Quando il nebbiolo veste l’abito da sera. L’eleganza del Barbaresco

Racconti dalle delegazioni
02 dicembre 2019

Quando il nebbiolo veste l’abito da sera. L’eleganza del Barbaresco

Se il Barolo è senz’altro considerato il Re dei vini di Langa, il Barbaresco non può che essere la Regina. Un'affascinante percorso, guidati da Luisito Perazzo, alla scoperta del lato più femminile del nebbiolo di Langa

Marco Agnelli

I, I will be king, and you, you will be queen (David Bowie)

Se il Barolo è senz’altro considerato il Re dei vini di Langa, il Barbaresco non può che essere la Regina, ritrovandosi a recitare, generalmente, il ruolo più gentile e dunque più femminile all’interno della famiglia dei grandi vini da nebbiolo piemontesi. All’istrionico Luisito Perazzo il compito di farci scoprire le diverse sfaccettature del poliedrico carattere della Regina.

Luisito PerazzoPoco più di 700 ettari complessivi per questa Denominazione (DOC dal 1966 e DOCG dal 1980), suddivisi sui quattro i comuni che rientrano nell’areale: Barbaresco, Neive, Treiso e parte del comune di Alba, con la frazione San Rocco Seno d’Elvio. Il vitigno nebbiolo, utilizzato in purezza per la produzione del Barbaresco, è conosciuto fin dal medioevo con il nome nebieul, che gli deriva dal fatto che era vendemmiato quando comparivano le prime nebbie.

È un’uva caratterizzata da grappolo medio-grande e compatto, acino piccolo con buccia resistente e maturazione tardiva. Diversi personaggi storici hanno legato il proprio nome al Barbaresco e ne hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo. Uno di questi fu Domizio Cavazza, fondatore e direttore della Scuola Enologica di Alba. Nel 1894 Cavazza riuscì a fondare la cantina sociale di Barbaresco, con l’obiettivo di produrre un grande vino di territorio da uve nebbiolo in purezza. Angelo Gaja, altro personaggio a cui si deve gran parte della fortuna di questa Denominazione, entrò nell’ azienda di famiglia nel 1961. Al nonno (anche lui Angelo di nome) si deve l’avvio della leggendaria produzione. Nonno Angelo si sposò con una donna di grande temperamento, Clotilde Rey, (a cui è dedicato Sorì Tildìn), che mise disciplina in vigna e in cantina e a cui, si dice, risalgano anche i primi disegni delle etichette.  

Da un punto di vista geologico la zona del Barbaresco si può differenziare in base ai terreni prevalenti. Le Marne di Sant'Agata Fossili (di età tortoniana), caratterizzate da marne grigio-azzurre, sono la matrice dominante in questa zona. L’altra varietà è quella della Formazione di Lequio (di età serravalliana, più antica) caratterizzata da marne compatte grigie alternate a strati di sabbia.

La degustazione dei sei vini della serata ci offre un bel campionario di differenti espressioni di Barbaresco. La selezione abilmente operata da Perazzo per la serata riesce a stupirci con una sequenza di vini tra loro decisamente eterogenei. Andremo insieme a sfidare tutte le possibili variabili in campo: l’annata, la parcella di provenienza e, non da ultimo, lo stile del vigneron

Barbaresco Sanadaive 2016, Marco e Vittorio Adriano

Da un’azienda da qualche anno convertita al green, seppur non certificata biologica. Sanadaive non è un cru, bensì il termine dialettale di Seno d’Elvio. Assemblaggio di tre parcelle diverse, 24 mesi in botti da 30 ettolitri in rovere di Slavonia. Il colore tende già all’aranciato, molto luminoso. «Se non fosse nebbiolo sarebbe nebbiolo!» chiosa Perazzo. Intensità olfattiva di medio impatto, su cui emerge soprattutto la componente floreale, e a seguire frutti di bosco, un po’ di tabacco e un po’ di spezia. Il finale rimanda a una nota affumicata quasi di camino. Delicato e gentile in bocca, con una sapidità intrigante e un alcol presente e che contribuisce a una sensazione di vellutata morbidezza. Un vino declinato su toni tenui, sussurrato con discrezione. 

Barbaresco Ovello 2016, Cascina Morassino

Tra i cru storici del comune di Barbaresco, stessa annata del precedente ma vino piuttosto differente. Il colore è rubino denso con riflessi granati. Il naso è più potente e rimanda a cioccolato, caffè, spaziatura dolce e mora di rovo. Il versante fruttato è maturo, decisamente indirizzato sulla confettura. Con il passare dei minuti emerge una componente minerale di grafite. Il tannino in bocca è inizialmente ben integrato per poi scodare leggermente nel finale. Polifenoli e alcol dettano il ritmo della beva. A differenza del vino precedente, già pronto, questo necessita di essere aspettato ancora un po’.

Barbaresco Cottà 2015, Albino Rocca

Cru di Neive tradizionalmente vocato per dare vini improntati su struttura e avvolgenza. Nel calice troviamo un naso intenso di prugna matura, frutto cotto, fico e speziatura dolce. Emergono successivamente alcuni sentori che ricordano il sottobosco, i funghi, il terriccio. E ancora, a seguire, incenso, curcuma, liquerizia, cera, carruba. Assaggio pieno, ricco, ampio e circolare. Il tannino non risulta mai sopra le righe, anche grazie alle caratteristiche dell’annata, calda e portatrice di vini particolarmente vocati per la morbidezza. Tannino e alcol vanno a braccetto, spuntano alternativamente ora l’uno e ora l’altro, in un perfetto e gradevolissimo equilibrio. Un vino goloso, saporito e gastronomico.

Barbaresco Pajorè 2015, Rizzi

Comune di Treiso, agricoltura biologica. Il colore è più rubino e luminoso rispetto al precedente, sebbene l’annata sia la stessa. Anche l’impatto olfattivo è differente, inizialmente meno espressivo e con una punta spiccatamente salmastra, accompagnata da timo, alloro e un po’ di menta. La componente fruttata si fa sentire di meno, sovrastata da note verdi balsamiche. Torna in chiusura di olfazione un po’ di quel floreale tipico del nebbiolo. L’esame gusto olfattivo rivela un’acidità importante e un centro bocca un po’ meno scorrevole, con un tannino più incisivo.

Barbaresco Costa Russi 2014, Gaja

Da un’annata piovosa e notoriamente difficile un po’ in tutto il nord Italia. Ci troviamo nel comune di Barbaresco, nel cru Roncagliette. Apertura aromatica dolce, declinata sulla vaniglia, che ci testimonia il passaggio in legno. Emergono poi ciliegia matura, mirtillo, un po’ di cioccolato e marmellata. Uno sbuffo etereo in chiusura. L’assaggio si apre con una sensazione di morbidezza insieme con un tannino assertivo, maturo e di spessore. Un vino complessivamente giocato sull’immediatezza, con un ottimo equilibrio tra sensazioni di piacevole avvolgenza e freschezza che necessita tuttavia di un po’ di tempo ancora per affrancarsi dal legno.

Barbaresco Asili Riserva 2013, Ca’ del Baio

Probabilmente il cru più famoso del comune di Barbaresco. Colore compatto con unghia aranciata. Intensità olfattiva su cui riconosciamo cera, gudron, prugna, ciliegia, sottobosco e sentori scuri di radice. La sensazione di affumicato è qui declinata su ricordi di torba. All’esame gusto olfattivo compare un tannino ricco, serrato e intenso. Nel suo insieme, quello che abbiamo nel calice è un vino materico, caratterizzato da un estratto importante e da una persistenza notevole, probabilmente la più prolungata della batteria di stasera.