Casimiro Maule. «Negli anni sono diventato più valtellinese dei valtellinesi»

Casimiro Maule. «Negli anni sono diventato più valtellinese dei valtellinesi»

Interviste e protagonisti
di Sara Missaglia
28 dicembre 2021

Ama la cantina, il profumo delle botti e del vino in affinamento, ma non può fare a meno della luce e delle passeggiate sui terrazzamenti valtellinesi. Cammina a lungo, ed è così, racconta, che gli vengono le idee migliori.

Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 21 Novembre 2021

Appena terminati gli studi di enologia nel 1971 a San Michele all’Adige, fu chiamato da Carlo Negri, il figlio del fondatore della cantina Nino Negri. Il Sciur Carluccio aveva chiesto il miglior studente dell’anno e si narra che, quando gli proposero di trasferirsi in Valtellina, rispose: “Dov’è?”. Da lì di strada ne ha fatta tanta, e con lui la Valtellina: ambasciatore di una cultura da sempre all’avanguardia, ha fatto dell’eccellenza il motore di ogni vino che ha firmato. Essere il “più bravo” è diventato negli anni un fatto normale: innumerevoli i riconoscimenti, tra i quali quello di Enologo dell’Anno 2007 del Gambero Rosso e, ancora prima, la Medaglia d’Oro al Concorso Enologico di Bordeaux nel 1989 per il suo Sfursat 5 Stelle. Moltissime le copertine dedicate, i viaggi all’estero per conoscere, capire e studiare, tutto documentato in un archivio che custodisce gelosamente e che si compone di libri e articoli sul vino, sempre aggiornati. Testimonianze del fare e dell’amore per il suo lavoro; in passato dichiarava: “ho sposato la Nino Negri”, e la moglie Marisa, da sempre al suo fianco, ancora oggi continua a sorridere.

UNA VITA IN VALTELLINA ARRIVANDO DAL TRENTINO DOPO GLI STUDI: TORNANDO INDIETRO NEL TEMPO QUALI SONO STATE LE PRIME IMPRESSIONI?
La prima impressione è stata buona e soddisfacente, finalmente libero da condizionamenti familiari, scolastici e militari. Purtroppo la realtà è stata un po’ diversa da quanto immaginavo: tanta uva, tanto vino, poche regole e un buon mercato (Svizzera) sia per quantità sia per fatturato. Tanto lavoro, tanto impegno ma con l’unico obiettivo di aumentare la produzione, in misura forse “esagerata” per una piccola zona di montagna come la Valtellina. Non riuscivo quindi a capire e interpretare questo modo di operare, cresciuto con logiche distanti da margine e profitto. Il pensiero di lasciare questa situazione mi ronzava nella mente, ma l’azienda, la storia, i vigneti e lo rimanere in Valtellina.

Clicca sull'immagine per scaricare il PDFHAI AVUTO MODO DI LAVORARE AL FIANCO DI CARLO NEGRI, FIGLIO DEL FONDATORE DELLA NINO NEGRI: QUALI SONO I RICORDI PIÙ INTIMI E PERSONALI E QUAL È L’EREDITÀ CHE HAI RACCOLTO DURANTE QUEGLI ANNI COSÌ IMPORTANTI?
Credo che il Signor Carluccio con il suo carattere autoritario ma affabile mi abbia dato la forza di superare momenti difficili e al medesimo tempo mi abbia formato permettendomi di essere non solo un tecnico ma una persona capace di relazionarsi con i viticoltori, con i clienti, con i fornitori e le istituzioni. Un’esperienza quindi non solo enologica ma umana. È stato un maestro di vita, una persona carismatica con una visione lungimirante, che mi ha lasciato un’eredità insuperabile.

TERRAZZAMENTI DEL VERSANTE RETICO: COSA CI PUOI RACCONTARE RIGUARDO ALL’IMPORTANZA DELLA VITICOLTURA IN VALTELLINA?
Si tratta di un versante vitato che ha pochi uguali al mondo per lo straordinario scenario ambientale e per le uve che riesce a produrre: nel corso della sua lunga storia vitivinicola ha tuttavia avuto periodi di successo alternati ad altri di crisi o perdita di identità, ultimo in ordine di tempo quello degli anni ