Masterclass “Sua Maestà, il Nebbiolo” - Seconda parte: il Barbaresco

La seconda serata della Masterclass dedicata al nebbiolo ci porta nelle Langhe, dove in quattro comuni ad est di Alba nasce uno più dei grandi vini italiani 100% nebbiolo, il Barbaresco.

Stefano Vanzù

“Il Barolo è il Re, il Barbaresco la Regina” potrebbe essere la risposta che vi darebbe un “langarolo” se gli chiedeste quale sia la differenza fra il Barolo e il Barbaresco; una domanda legittima, visto che si parla di vini prestigiosi, prodotti con il medesimo vitigno che cresce su terreni aventi una matrice simile e in due aree che distano fra loro, in linea d’aria, poco più di 17 chilometri.

Le differenze fra i due “cugini”, però, ci sono e non sono poche; sintetizzando, potremmo dire che buona parte del merito di questa felice - per noi “enomaniaci” - diversità è dovuta proprio a quella specialissima caratteristica che solo pochi grandi vitigni (due su tutti: il nebbiolo e il pinot nero) possiedono ovvero quella di essere dei mediatori del territorio in cui crescono, dei narratori della storia dei loro terroir, di esprimere e non dominare la terra dove vivono; per Francesco Ferrari il nebbiolo rivela la nobiltà del suo territorio e può donare, se lavorato con amore e rispetto, vini di assoluta eleganza e alta classe. 

Due parole sul nebbiolo

Il vitigno nebbiolo (denominato in altre zone spanna, pugnet, prunent, picotendro, chiavennasca) è l’autoctono piemontese per antonomasia. Il suo nome potrebbe derivare da “nebbia”, poiché gli acini sono ricoperti da abbondante pruina, oppure dal fatto che è un’uva solitamente vendemmiata in ottobre avanzato, quando i vigneti sono avvolti dalle nebbie mattutine. Quello che è certo è che il nebbiolo è sicuramente il vitigno a bacca nera più pregiato e difficile tra gli italiani (e non solo), esigente e difficile sia in vigna che in cantina.

L’Ampelografia ci dice che il nebbiolo ha un lunghissimo ciclo vegetativo: è fra le prime uve a germogliare in primavera, in media nella prima metà di Aprile, fiorisce in genere a fine maggio, invaia a “San Lourens” ovvero attorno al 10 Agosto (a seconda dell’annata, il tempo che intercorre fra l’inizio dell’invaiatura e la maturazione va dai 60 ai 90 giorni) ed è l’ultima uva ad essere raccolta.       

La vigoria del nebbiolo è elevata o anche molto elevata, la fertilità è media ma assai ridotta a livello delle gemme basali, la produttività è da media ad elevata: si tratta comunque di un vitigno difficile da coltivare in quanto dà il meglio di se solo in condizioni vicine al limite della maturazione, e spesso la maturazione tecnologica e quella fenolica non coincidono.

I sistemi di allevamento usuali sono il Guyot nell’Albese, la pergola nel Carema e la meno diffusa Maggiorina nell’Alto Piemonte (un sistema tradizionale realizzato piantando 3 o 4 viti molto vicine, al centro di un quadrato di circa quattro metri per lato; i lunghi tralci si allungavano verso i punti cardinali, sostenuti da otto pali di legno conficcati nel terreno mentre i ceppi potevano essere, a loro volta, sostenuti da un palo centrale ed erano tenuti insieme da legature a salice).

Viene sempre praticata una potatura lunga: i tralci portano fra le 9 e le 12 gemme e le prime due solitamente non fruttificano.

Il Barbaresco

Il Barbaresco DOCG può essere prodotto solo in purezza e in quattro comuni in provincia di Cuneo, ad est della città di Alba e a sud rispetto al corso del fiume Tanaro: Barbaresco, Neive, Treiso e nella frazione di Alba San Rocco Seno d’Elvio. Nel 2018 gli ettari vitati erano in totale 763 (249 a Barbaresco, 281 a Neive, 187 a Treiso e 47 a San Rocco), circa il 35% di quelli della vicina Barolo (2149 ha); sempre nel 2018, la produzione totale è stata di 4,8 milioni di bottiglie di Barbaresco e 14,1 milioni di bottiglie di Barolo. 

