Il Ritrovino, incontri e confronti: il Lugana

Il Ritrovino, incontri e confronti: il Lugana

Degustando
di Giuseppe Vallone
19 aprile 2021

Per uno dei tanti nuovi format on-line, AIS Lombardia non poteva trovare nome migliore. Un ritrovo accogliente, intimo, dove incontrarsi e confrontarsi su una denominazione italiana scelta dal moderatore della serata: un Ritrovino, appunto. Protagonista è stata una delle eccellenze della nostra regione, il Lugana.

Le regole di ingaggio sono chiare: ci si procura un’etichetta della denominazione e della tipologia indicate, ci si mette comodi davanti al monitor con webcam e microfono accesi e si parte. Il Ritrovino è stato pensato approfondire alcune denominazioni italiane, coinvolgendo attivamente i partecipanti, chiamati a intervenire e raccontare il vino che hanno scelto e che stanno degustando.

Nicola Bonera si presenta all’iniziativa con il Lugana, «uno dei vini bianchi italiani di razza», il vino che – per sua ammissione – ha caratterizzato gli anni della sua formazione sulle sponde del Lago di Garda.

È un vino, il Lugana, che da anni conosce un’incessante crescita, dovuta più a un profondo cambio di mentalità tra i viticoltori che a un vero e proprio ampliamento della superficie vitata. Certo, quest’ultima è fisiologicamente cresciuta – foss’anche solo per rispondere, in termini di materia prima, alla maggiore richiesta di mercato – ma a ben guardare l’areale non è variato dalla nascita, nel 1967, della DOC. Cinque erano, e cinque sono tutt’oggi, i Comuni entro i cui confini si può produrre il Lugana: Desenzano del Garda, Lonato del Garda, Peschiera del Garda con la frazione San Benedetto, Pozzolengo e Sirmione, che con la sua frazione Lugana dà il nome alla denominazione. Ciò che invece è mutato nel corso degli anni è la consapevolezza dei viticoltori circa il valore e il potenziale del loro prodotto: di conseguenza, vi è stata una poderosa crescita della quota di vino imbottigliato rispetto allo sfuso che, in passato, caratterizzava la maggior parte della collocazione sul mercato del Lugana.

Nicola BoneraÈ fuor di dubbio che un peso decisivo verso questa sterzata l’abbia giocato il turismo, spesso straniero, che bacia tutta la splendida area del Garda, così che se in passato, ricorda Nicola, «si beveva Lugana perché si era in vacanza sul Lago, oggi si va sul Garda anche per bere il Lugana». Il vino, dunque, da corollario a vero e proprio coprotagonista della crescita di un luogo.

I numeri, d’altronde, sono lì a certificare questo successo: con oltre 24 milioni di bottiglie prodotte nel 2020 il Lugana – nonostante abbia come primo sbocco il mercato estero – è un vino che non è difficile trovare nella GDO, dove però si colloca con uno dei prezzi medi a scaffale più elevati, mediamente superiore ai 7,50 euro.

Si può quindi dire che si tratta di un vino dalle «importanti performance in degustazione a un prezzo ancora molto competitivo».

Alla base di tutto sta la turbiana, uva della famiglia dei trebbiani, che in questo particolare areale - la “selva lucana”, entroterra acquitrinoso del lago, bonificato tra il XIV e XV secolo – da tempi immemori dona «squisiti trebulani», come Andrea Bacci descrisse i vini locali nel suo De Naturali Vinorum Historia del 1595.

Con caratteristiche simili al verdicchio, che se ne differenzia per la maggiore muscolatura a dispetto di una turbiana più snella e affusolata, questa è un’uva che esprime struttura, alcol, acidità e salinità, oltre a indubbie componenti aromatiche. Sotto certi punti di vista, ha caratteri che la avvicinano a un’uva rossa.

Quel che colpisce della turbiana, e di riflesso dunque del Lugana, è il suo prestarsi ottimamente ai lunghi invecchiamenti.

