Tenute Lunelli: l’eleganza di uno stile unico tra Trentino, Toscana e Umbria

Una villa cinquecentesca, un casale toscano e una scultura di Arnaldo Pomodoro contraddistinguono le tre cantine nelle quali si producono i vini fermi della famiglia Lunelli che abbiamo avuto il piacere di degustare accompagnati da Davide Garofalo.

Alberto Gober

La famiglia Lunelli è associata indissolubilmente al Trento DOC Ferrari, ma nel tempo ha anche raccolto la sfida di riuscire a essere “effervescente” con i vini fermi. A raccontarci l’anima elegante che contraddistingue i vini prodotti in tre territori sparsi in tutta Italia è stato Alessandro Lunelli, AD di Tenute Lunelli ed esponente della terza generazione della famiglia, accompagnato da Luca D’Attoma, enologo che segue da oltre cinque anni le tenute in Umbria e Toscana. Insieme a loro il sommelier AIS Davide Garofalo a guidare la degustazione. Dal Trentino, “patria” della famiglia Lunelli con Villa Margon passeremo a Podernovo, sulla costa Toscana, per finire in Umbria a Castelbuono.

I vini prodotti dalle Tenute Lunelli sono espressione peculiare dei tre territori, accomunati da uno stile unico fatto di eleganza, sinonimo del piacere e della voglia di bere che può suscitare un vino. Altra caratteristica comune è la longevità, elemento distintivo celebrato anche nel logo della cantina in cui è rappresentato lo scorrere del tempo attraverso le fasi lunari.

La continua ricerca dell’eccellenza nel rispetto dell’ambiente è forse la linea guida più importante delle Tenute Lunelli. Un’attenzione che va oltre il concetto di biologico, ma si spinge verso la biodiversità, ovvero promuove il rispetto del territorio attraverso l’eliminazione dei fitofarmaci favorendo anche il ripristino della catena alimentare degli insetti.


Il relatoreLe prime produzioni di vini fermi delle Tenute Lunelli prendono vita sulle pendici dei monti del Trentino, dove la passione e l’esperienza con i vitigni base del Trento DOC, chardonnay e pinot nero, fanno nascere le prime espressioni ferme negli anni ’80. Si tratta di vini di montagna nella vera espressione del termine, che beneficiano dell’altitudine e dell’escursione termica per raggiungere una buona maturazione unita ad aromi intensi e un’attenta acidità. La casa della produzione trentina è Villa Margon, una struttura del ‘500 nascosta del bosco e decorata da numerosi affreschi di cui tre a tema vitivinicolo.

Venendo alle degustazioni ecco il Villa Margon 2017, ottenuto da chardonnay in purezza. Vino di grande complessità e al tempo stesso equilibrato, rilascia profumi che ricordano la macedonia di frutta unita a una punta acida e piccante di yogurt, pepe bianco, cardamomo. In bocca è lineare e si sposta verso agrumi quali mandarino e pompelmo. Su tutto si fa largo la sensazione che sia un vino pronto a migliorare nel tempo, la cui longevità è difficile da mettere in discussione. A seguire il Maso Montalto 2016, da pinot nero in purezza coltivato in uno dei masi della famiglia Lunelli a 400 metri di altitudine: i suoi profumi portano alla mente immagini di campi fioriti. Il suo bouquet floreale si accompagna a sentori di erbe aromatiche insieme a frutti di bosco, lamponi e fragoline. Al palato emerge una nota amaricante, di agrumi scuri come chinotto e arancia amara, con un finale asciutto e persistente.