La DOCG Barbaresco, approvata nel 1980 (la DOC era nata nel 1966) vede la presenza nel suo territorio di 66 unità geografiche aggiuntive (che, indicate in etichetta, costituiscono le cosiddette MGA menzioni geografiche aggiuntive, l’equivalente dei cru in Francia), corrispondenti a porzioni più delimitate del territorio di una denominazione di origine (lo stesso vale per le sotto-zone). È consentita la menzione Vigna ma non è permesso indicare in una stessa etichetta due menzioni diverse.

La Denominazione “Barbaresco” è stata la prima in Italia ad introdurre le MGA nel Disciplinare di Produzione, formalizzando e definendo in questo modo una consuetudine iniziata già negli anni Sessanta, quando su alcune etichette comparivano i nomi delle vigne e dei cru, consuetudine che era diventata quasi la normalità negli anni ’80, in realtà più a Barbaresco che a Barolo. 

La maggior parte delle e tutti i vigneti con MGA sono esposte a sud, ma oggi, a causa del riscaldamento globale, vengono ricercate anche le esposizioni ad est; altri fattori qualificanti e identificativi delle MGA di Barbaresco sono i numerosi crinali perpendicolari che incidono su altimetria ed esposizione (sono tre i crinali principali, di differente altitudine e morfologia) e l’influsso del fiume Tanaro.

Per il Barbaresco, l’affinamento minimo deve essere di due anni (quattro per le Riserve) con almeno nove mesi in legno.

Breve storia geologica delle Langhe

Le Langhe fanno parte di un complesso di terre (che includono il Monferrato e le colline di Torino), che emersero durante il Miocene, all’incirca da 23 a 5 milioni di anni fa, per un processo di corrugamento del fondo marino dell’allora Mare Padano che mediante un canale naturale (la cui larghezza è stata stimata in 27 km) metteva in contatto quel mare con il mar Ligure passando attraverso l’attuale colle di Cadibona. Per effetto di spinte tettoniche, il canale si chiuse e si formarono le Langhe che sono considerate una “dorsale appenninica”, che dai 754 metri sul livello del mare di Montezemolo, raggiunge la punta massima di 950 metri a Mombarcaro e digrada poi fino a Dogliani (340 m.) e Alba (172 m. sul livello del mare); pertanto, in virtù della sua genesi, l’odierno suolo langarolo ha un’origine sedimentaria e marina.

A partire da circa 12 milioni di anni fa e fino a 5, durante il Miocene, sui fondali si andavano accumulando i sedimenti che oggi compongono le rocce stratificate della zona.

L’età va dal Langhiano (15,9-13,8 MA) al Serravalliano (13,8-11,6 MA) al Tortoniano (11,6-7,2 MA) per finire durante il Messiniano (7,2-5,3 MA). Durante questo lungo lasso di tempo le condizioni mutarono notevolmente sia come profondità del mare che come forma del bacino. La conseguenza è stata che le rocce hanno registrato questi cambiamenti mutando in composizione e tessitura e generando formazioni geologiche distinte.

Le due formazioni che riguardano più da vicino la zona del Barbaresco sono: 

La Formazione di Lequio (periodo Serravalliano): caratterizzata da un’alternanza tra strati di marna argillosa e, in misura minore, di sabbia. I suoli risultano quindi limosi con una discreta percentuale di argilla e sabbia e decisamente calcarei. Sono riscontrabili a Barbaresco nella zona di San Rocco Seno d’Elvio e Treiso. 

Le Marne di Sant’Agata Fossili (Tortoniano-Messiniano): è la formazione più comune e diffusa nella Langa del Barolo e del Barbaresco. Sono composte quasi interamente da strati marnosi calcarei di colore bluastro, con poca sabbia. I terreni presentano una percentuale importante di sedimenti fini, limo e argilla.