Diceva Luigi Veronelli, ormai vent’anni fa:

«Bevi il tuo Lugana giovane, giovanissimo, e godrai della sua freschezza. Bevilo di due o tre anni e ne godrai la completezza. Bevilo decenne, sarai stupefatto della composta autorevolezza. I Lugana, cosa rara nei vini, hanno una straordinaria capacità di farsi riconoscere. Tu assaggi un Lugana e, se sei un buon assaggiatore, non puoi dimenticarlo.»

Non si può che essere concordi se, oggi, siamo nelle condizioni di bere con grande soddisfazione Lugana di metà anni ’90 e ancor più risalenti.

Oltre alla capacità di invecchiamento, quello che ammalia del Lugana è l’attitudine della turbiana di esprimere la terra in cui viene coltivata. L’areale di produzione, ricadente in cinque Comuni del bresciano e del veronese, si può infatti ulteriormente dividere in due macro-zone, idealmente a nord e a sud dell’A4. A nord, la pianura che si stende dal nastro autostradale verso il lago è caratterizzata da argille compatte e profonde che donano ai vini una peculiare sapidità. Verso sud, invece, il paesaggio si fa dolcemente collinare e la composizione del terreno, via via più sabbiosa, si esprime nel vino con una maggiore componente acida.


Con questi caratteri, Nicola definisce senza esitazioni il Lugana come un «vino bianco moderno, all’avanguardia, che ha sempre saputo anticipare i tempi». Un vino che viene oggi prodotto in cinque tipologie: oltre al Lugana tout court, che definire “base” sarebbe quantomeno ingeneroso, vi sono il Lugana Spumante, sia metodo classico che charmat; il Lugana Superiore, che richiede - oltre al canonico 0,5% di titolo alcolometrico aggiuntivo – l’affinamento di almeno un anno a partire dalla vendemmia; il Lugana Riserva, naturale evoluzione della tipologia Superiore, che deve invecchiare o affinarsi per almeno 24 mesi, di cui 6 in bottiglia; e, dal 2015, il Vendemmia Tardiva, un Lugana che il Consorzio definisce «più “sperimentale”, lontano dalla dolce viscosità di un passito tradizionale», ottenuto con una surmaturazione in pianta attraverso una raccolta tardiva delle uve tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, senza ulteriori appassimenti in fruttaio.

Per il nostro Ritrovino, Nicola ci ha chiesto di acquistare una bottiglia di Lugana DOC che non fosse delle tipologie Superiore, Riserva, Spumante o Vendemmia Tardiva, di annata compresa tra il 2007 e il 2017. L’obiettivo, infatti, era quello di valutare il potenziale evolutivo della tipologia più diffusa di Lugana, senza considerare le caratterizzazioni proprie delle altre tipologie. I partecipanti, diligentemente, si sono procurati dei campioni di annate tra il 2014 e il 2017, con qualche eccezione di 2018 e 2019 che ha però aggiunto quell’ulteriore tassello circa le tante sfaccettature che il Lugana sa regalare.

Nicola ci ha quindi dato qualche coordinata circa i caratteri che avremmo probabilmente percepito al naso e in bocca, in funzione delle diverse annate:

2014: annata fresca e piovosa (Brescia registrò 26 giorni di pioggia a luglio), che soltanto la relativa tardività della turbiana hanno potuto mitigare. I vini dovrebbero essere freschi, sottili e nervosi ma dal grande profilo sensoriale;

2015: annata calda, senza problemi in termini di regolarità produttiva. Bevuti oggi, i Lugana di quell’anno dovrebbero esprimere maggior frutto, cosa non scontata per un vino che, solitamente, fa delle note floreali e vegetali i primi marcatori olfattivi;

2016: l’anno più regolare di tutto il blocco. I Lugana 2016 dovrebbero rispondere quindi ai caratteri tipici della denominazione;

2017: altra annata calda. Da giugno ad agosto ci fu siccità, ma a ben ricordare aprile fu caratterizzato da gelate che interessarono anche la zona del Lugana. Rispetto ai 2015, i Lugana 2017 dovrebbero giocarsi su peculiari profumi erbacei, con una minore florealità a fronte di più buccia ed erbe secche;

2018: vendemmia abbondante in cui molti produttori – anche per recuperare un 2017 non facilissimo – raggiunsero le quantità massime previste dal disciplinare. I vini di quell’annata, bevuti oggi, dovrebbero essere spavaldi in termini di acidità, floreali e con note verdi;

2019: una via di mezzo tra la 2015 e la 2017: calda come la prima ma siccitosa come la seconda. I Lugana 2019, a parere di Nicola, «potrebbero esprimere un buon frutto e aver già raggiunto un buon compromesso con l’evoluzione».

Dopo l’interessante excursus introduttivo, Nicola ha vestito l’abito del moderatore, dandoci la parola e invitandoci a raccontare il vino che avevano davanti. Ecco alcuni interventi dei partecipanti.

Annalisa ha selezionato un Lugana 2016 di Ca’ Lojera nel quale ha individuato, oltre ai tipici caratteri floreale, erbaceo e di frutta tropicale, delle intriganti note agrumate che si sono distinte via via che il vino andava scaldandosi nel calice.

Anche Roberto ha optato per il millesimo 2016, per il suo Lugana di Sguardi di Terra, appezzandone i chiari sentori di pietra focaia, cipria e idrocarburo che hanno caratterizzato il naso e hanno riempito in modo gentile e sfaccettato l’assaggio in bocca.

Marco e Claudio hanno scelto un Lugana 2019, il primo di Mastia, il secondo di Farina. Entrambi hanno individuato nel millesimo dei profumi spiccatamente floreali ed erbacei, con una sapidità in evidenza rispetto all’acidità. Caratteristiche proprie, come ha spiegato Nicola, di un «millesimo a trazione anteriore».

Personalmente, ho degustato un Lugana 2014 di Ca’ dei Frati, ritrovandoci perfettamente il quadro tratteggiato da Nicola: un naso sottile, capace di esprimersi con note di idrocarburo, frutta candita, agrumi e fiori bianchi, accenni affumicati e un innegabile rimando iodato. In bocca il vino si è mostrato nervoso, decisamente sapido e con un aroma di mandorla che ha caratterizzato tanto l’inizio quanto la fine della beva.

Roberta ha scelto un Lugana 2017 di Cà Maiol che ha interpretato inizialmente con note minerali e vegetali e in seconda battuta con una componente floreale di camomilla e fiori delicati. L’assaggio si è caratterizzato da una cremosità quasi lattica riconducibile allo stile aziendale che ha fatto da contraltare a una gustosa acidità.

Claudia è rimasta sulla medesima azienda, scegliendo però un Lugana 2018: vino di grande sapidità all’assaggio e un tocco fumé di grande fascino ad arricchire il profilo olfattivo.

Tiziana ha bevuto un Lugana 2017 di Montonale, trovandolo verticale al naso con profumi di pesca acerba e timo, molto fresco e di grande persistenza, caratteristiche che l’hanno incuriosita circa le sue potenzialità evolutive.

In chiusura, una piacevole sorpresa: alla serata ha preso parte anche Babettli Azzone, componente, insieme alle sorelle Sara e Vanessa, della quarta generazione alla guida di Tenuta Roveglia. «Quando mio padre è entrato negli anni ’80 in terra di Lugana» ci ha confidato, «questo vino aveva una pessima reputazione. L’evoluzione, la longevità del Lugana è dunque anche questo: è partito dall’essere un vino sconosciuto e voluto soltanto dalla gente del luogo, ed è arrivato a essere un prodotto conosciuto, apprezzato e richiesto a livello mondiale».

Possiamo soltanto che essere d’accordo con Babettli. Il Lugana è davvero una delle eccellenze italiane, uno dei vini bianchi di grande caratura capace di esprimersi a livelli di assoluta eccellenza tanto in giovinezza, quanto soprattutto sulla lunga distanza. Grazie a Nicola Bonera, ad AIS Lombardia e al Ritrovino, oggi lo conosciamo un po’ di più.