Coteaux-Champenois. La Champagne tra storia, nostalgia e futuro

Coteaux-Champenois. La Champagne tra storia, nostalgia e futuro

Approfondimento Francia
di Samuel Cogliati Gorlier
18 giugno 2022

Oggi rappresentano una nicchia di mercato portata avanti più per tradizione che per business, ma fino a metà Ottocento i vini tranquilli erano ancora i più prodotti

Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 22 Maggio 2022

Sì, la Champagne produce vini fermi. Certo, è grazie ai suoi spumanti metodo classico che la più settentrionale delle regioni viticole francesi è osannata nel mondo intero e rappresenta uno dei sogni più bramosamente custoditi di ogni appassionato di vino. Un patrimonio effervescente da 300 milioni di bottiglie vendute e 4,2 miliardi di euro di giro d’affari ogni anno, cifre che dànno il capogiro. Un patrimonio così consolidato da travalicare, nell’immaginario collettivo, il legame tra origine geografica, tipologia e denominazione vinicola. L’equazione non avviene infatti tra il nome più altisonante del pianeta-vino e un metodo produttivo né un luogo di provenienza; semmai tra un marchio e l’idea stessa del lusso fattosi bevanda. L’antica provincia di Reims, Troyes ed Épernay non possiede tuttavia una storia solo spumantistica. Anzi, proprio come altre regioni, a iniziare dalla vicina Borgogna, per secoli ha prodotto essenzialmente vini tranquilli, soprattutto rossi. Di questo passato glorioso – per quanto ignoto ai più – la Champagne conserva una traccia anche nella sua enografia contemporanea, con una appellation d’origine contrôlée riservata a bianchi, rosati e rossi: Coteaux-Champenois (all’incirca “Colli della Champagne”). Si tratta di una denominazione d’origine quasi sconosciuta e assai poco utilizzata, ma molto significativa da vari punti di vista. Sul piano storico è la testimonianza di prestigiosi trascorsi e di una continuità produttiva. Sul piano gustativo è la prova tangibile di una peculiare espressività dei suoi vini, oltre che la cartina di tornasole della spumantistica. Sul piano produttivo è una vera sfida tecnica, un motivo di distinzione e di orgoglio, nonché una scommessa per il presente e per il futuro. Ripercorriamo tutti questi aspetti.

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UNA STORIA BLASONATA
Nel Medioevo la Champagne era già nota per i suoi vini detti della Montagne e della Rivière, pressappoco le attuali Montagne de Reims e Vallée de la Marne. Non erano però spumanti. Fino al Seicento inoltrato la produzione riguardava vini rossi; solo a partire appunto da quel secolo iniziarono a circolare alcuni bianchi, i più apprezzati dei quali erano ottenuti da uve nere, antenate degli attuali pinot noir e meunier. Se i vini che oggi chiamiamo blancs de noirs incarnarono una svolta nello sviluppo della spumantizzazione – fenomeno ancora poco più che casuale fino al Settecento –, quelli rossi continuarono a rappresentare a lungo il grosso della produzione regionale. Erano così quotati negli ambienti d’élite da prevalere nella tenzone che li oppose ai cugini borgognoni, quanto meno stando alle fonti dell’epoca. A metà Ottocento la produzione pendeva ancora a favore di circa il 60% di vini fermi, contro una crescente minoranza – seppur altamente significativa, specie sul piano reddituale – di champagne. Fu l’industrializzazione della spumantistica a invertire in quei decenni i rapporti di forza, imponendo una volta per tutte l’effervescenza quale marcatore culturale e identitario della Champagne. Le innovazioni tecniche, economiche e sociali del Secondo Impero napoleonico segnarono il declino definitivo dei vini tranquilli, che non riuscivano più a contrastare la concorrenza di altre regioni più favorite dal clima. Nondimeno, forse per onore, forse per tradizionalismo, la Champagne non abbandona mai del tutto questa nicchia di mercato. Quando nel 1936 nascono le prime appellations d’origine contrôlée, accanto alla Aoc Champagne vede la luce anche una Aoc “Vin Originaire de la Champagne Viticole”, destinata ai vini non effervescenti. Nel 1953 il suo nome è modificato in “Vin Nature de la Champagne”; nel 1974 una nuova variazione, con la nascita dell’attuale denominazione Coteaux-Champenois. A dispetto di una moda passeggera che, tra anni Settanta e Ottanta, ritaglia qualche sprazzo di notorietà a favore dei rossi (specie quelli di Bouzy, Grand cru della Montagne de Reims), la produzione non decolla mai. Si stima che i volumi non abbiano mai superato le 100.000 bottiglie l’anno!

