Vinovagando in Valle d’Aosta. Quando l’emozione ha voce

Racconti dalle delegazioni
05 dicembre 2019

Vinovagando in Valle d’Aosta. Quando l’emozione ha voce

Dalla rassegna Vinovagando una serata all’insegna dei vini valdostani accompagnati dall’autoctono Altai Garin.

Marco Agnelli

«Cosa significa vinovagare?», chiede a sé stesso e al pubblico in sala, Altai Garin.

Andare per vigne e cantine, indubbiamente, ma farlo soprattutto con uno spirito completamente immerso nell’esperienza, risponde la platea. Proprio come scrisse Mario Soldati, nel suo capolavoro Vino al vino, un vero e proprio manifesto del vinovagare, in un passaggio che ci legge Altai:

«Che cosa dice l'odorato, e il palato, quando sorseggiamo un vino prodotto in un luogo, in un paesaggio che non abbiamo mai visto, da una terra in cui non abbiamo mai affondato il piede, e da gente che non abbiamo mai guardato negli occhi, alla quale non abbiamo mai stretto la mano? Poco, molto poco»

E, a sorpresa, dopo solo pochi minuti d’introduzione, partiamo subito con la degustazione perché «se andrete a visitare una qualunque cantina valdostana, la prima cosa che faranno sarà offrirvi un calice di vino», prosegue Garin.

Il primo vino è un’espressione molto classica di pinot grigio dell’azienda Lo Triolet che ha espiantato una vigna di petit rouge per piantare proprio questo vitigno. Nonostante un forte ritorno di interesse nei confronti del pinot grigio registrato negli ultimi anni, la sua coltivazione in Valle d’Aosta è in realtà molto antica e risale ad almeno mille anni fa. È tradizionalmente chiamato nus malvoisie.

Vallée D’Aoste DOC Pinot Gris 2014 – Lo Triolet

100% pinot grigio

Alla vista «colori che esplodono», citando i Timoria. Il naso si apre con una nota pregnante di fiori. Si avverte una netta impressione ammandorlata legata all’evoluzione in bottiglia. La componente floreale è di fiori gialli. Seguono tarassaco e pesca noce. All’assaggio erompono le componenti di sapidità, ben bilanciate da una freschezza importante che ci conferma che il vino, nonostante abbia qualche anno alle spalle, non è affatto in fase discendente.
Il relatore

L’ampelografia valdostana constava inizialmente di oriou picciou e oriou gros (antenati rispettivamente di petit rouge e di vien de Nus), picotendro, moscato e nus malvoisie. Una grande svolta si ebbe nel 1886, quando venne inaugurata la linea ferroviaria Chivasso-Aosta. A quel punto, grazie all’inaspettata finestra sul mondo circostante, il vignaiolo scoprì barbera, ciliegiolo, dolcetto e decise di espiantare a favore di questi i vitigni tradizionali e autoctoni. Altra pietra miliare nella storia ampelografica di Valle fu la nascita dell’Ecole Agronomique(oggi Institut Agricole Régional) nel 1951, ossia la scuola che portò una ventata di tradizione e insieme di innovazione non solo riscoprendo i vitigni autoctoni, ma introducendo anche gli internazionali, testando e facendo selezione. Arrivarono dunque pinot noir, chardonnay, gamay, syrah, traminer aromatico, incrocio Manzoni, gamaret e sauvignon. Altro passaggio fondamentale fu quando, nel 1970, il canonico Joseph Vaudan, originario del vallese, decise di portare con sé un vitigno a lui caro, il petit arvine, che trovò in Valle d’Aosta il suo genius loci.

Vallée D’Aoste DOC Petit Arvine 2016 – Ottin

È una fototessera del vitigno, poiché troviamo nel calice tutte le descrizioni precisamente riconducibili al petit arvine. Colore chiaro, grande densità del liquido nel calice. L’apertura olfattiva è di frutta continentale che poi sfuma sull’esotico: prima mela renetta, poi papaya e a chiudere un sentore quasi polveroso di cipria. Il sorso rivela una notevole freschezza, l’acidità è piacevolmente mordace e quasi maschera un tenore alcolico importante. Sul finale di bocca ritorna la nota di frutta esotica.

Il moscato affonda le proprie origini probabilmente in Grecia, ma ha trovato la sua zona di predilezione a Canelli. In Valle d’Aosta esiste da secoli. La storia del moscato è perlopiù stata scritta con la sua versione dolce ma, a dispetto di ciò, la Valle d’Aosta è stata la prima DOC ad ammettere a disciplinare il moscato secco. 