Tempo di spostarsi in Toscana, dove dal 2001 la tenuta Podernovo a Terriciola ospita uve sangiovese insieme ai classici vitigni del taglio bordolese: cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot. Quattro elementi definiscono il terroir di Podernovo: il fuoco del sole che lo bacia a 360°, l’acqua del mare che ha lasciato l’eredità di fossili e conchiglie, la terra con la sua mineralità e la brezza del vento della costa toscana. Qui, oltre all’osservanza dei principi della coltivazione biologica (certificato ottenuto nel 2012), prende vita il progetto AnimaVitis per l’agricoltura di precisione. Se anche a pochi metri di distanza le viti possono trovare condizioni eterogenee, l’obiettivo del progetto è di aumentare quanto più possibile equilibrio e uniformità. Attraverso analisi effettuate con l’ausilio di sensori a infrarossi diventa possibile stabilire i giusti interventi da effettuare ogni 5 metri di spazio, circa 6 piante.

Il primo vino in degustazione, Costa Toscana IGT Teuto 2015, unisce la toscanità del sangiovese all’internazionalità di cabernet e merlot. La cura dei dettagli nella selezione delle uve e nei diversi affinamenti per i tre uvaggi ci regala un vino austero, ancorato al terreno con profumi di terra smossa, chiodi di garofano, cacao in polvere, alloro. Il caldo che ha caratterizzato l’annata 2015 si rivela in bocca con una solarità che al contempo conferma le sensazioni olfattive evolvendo il sapore dal cacao alla torrefazione, tabacco, senape. Viene il turno di Costa Toscana IGT Auritea 2015. Il suo nome deriva da arca aurita, una conchiglia fossile di origine marina presente da milioni di anni nei terreni della Tenuta. L’aspetto è vellutato di un rosso rubino luminoso; l’intensità olfattiva ricorda il profumo di cacao, noci, pepe nero, tabacco. In bocca troviamo un equilibrio dinamico, fatto di movimenti armonici dove un tannino di grande personalità ne completa la ricchezza.


I viniInfine, “entriamo” nel Carapace di Arnaldo Pomodoro, cantina simbolo della Tenuta Castelbuono in Umbria. Una struttura imponente in grado di coniugare scultura e architettura riuscendo allo stesso tempo a integrarsi perfettamente con le colline circostanti. Il carapace (il guscio della tartaruga) è simbolo che richiama stabilità e longevità. Tutto questo senza dimenticare la funzionalità di un luogo dedicato alla produzione del vino.

Nel rispetto del terroir umbro non poteva che essere protagonista il sagrantino, un vitigno difficile da coltivare caratterizzato dalla tannicità, figlia della spessa buccia unita alla forza derivata dal suolo argilloso. Nella produzione certificata biologica dal 2014 della Tenuta Castelbuono troviamo anche sangiovese, cabernet e merlot, utilizzati nella produzione del Montefalco Rosso.

Tre gli assaggi, a partire dal Montefalco Rosso DOC Riserva Lampante. Un vino espansivo, caratterizzato da aromi di frutta nera, prugna appassita con una nota dolce che si integra a una speziata, quasi minerale. Il lungo affinamento (18 mesi in tonneaux e 12 mesi in bottiglia) danno vigore senza essere eccessivo e mantenendo una buona freschezza al palato. Terminiamo con l’assaggio di due annate del Montefalco Sagrantino DOCG Carapace 2015 e 2010. Il primo fa subito notare la sua giovane età, anche se dimostra di essere già pronto, con i suoi sentori alcolici ed eterei di distillato di ciliegia e more, insieme al profumo di agrumi. In bocca il tannino, prodotto dal 100% di uve sagrantino, è piacevole e largo, carico di energia e potenza senza tralasciare un’armonia di fondo che lo rende decisamente un grande vino. I cinque anni di differenza per la versione 2010 si rivelano in un vino dai toni più cupi e una maggiore staticità. Più muscolare, il 2010 si caratterizza al naso per la presenza di polpa di duroni, spezie e sentori di gomma. In bocca si conferma una minore tensione e vibrazioni più contenute rispetto al 2015, pur mantenendo potenza ed eleganza.

Qui si conclude il viaggio nelle tre anime eleganti delle Tenute Lunelli. Un’avventura affascinante che ci ha fatto scoprire come, in ambiti e territori differenti, si possa trovare uno stile comune che caratterizza vini di gran classe.