La storia del Barbaresco ed i suoi protagonisti

Il territorio di Barbaresco venne abitato fin dall'epoca preistorica, quando le colline che oggi vediamo densamente vitate erano coperte da fitti boschi con qualche raro spazio verde lungo le sponde del fiume Tanaro. Le boscose Langhe erano il territorio dei Liguri Stazielli, che furono sottomessi dall’Impero Romano con lotte sanguinose e deportazioni di massa, e non a caso il nome Barbaresco deriva proprio dal termine “Barbarica silva”. Il primo insediamento romano nella zona prese il nome di “Villa Martis” e sorse probabilmente dove esisteva una foresta sacra che i Liguri avevano dedicato ad una divinità, denominata in celtico “Martiningen”, che rappresentava la forza; dove un tempo prosperavano le sacre querce, i Romani piantarono le viti e iniziarono a produrre vino, che naturalmente non aveva nulla a che fare con l’odierno Barbaresco.  

Per sentire parlare di Barbaresco occorre arrivare sino al 1799 quando, per festeggiare la vittoria dell’esercito austriaco su quello francese nella piana di Genola (CN), il generale Von Melas, ordina al comune di Barbaresco di procurare una carrà (un contenitore da 7 hl) di vino Nebbiolo: è un documento importante ed è la più vecchia citazione scritta che faccia riferimento a Barbaresco ed ai suoi vini anche se fino alla fine dell‘800 il nebbiolo coltivato nelle zone dell’odierna DOCG era venduto per produrre Barolo oppure vinificato come semplice vino da tavola. 

La storia moderna del Barbaresco inizia nel 1853 quando Louis Oudart, enologo ma soprattutto commerciante di vini francesi in Italia, conosce il proprietario del castello di Neive, il Conte   Camillo Bongiovanni di Castelborgo.

La figura di Louis Oudart merita un veloce approfondimento: dopo il suo arrivo in Italia nel 1826 (quando aveva collaborato con il generale Staglieno nei Tenimenti Reali di Pollenzo), nel 1861 produsse nelle cantine del castello di Neive un “Nebiolo di Neive 1857” che vinse una medaglia d’oro in occasione dell’Esposizione Nazionale di Firenze nel 1861. Suoi anche un “Nebiolo secco di Neive 1858” e un “Pignolo di Neive 1857” che vincono la medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Londra del 1862. Oudart vinificava “alla francese”: monovitigno, fermentazione completa, pressature soffici, batonnage, impiego di tini chiusi, addizione di anidride solforosa e zuccheraggio.

Piccola curiosità: la prima bottiglia che riporta in etichetta il nome “Barbaresco” è del 1937 ed è tuttora conservata nelle cantine del castello di Neive. 

Alla fine del 19 secolo il vino non si chiama ancora Barbaresco ma la strada per la sua ascesa è tracciata, anche se, per concretizzarsi, serve qualcuno che veda più lontano; questo qualcuno risponde al nome di Domizio Cavazza (1856 - 1913), il grande enologo modenese fondatore e primo direttore della Scuola Enologica di Alba, cui si deve, fra l’altro, la prima idea di “cru” in Italia basata sulla selezione delle uve in vigna.   

Dopo aver acquistato nel 1894 il castello di Barbaresco e le vigne ad esso afferenti, inizia a produrre vino e nello stesso anno fonda, insieme ad altri otto Produttori, la Cantina Sociale di Barbaresco, (la seconda in Italia dopo quella di Oleggio), nata per tutelare gli interessi dei Produttori in un periodo storico in cui lo strapotere economico dei “negociant” decide arbitrariamente le modalità di acquisto, speculando sui prezzi dell’uva prodotta dai contadini: da questo momento si inizia a parlare di vino Barbaresco, o meglio, come recita un listino prezzi del 1898, del “rinomato Vino Nebiolo (Barbaresco)”.   

Negli anni ‘20 la Cantina Sociale chiuse ma nel 1958 Don Fiorino Marengo, allora parroco di Barbaresco, assieme al produttore Celestino Vacca, al farmacista Ugo Maffei e al viticoltore Riccardo Cravanzola, riunì 17 soci conferitori e fondò la Cantina Produttori del Barbaresco “per la qualifica e garanzia del Barbaresco”; oggi la Cantina associa 50 Produttori che lavorano circa 110 ha di vigneti su 9 MGA, tutte con menzione Riserva, per una produzione di circa 500.000 bottiglie l’anno.    