Vallée D’Aoste DOC Moscato Bianco 2014 - Château Feuillet

100% moscato

Con questo vino ci troviamo nell’areale di St. Pierre, da Maurizio Fiorano, titolare di Château Feuillet, che in vigna adotta tecniche biodinamiche mentre in cantina segue un approccio più convenzionale. Nel calice - non senza una certa sorpresa - non avvertiamo l’intensità classica da moscato. L’impatto si gioca su note resinose di abetaia e di pesto di pinoli. Escono solo in un secondo tempo salvia e mela verde, i marcatori più tipicamente riconducibili al vitigno. In bocca l’aromaticità del moscato è invece ben avvertibile, accompagnata da una sapidità importante, buona freschezza e alcolicità sostenuta. 

Il pinot nero in Valle d’Aosta, seppur con piccoli numeri, sta dando negli ultimi anni buoni risultati, con una qualità media interessante e superiore rispetto ad altre zone d’Italia. Con un mirabolante parallelismo cinematografico, Altai stupisce il pubblico dicendo «se Fellini è il pinot nero, la Borgogna è “Otto e Mezzo” e la Champagne “La dolce vita”. La Valle d’Aosta può essere un film difficile da trovare, godibile come il penultimo film del grande regista, “L’intervista”».

Vallée D’Aoste DOC Pinot Noir 2012 – Ottin

100% pinot nero

Ottin lega in maniera decisiva la sua storia con la produzione di pinot nero, essendo stato il primo in regione a vinificarlo in purezza negli anni ’90. Unghia granata e trama centrale tutt’altro che intensa riconducono immediatamente alle caratteristiche cromatiche proprie del pinot nero. Anche l’apertura olfattiva conferma la sua assoluta riconoscibilità, con piccoli frutti di bosco e rosa canina. Il bouquet secondario è presente e bussa alla porta con erbe aromatiche, timo, poi arancia sanguinella e cedro. Per chiudere, un lieve sentore etereo legato al lungo affinamento in bottiglia. L’uso del legno è perfetto. In bocca è carnoso, sapido, con un tannino integrato, che compare quasi timidamente.

Il petit rouge è il re dei vitigni autoctoni valdostani. Di maturazione tardiva, utilizzato perlopiù in tagli, è leggero e ricorda, a livello aromatico, il refosco per le spiccate note metalliche al naso.

Vallée D’Aoste DOC Torrette 2016 - Anna De Santis

100% petit rouge

Colore lucente, naso letteralmente croccante con un frutto di cui quasi si può immaginare il crepitio dopo averlo addentato. Erba aromatica, con una leggera punta di origano, e a seguire agrume, rosa d’aiuola e una chiusura asprigna. All’assaggio il tannino spunta immediatamente, ma il sostegno acido lo bilancia molto bene. Il vino è un esempio della classica tipicità della zona di produzione, l’Envers, esposta a nord.

L’ultimo vino in degustazione proviene dall’Adret, esposto a sud, ed è prodotto da vecchie vigne, tutte di uve autoctone. Siamo a Montagnine, frazione di St Pierre. È il vino del cuore di Altai Garin, poiché le vigne sono di proprietà della sua famiglia, piantate da suo nonno e attualmente condotte da Henri Anselmet. Siamo di fronte a un vino lungamente atteso in pianta e con un corredo aromatico disegnato dalle uve surmature.

Vino rosso Nagott 2015 - La Plantze

50% petit rouge, 20% fumin, 15% cornalin, 10% mayolet, 5% premetta

L’impatto olfattivo, rispetto al petit rouge precedente, è differente sebbene i descrittori siano analoghi. La sensazione di croccantezza del frutto continua a farla da padrone. La balsamicità è evidente e di notevole complessità. Si percepiscono ricordi di resina a braccetto con note decise di appassimento. Impatto alcolico indubbiamente importante, ma ben bilanciato dalla freschezza.

«Che cosa succederà nell’immediato futuro» in Valle?» - conclude Garin. «Quali sono le tendenze che ci accompagneranno nei prossimi anni?» Stanno nascendo nuove spinte di notevole attrattiva: l’interesse massiccio nei confronti dei vitigni internazionali, la sempre più diffusa conversione a viticoltura green e la realizzazione di uvaggi bianchi, elemento inedito non solo in regione ma tutto sommato poco diffuso in tutta Italia. 

Sé te me fèi pleué tè fio pé tsanté (se mi fai piangere io poi ti faccio cantare)

(antico proverbio valdostano)