Valle del Rodano: quando l’identità viene dalla ricchezza territorio

La ricchezza ampelografica della Valle del Rodano è uno degli elementi che contribuisce a tracciare l’identità di questa regione vitivinicola che, con i suoi 80.000 ettari, è una delle più importanti di Francia.

Anna Basile

Un mosaico dalla policromia sfaccettata, ardua impresa raccontarlo con una lettura generalizzante, ma Samuel Cogliati se ne guarda bene e, durante Enozioni 2019, conduce una degustazione che cerca di riconoscere, in ogni bicchiere, un po’ dei tesori che la zona racchiude. 

Samuel CogliatiSeguendo una logica prettamente vitivinicola, la Valle del Rodano va suddivisa in due settori: la parte settentrionale, che poggia sulla riva destra del Rodano e ha suoli tendenzialmente granitico-scistosi, è il regno dei piccoli appezzamenti ed è qui che la vinificazione da monovitigno diventa la scelta più frequente. La parte meridionale, invece, dal sottosuolo per lo più argilloso, limoso e calcareo, è terra delle grandi cooperative, con vigneti molto estesi. Qui, sulla riva sinistra del fiume, si trovano le grosse produzioni, molte delle quali fanno capo a cooperative sociali che, per tradizione, scelgono l’assemblaggio: grenache, syrah, cinsault e mourvèdre. L’intera regione gode di un clima mediterraneo, ma le differenze non mancano: il sud, più caldo, ha temperature torride sferzate dal Mistral, mentre il nord gode di un clima più fresco, condizione ideale per la produzione di syrah. Più volte ritroveremo questo vitigno nel corso della degustazione, in purezza o in assemblaggio con piccole percentuali di viognier nei vini prodotti nelle zone più settentrionali; negli assaggi del sud sarà invece affiancato alla grande varietà ampelografica della zona.

Château d’Ampuis, E. Guigal, Côte Rôtie 2011

Il 5% di viognier e il 95% di syrah compongono questo Côte Rôtie, denominazione principale della Valle del Rodano. La speziatura ascrivibile al vitigno si affianca a un inconfondibile sentore di rovere. Il naso rivela subito note di evoluzione molto fini, di pelletteria, ma dopo qualche olfazione il legno sembra chiudere la parabola espressiva del vino. Il progetto stilistico è chiaro: il rovere concorre a formare una morbidezza che si oppone a una solitaria nervosità acidula. La specificità del terroir trasferisce nel calice una vera, coriacea mineralità che è l’elemento centrale all’inizio dell’assaggio, mentre la conclusione ci riporta all’aromaticità del rovere. Meriterebbe di stare ancora qualche anno in cantina.

E. Guigal, Côte Rôtie 2012

Ancora un Côte Rôtie di Guigal, ancora un assemblaggio, ma con l’annata 2012 cambiano molte cose: il vino è più concentrato sulla croccantezza del frutto, sul pizzicore della spezia, sull’avvolgenza dell’alcol. Il naso è caratterizzato da un timbro di macchia mediterranea anche se l’impatto aromatico, dominato soprattutto dalla piccantezza, si conferma nota principale. Il vino sta lavorando per una serenità espressiva più convincente e l’assaggio non fa che confermare questa sensazione: la freschezza espressiva, frutto anche dell’esposizione climatica favorevole, rende questo Côte Rôtie 2012 vivace e convincente.

Château de Beaucastel, Famille Perrin, Châteauneuf-du-Pape 2014

Approdiamo a Châteauneuf-du-Pape, cru reso celebre dalla predilezione dei papi avignonesi, ancora oggi riferimento per l’enologia francese. Lo Château de Beaucastel 2014 è un assemblaggio tipico di 13 vitigni: grenache 30%, mourvèdre 30%, syrah 10%, counoise 10%, cinsault 5%, vaccarèse, terret noir, muscardin, clairette, picpoul, picardan, bourboulenc, roussanne per il restante 15%. Il naso è magnifico, di grande tenerezza aromatica, con sentori di frutta appena matura, vanigliata, e continua ad arricchirsi con note di cioccolata calda e un corollario di agrumi canditi. In bocca la trama setosa fa spazio a un tannino incisivo mai sgraziato. Vino di interessantissima bevibilità, compiutamente maturo, che non concede niente a sentori acerbi.

Domaine Vieille Julienne, Châteauneuf-du-Pape, 2008

Vegetale e linfatico, con un naso austero, il Domaine Vieille Julienne 2008 all’inizio è cupo, con i suoi accenti solo terrosi, poi vira verso note di pelletteria e cuoio grezzo. La bocca, ogni volta nuova, diversa, imprevedibile, chiaro segnale della ricchezza del territorio, comincia ad essere matura, con una trama tannica farinosa, incisiva, e la freschezza ancora evidente. Il vino è sottile, slanciato, ruvido, «fantasticamente gastronomico», suggerisce Samuel, «è l‘unico che mi fa pensare alla tavola».

Jann Chave, Crozes Hermitage, 2016

Marsanne (70%) e rousanne (30%) compongono il Crozes Hermitage di Jann Chave, fresco, fragrante, vinoso, erbaceo. Dal naso si potrebbe immaginare un vino nervoso, esile, ma la bocca è costruita intorno all’avvolgenza, con note di violetta e lavanda. Non è un mastodonte e non ha una carriera secolare, però «resta un infanticidio stapparlo oggi. Questo vino va atteso almeno un altro paio di anni quando sarà più affusolato, tattilmente più interessante», aggiunge Samuel.

Vieux Télégraphe, famille Brunier, Châteauneuf-du-Pape, 2015

Naso carnoso, profondo, complesso, Vieux Télégraphe 2015 incarna quelle note simbolo dei bianchi della Francia meridionale: ampiezza soave di frutto, balsamicità, freschezza di agrume. «Aderisce a una stilistica straordinariamente raffinata», spiega Samuel, «questo vino è una coccola», la delicata presenza agrumata si affianca a lievi note di tiglio e radice amara, e stupisce per la capacità di toccare tutte le parti della bocca avvolgendola senza passi bruschi. Questo vino è un monito: non dobbiamo mai dimenticarci dei bianchi del Rodano.