Tornando un po’ indietro nel tempo, nel 1933 viene ampliata la zona di produzione del vino Barbaresco, inserendo anche i vigneti di Neive (novità fortemente osteggiata dagli abitanti di Barbaresco e Treiso, allora unico comune di Barbaresco) e nel 1935 compare sulla scena del Barbaresco un altro grande protagonista, Giovanni Gaja: spinto dalla madre, si mette in testa di portare il Barbaresco ad un livello pari o superiore a quello del Barolo e per farlo attua una politica di riduzione delle rese (all’epoca un’idea folle), imbottiglia solo le annate buone (anche solo 3 in 10 anni) poiché ritiene che “in bottiglia va solo quello che merita di andare in bottiglia” e nel 1948 trasforma i mezzadri in salariati, per ottenere un aumento della qualità del prodotto.

Nel 1957 una bottiglia di Barbaresco Gaja costa 1250 lire, il doppio di un buon Barolo, e nel 1961 entra in Azienda il figlio Angelo che persiste nella spasmodica ricerca della qualità assoluta. Nel 1962 Gaja smette di comprare uve e quindi di produrre Barolo (tornerà a riproporlo nel 1993 con l’acquisto di vigne a Serralunga d’Alba): oggi l’Azienda possiede vigne in 14 cru della DOCG ma non rivendica MGA.

Un altro grande protagonista della storia del Barbaresco è stato Bruno Giacosa (1929 - 2018). Figlio di un mediatore, eccelso degustatore di uve e profondo conoscitore delle vigne di Langa, Bruno Giacosa è stato un punto di riferimento per i produttori delle Langhe, in virtù del suo stile discreto, elegante e schivo, votato alla qualità fin dagli anni Sessanta. Nel 2012, quando l’università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo gli conferì una laurea honoris causa, aveva detto “La mia idea di vino era allora, e lo è ancora oggi, piuttosto semplice: volevo fare dei vini molto buoni. Quelli a base di nebbiolo dovevano migliorare per molti anni, e il tutto doveva avvenire nel modo più naturale possibile”.

Giacosa fu uno dei primi produttori a valorizzare i cru. Fondamentale, per sua stessa ammissione, fu l’incontro con Luigi Veronelli: “Continuava a consigliarmi di scrivere in bella evidenza sulle etichette il cru delle mie diverse selezioni. Io avevo ben in mente l’importanza dei singoli vigneti, che allora non si chiamavano ancora cru, anzi era proprio il concetto che avevo alla base del mio lavoro di selezionatore di uve per me e per altre cantine con cui continuavo a fare il mediatore”.

Nel 1967 escono le prime due etichette cru: Barbaresco Asili e Barolo Collina Rionda (poi Vigna Rionda). Oggi l’azienda Giacosa è diretta dalla figlia Bruna e vinifica uve proprie (all’inizio della sua attività le uve venivano acquistate), possedendo vigne sia a Barbaresco che a Barolo.      

La degustazione

Barbaresco Riserva DOCG “Santo Stefano” 2016 - Azienda Castello di Neive - 14,5% vol. - Costo medio indicativo € 45 (bottiglia da 0,75 lt.)  

Il vino proviene dai 15 ha della Vigna Santo Stefano, di proprietà esclusiva, all’interno della MGA “Albesani” nel comune di Neive. Il colore è tipico del Nebbiolo, un granato non accentuato, come altrettanto tipica dei vini di questa vigna è la nota balsamica di eucalipto accompagnata da frutti rossi (lampone), rosa canina, agrume scuro. Dotato di ottima corrispondenza gusto - olfattiva, al sorso si mostra giovane ma avvolgente, con un tannino presente ben integrato nella struttura del vino, elegante e di lunga persistenza, rivelando nel finale uno speziato di china. Al margine, annotiamo che il 2016 è stata auna grande annata, da “tenere d’occhio” così come la 2021.

Barbaresco Riserva DOCG “Casot” 2015 - Azienda Giuseppe Nava - 14,5% vol. - Costo medio indicativo € 38 (bottiglia da 0,75 lt.)  

