinificazione spontanea in cemento a cui segue una macerazione di 28 giorni a cappello sommerso e un affinamento di 24 mesi in botti di rovere di Slavonia seguito da 6 mesi in bottiglia.
Il 2012 fu un’annata rovente fino a fine agosto, poi settembre e ottobre furono caratterizzati da un tempo radicalmente diverso, che contribuì a riequilibrare le uve.
«Cannubi è calore, maglie larghe di un tessuto caldo». Che bella questa definizione che Armando dà di una delle MGA più celebri e celebrate di Barolo. E questo vino di Poderi Luigi Einaudi è degnissima rappresentazione del territorio: il naso ha carattere, giocato com’è sul frutto, sulle spezie e sulle erbe in infusione; in bocca è pronto, armonico, con un tannino stondato e dolce, e un assaggio fresco e succoso. Un vino in perfetto equilibrio nelle sue componenti.
I vini
Barolo DOCG Ravera 2012 – Elvio Cogno

Le uve provengono da una vigna di 4,88 ettari impiantata 38 anni fa a 380 m s.l.m.. Fermentazione spontanea in acciaio, macerazione di 30-35 giorni a cappello sommerso, affinamento di 24 mesi in botti grandi di rovere di Slavonia da 20 o 30 ettolitri. Poi, almeno 6 mesi in bottiglia.
Il naso di questo vino è un «esercizio estremo per un degustatore», tanto è sottile e fievole, con accenni di un’intrigante purea di albicocche, dopo qualche istante nel calice. È un vino che poggia la sua nobiltà su sensazioni tattili, con un assaggio che il tannino contribuisce a delineare: austero, elegante e patrizio. 

Barolo DOCG Rocche di Castiglione 2014 - Oddero
Vigneto messo a dimora nel 1965 in una parcella di soli 0,66 ettari a 250 m s.l.m.. Le uve vengono selezionate manualmente in vigna e in cantina. Macerazione di 28 giorni, maturazione di 30 mesi in botti di rovere di Slavonia, poi affinamento di un anno in bottiglia.
Se per un vino è utilizzabile l’aggettivo “lirico”, ebbene è qui che mettiamo la nostra fiche. Calore d’affetto, rapimento fantastico e intensità di sentimenti dominano la scena. Un vino che Armando definisce la «quintessenza di delicatezza floreale, pura poesia e pura fragilità». Più che tannico, è sapido, «il sale quasi scintilla», coinvolgendo tutti i sensi. Danza in bocca, strepitoso esempio di finezza e grazia.

Barolo DOCG Broglio 2014 - Schiavenza
Parcella di 1,85 ettari piantata nel 1998 a 360 m s.l.m.. Fermentazione spontanea in cemento per 25 giorni, poi 30 mesi in botti di rovere di Slavonia e affinamento di 6 mesi in bottiglia.
L’annata diluita non ha intaccato l’assaggio di questo Broglio, micidiale nella sua tannicità che esige il piatto giusto.

Barolo DOCG Bussia Riserva 2008 – Fratelli Barale
Vigneto di circa un ettaro messo a dimora nel 1982 nella vigna Bussia Soprana, a 270 m s.l.m.. Vinificazione in tino aperto per 30 giorni, poi maturazione per 36 mesi in botti di rovere di Allier , affinamento in damigiana e, infine, 12 mesi in bottiglia.
Profumi di tè e after eight delineano un naso espressivo e fine, con una balsamicità pregevole trasfusa in un assaggio ancora fresco e soprattutto sapido, con rimandi di bergamotto, intenso ed elegante. Armando trova che porti i suoi 13 anni con leggiadria.

Parlare di Barolo ha diverse implicazioni, Armando ce l’ha fatto comprendere. Vuol dire rifarsi a origini tanto nobili quanto affondate nella terra di Langa e denota la consapevolezza di avere a che fare con un vino dal carattere ben definito, ma capace di esprimersi in modo peculiare e caleidoscopico a ogni volgere di poggio. Se è il re dei vini - e lo crediamo - è anche perché sa unire, all’aristocraticità delle intenzioni, un cuore popolesco e decoroso.