Negroamaro, primitivo e nero di Troia: che profumi hanno?

Una Masterclass condotta dal sommelier Sergio Libanore, grazie alla collaborazione con il Movimento Turismo del Vino Puglia, ci ha condotto alla scoperta dei vini simbolo della regione.

Barbara Sgarzi

Con la guida esperta di Sergio Libanore, relatore e sommelier AIS, e la presenza di Maria Teresa Basile Varvaglione e Vittoria Cisonno, rispettivamente presidente e direttore del Movimento Turismo del Vino Puglia, abbiamo giocato con le eccellenze della regione, mentre la sala accanto brulicava di appassionati ed esperti attirati dal ricco banco di degustazione dal titolo “Degusta la Puglia”, organizzato da AIS Milano lo scorso 11 novembre.

Libanore ci ha portato innanzitutto, con pochi accenni, nel cuore della storia vinicola di Puglia.
Una storia che per anni ha raccontato di una produzione di vini da taglio ad alta gradazione alcolica, connotata da grandi volumi (al secondo posto in Italia dopo il Veneto) e dalla mitologia dei Trani, osterie spuntate un po’ ovunque a Milano dai primi decenni del novecento, dove si serviva vino pugliese, di Trani, appunto, alla mescita. Una tendenza invertita grazie alle intuizioni e al lavoro di Severino Garofano e della sua costante opera di miglioramento e di creazione di un’identità dell’enologia pugliese, fino ad arrivare alle 28 DOC e 4 DOCG di oggi.


Prima di “giocare” a IndoVino, una degustazione alla cieca per individuare, attraverso i sentori caratteristici, quelli che sono oggi i portabandiera della produzione pugliese - in ordine di produzione: negroamaro, primitivo, nero di Troia – Libanore illustra le zone vinicole della Puglia e gli altri vitigni di rilievo. Il suo racconto si snoda fra l’area della Capitanata o Daunia (dal Gargano fino a Bari), la Terra di Bari, le Murge, la Valle d’Itria e il Salento: alto, nella zona di Brindisi, e basso, attorno a Lecce. Con i loro gioielli, a partire dal fiano, introdotto da Federico II di Svevia, diverso da quello Irpino; più caldo e strutturato. Il raro tuccanese a bacca rossa, una vera chicca con una piccolissima produzione. La malvasia nera del Salento, morbida, elegante e con bassa acidità, perfetto blend per il negroamaro. Il bombino bianco tra Foggia e Bari, negli ultimi anni protagonista di esperimenti di spumantizzazione. E infine la gamma di rosati ottenuti da negroamaro nel Salento e da bombino nero nella zona di Castel del Monte.

Ripassato il panorama di una regione vasta, diversa e ricchissima per produzione, è il momento di scoprire le sue eccellenze.

La liquirizia del negroamaro
Padre nobile della viticoltura pugliese, di tradizione antichissima, fino dai tempi della Magna Grecia. Lo testimonia l’etimologia, ancora dibattuta, del nome, che secondo due scuole di pensiero potrebbe derivare sia da niuro maru (nero amaro) o da niger-màvros, i due modi per definire “nero” in latino e greco, come a indicare un ideale abbraccio fra le due culture. Parliamo di un vitigno estremamente versatile, che raccoglie le sfumature di una terra ricca di contrasti; dall’opulenza del barocco leccese all’austerità delle famiglie nobili e più antiche della regione, fino alla dinamicità del popolo salentino. Al sud, con la classica coltivazione ad alberello, ha trovato il suo habitat migliore, poiché resiste molto al caldo. In particolare il microclima salentino, con i due mari che distano fra loro solo 60 chilometri, fornisce un ambiente unico in cui crescere. Il grappolo presenta una buccia spessa, un colore nero intenso e un’ottima vigoria e regala un vino tannico, dalla grande acidità, con cenni minerali e iodati.
Come riconoscerlo alla cieca? Attraverso il caratteristico sentore di liquirizia. E poi frutti a bacca nera, visciole, tabacco, alloro, cacao, il floreale di peonia e violetta.


La fragola del primitivo
Portabandiera del vino pugliese nel mondo, è forse l’autoctono più amato e deve il suo nome alla caratteristica di maturare precocemente. Si adatta senza problemi a terroir diversi; pensiamo allo zinfandel californiano, per esempio.
Di probabile origine mitteleuropea (Croazia, Ungheria), è poi arrivato in Grecia e Albania e infine in Puglia, nella zona di Gioia del Colle. Da qui è transitato in Manduria “per amore”, come dono di nozze dalla contessa Sabina di Altamura al suo promesso sposo Tommaso Schiavoni-Tafuri.
Il grappolo è sensibile alla siccità, di vigoria modesta, produce un vino più ricco di antociani che di tannini, che restano sempre moderati.
Oggi il Primitivo di Manduria è forse la DOC pugliese più famosa nel mondo, seguita da quella di Gioia del Colle. E le differenze climatiche fra le alture della Murgia e le pianure assolate di Manduria si riflettono nei due vini. In generale, Gioia del Colle regala più tannini, più acidità e quindi una promessa di maggior longevità. La DOC Manduria è caratterizzata da sentori decisamente più fruttati, più polposi, con caratteristiche di lieve surmaturazione.
Alla cieca, lo riconosciamo prima di tutto per il sentore di fragola; poi arrivano la ciliegia, il lampone, la susina, il balsamico di menta selvatica, mirto, rabarbaro, il tocco floreale di lavanda e violetta.

La rosa del nero di Troia
Di origine incerta, forse deriva da un incrocio tra una varietà a bacca bianca e una a bacca rossa, è prodotto oggi nella zona della Daunia fino a Bari. Grappolo dalla buccia spessa, a maturazione tardiva e poco zuccherino, regala un vino ricco di terpeni, molto profumato, con bassa acidità e molti tannini. La curiosità: sembra essere uno dei più ricchi di resveratrolo.
A lungo considerato un vitigno difficile, utilizzato soprattutto per arricchire in corpo e spessore vitigni più morbidi come il montepulciano, ha visto iniziare la sua rinascita circa vent’anni fa, quando la produzione monovarietale ha avuto un nuovo impulso, culminando nel 2011 con la DOCG Nero di Troia Rosso Riserva. Oggi è prodotto in diversi stili: bottiglie da bere giovani, dai sentori di frutti di bosco e fiori, e vini austeri ed eleganti destinati a invecchiamento.
Ma come riconoscerlo, quando la bottiglia è coperta? Il sentore che lo svela è quello della rosa. A seguire la mora di rovo, il gelso nero, la ciliegia, le spezie del pepe nero e del coriandolo.

E dopo aver scoperto quanti punti abbiamo fatto al gioco dell’IndoVino, possiamo mettere in pratica quanto imparato sui tre re di Puglia – davvero tanto, e divertendoci – al banco di degustazione.