Il vino, nato da uve allevate in 0,5 ha di proprietà nella MGA “Casot” nel comune di Treiso, effettua una fermentazione spontanea senza solfiti aggiunti. Colore granato vivo e luminoso, all’olfatto appare più chiuso del “Santo Stefano” rivelandosi però complesso di fiori (garofano, geranio), piccoli frutti rossi, agrume sfumato e una nota balsamica di anice. In bocca è fresco, si avvertono ribes ed erba medica essiccata con un tannino fitto e piacevole.

Barbaresco DOCG “Gaja” 2018 - Azienda Gaja - 14% vol. - Costo medio indicativo € 200 (bottiglia da 0,75 lt.)  

Proviene da vari vigneti di proprietà dell’Azienda, con un importante presenza del vigneto Pajoré nel comune di Treiso. Fermenta in acciaio, con macerazioni non troppo lunghe (qui il colore rubino vivido, ed infatti i Barbaresco di Gaja sono i più colorati), maturando in barrique e botte grande. Rubino intenso e lucente, regala un naso complesso e molto nitido di gladioli, viola, rosa, lavanda, lamponi e incenso. Al palato è morbido, con un tannino molto lungo e già perfettamente integrato nonostante la giovane età, un vino tecnicamente perfetto nel quale non si avvertono assolutamente note eccessive di legno.

La degustazione prosegue con quatto vini di altrettante vigne vicine l’una all’altra, per constatare le differenze fra di loro.

Barbaresco Riserva DOCG “Pora” 2015 - Produttori del Barbaresco - 14% vol. - Costo medio indicativo € 50 (bottiglia da 0,75 lt.)

Il nebbiolo allevato in vari appezzamenti all’interno dell’MGA “Pora” nel comune di Barbaresco da un vino che matura 36 mesi in botti di rovere di grandi dimensioni e affina altri 12 mesi in bottiglia. All’olfatto è fruttato di bacche rosse, floreale di viola ed erbe officinali con una leggera speziatura di noce moscata. Il sorso fruttato con note amaricanti e lievemente ferrose nel finale ne fanno un ottimo vino gastronomico.

Barbaresco DOCG “Asili” 2015 - Azienda Bruno Giacosa - 14,5% vol. - Costo medio indicativo € 130 (bottiglia da 0,75 lt.)

Il vigneto di origine è aziendale, all’interno dell’MGA “Asili” nel comune di Barbaresco, il vino matura 18 mesi in botti di rovere francese di grandi dimensioni ed affina altri 12 mesi in bottiglia. Pur rivelandosi al naso più “burbero” del Barbaresco di Gaja, è comunque complesso di iris, viola appassita, liquirizia, carrube. In bocca è succoso, sapido, con un tannino elegante ed un corpo prefetto, quasi una sintesi di tutti i Barbaresco degustati.

Barbaresco Riserva DOCG “Martinenga - Camp Gros” 2016 - Az. Cisa Asinari dei Marchesi di Gresy - 14,5% vol. - Costo medio indicativo € 110 (bottiglia da 0,75 lt.)

Proviene dai 2,5 ha della vigna “Camp Gros” all’interno dei 17 ha del cru monopole “Martinenga” nel comune di Barbaresco. All’olfatto si avvertono fiori (rosa, viola), frutta in gelatina, una nota di spezia dolce, legno di sandalo e del tostato; il sorso è maestoso, offrendo una progressione del tannino, una lunga persistenza e una grande struttura.

Barbaresco Riserva DOCG “Rabajà” 2011 - Az. Giuseppe Cortese - 14,5% vol. - Costo medio indicativo € 75 (bottiglia da 0,75 lt.)

Un Barbaresco prodotto solo nelle migliori annate da 1 ettaro dei 4 di proprietà nella MGA “Rabjà” (vigne di oltre 70 anni di età) nel comune di Barbaresco, su suoli calcareo-argillosi. Giuseppe Cortese è un produttore molto tradizionalista e questo suo vino matura per 40 mesi in botti di rovere di grandi dimensioni, affinando altri 36 mesi in bottiglia prima di essere messo in commercio. Al naso è un mazzo di fiori, confettura, erbe aromatiche, noce moscata, liquirizia, eucalipto, in bocca è vigoroso, succoso e caldo.