Attraverso una bottiglia. Sinceramente.

Attraverso una bottiglia. Sinceramente.

Bloc-notes
di Céline Dissard Laroche
27 maggio 2020

Viniplus di Lombardia - N°18 Marzo 2020. Sul vino, attorno al vino, tanto si dice e ancora di più si scrive: tra riviste e libri, migliaia di pagine e centinaia di autori a costruire un rumore di fondo facilmente dimenticabile e talvolta, diciamolo, francamente inutile. Ma i libri belli, i libri che qualcosa da dire ce l’hanno, sono subito riconoscibili.

Tratto da Viniplus di Lombardia N°18 - Marzo 2020

Clicca sull'immagine per scaricare l'articolo in formato PDF“Il vino sincerissimo” di Giampiero Pulcini è così, si fa subito riconoscere: un bravo autore e un bel libro. Un bravo autore che apre citando un lucidissimo Luigi Pintor: «un libro serve a chi lo scrive, raramente a chi lo legge, perciò le biblioteche sono piene di libri inutili». «Nel mio caso, questi appunti sono soltanto un espediente per riordinare nella fantasia dei conti che non tornano con la realtà». Per Giampiero Pulcini è il vino ad essere l’espediente con il quale riordinare il complesso rapporto che ciascuno di noi intesse con la vita, la realtà, le relazioni con gli altri. Il vino è il pretesto per raccontare (e raccontarsi) e l’autore sa farlo con l’arte garbata degli artigiani più che con la prosopopea ricercata degli esperti. Dicendo cose importanti mentre ipnotizza con parole leggere, evocative, umilmente enfatiche, “strappate di dosso” come le descrive nella bella “non prefazione” Luca Santini. Un bel libro, uno di quelli che, quando cominci con le prime pagine, già rimpiangi di non avere tempo a sufficienza per leggerlo tutto d’un fiato. Ventiquattro racconti numerati uno ad uno che altrimenti ti ci potresti perdere, saltando qua e là, andando avanti per poi tornare indietro, rileggendone qualcuno per trovarlo ancora più bello. Ogni racconto è autonomo e il vino c’è, sempre, in ogni pagina, ma più che protagonista, lo trovi sullo sfondo, pretesto e contesto per integrare, tra di loro persone, cose, relazioni. Non ci sono vertiginose degustazioni, verticali, graduatorie a punteggi atte a certificare il migliore vino al mondo, agiografie di produttori mainstream, fotografie patinate e schede informative dettagliate. Un filo rosso, una chiave di lettura pare tuttavia di scorgerla con chiarezza: più che trasmettere informazioni sul vino, Giampiero Pulcini ci regala una poetica del legame tra vita e vino. Una poetica costruita con la saggezza del narratore che sa condividere più che stupire o convincere, evitando sofismi da grande critico o tecnicismi da enologo ispirato.

Ventiquattro racconti, grafica e lettering sobri e invitanti. La materialità del libro, la sua forma sembrano anche esse ispirate dall’evidente intenzione di liberare, di togliere dai dintorni del vino «barriere e gerarchie, (… per) capire che il vino è una strada da percorrere e non un muro da dietro cui tirar sassi,» come l’autore dice in quello che è tra i più ispirati racconti presenti nel libro, «Il piedistallo». Un racconto in cui, mitigata da un testo profondamente poetico, emerge una urgenza iconoclasta, una voglia di togliere dal piedistallo i vini nobili, i produttori simbolo, il feticcio della purezza, i sofismi tecnici, i lacci, le catene del commercialmente corretto e rimettere il vino e le parole che lo descrivono giù, per terra, liberi di piacere e di creare relazioni, incontri, nuove parole. Libero da quella patina di inaccessibilità e snobismo che l’hanno relegato su un piedistallo per restituirlo alla vita vera, popolare, contraddittoria, sfuocata ma sincera. Anzi sincerissima.