UN PRESENTE CHE GUARDA AVANTI
Quando quasi vent’anni fa iniziai a scandagliare il mondo della Champagne i coteaux-champenois erano una rarità assoluta, e soprattutto erano tenuti in scarsissima considerazione. Nello sguardo dei vignaioli stessi si leggeva chiaramente un sentimento di distanza da questa tipologia, un misto di sfiducia, perplessità e talora quasi di sufficienza. Complici probabilmente i mutamenti climatici, che hanno portato vendemmie anticipate con maturazioni più convincenti e meno travagliate delle uve, il quadro e le prospettive sono andati mutando. Non che i volumi vinificati siano cresciuti di molto – gli ultimi dati stimano la produzione in meno di 150.000 bottiglie, ossia lo 0,05% della produzione complessiva della Champagne! –, ma la considerazione del pubblico e di conseguenza dei vignerons si è evoluta. Nella gamma di numerose aziende che prima non sembravano neanche voler vagliarne l’ipotesi si sono affacciate una o più cuvée di coteaux-champenois. Oggi la quota relativa ai vini bianchi pare aumentare, sradicando la storica prevalenza dei rossi.

I rosati rimangono invece una realtà talmente marginale da risultare pressoché trascurabile (eccezion fatta per il Rosédes- Riceys – vedi riquadro). È dunque probabilmente cambiata la percezione interna di questa tipologia. Per quanto certi domaines, soprattutto alcuni piccoli récoltants, si stiano spesso sforzando di declinare una parte della propria produzione di champagne su scala più locale, di cru o addirittura di vigneto, un vino fermo ricalca e restituisce ancor meglio l’aspettativa di tanta parte del mondo enoico contemporaneo di valorizzare un’interpretazione enografica precisa, quasi chirurgica, molto territoriale. Tanto più che il modello di riferimento è la vicinissima Borgogna, che ragiona in termini di cru e climats, e che condivide con la Champagne alcuni vitigni: pinot noir e chardonnay su tutti. I coteaux-champenois diventano dunque lo strumento élitario ma elettivo di una lettura territoriale del vino, in una regione ancorata da secoli al concetto di grande marca. Produrre un buon vino tranquillo in Champagne è però difficile e meno redditizio. Non gode della stessa notorietà di uno champagne, cui basta il nome per imporsi sul mercato. Richiede terroir di alto valore e più lavoro in vigna, per ottenere uve di qualità superiore. Al contrario, poiché si basa sulla leggerezza e sull’acidità, per lo spumante si possono infatti utilizzare uve più diluite, provenienti da rese maggiori. Quindi produrre di più. In pratica i coteaux hanno quasi solo svantaggi. Perché allora un vignaiolo dovrebbe sacrificare tempo, energie e quantitativi per ottenere un vino meno quotato, meno abbondante, e che difficilmente potrà vendere a un prezzo più alto? Forse per marketing e per immagine, ma soprattutto per tradizione, passione e orgoglio.

UN GUSTO SINGOLARE
Dal punto di vista dell’acquirente e del degustatore, quali possono essere le motivazioni per acquistare un coteaux-champenois, tenuto conto anche del fatto che si tratta quasi sempre di bottiglie costose? Per curiosità e cultura enoica, naturalmente, ma anche per motivi meno speculativi. I coteaux-champenois mostrano in effetti una fisionomia gusto-olfattiva peculiare, costruita sulla leggiadria, una virtù troppo spesso trascurata o sottovalutata nel mondo del vino. Possiedono una gradazione alcolica contenuta, dunque una spiccata bevibilità, e in genere un profilo acido rilevante. Quando a questo binomio si aggiungono una mineralità apprezzabile e un’elegante dotazione aromatica, i vini assurgono a una minuta ma ben fondata complessità. Questo li rende per un verso raffinati, per altro verso capaci di un’insospettabile evoluzione. Diversamente da quanto si potrebbe credere, infatti, la stragrande maggioranza dei coteaux-champenois va lasciata invecchiare alcuni anni prima di raggiungere il suo optimum espressivo. Infine, degustare un coteaux aiuta a comprendere meglio lo champagne, ovvero le motivazioni storiche che hanno indotto la regione a scommettere in modo vincente sulla spumantizzazione.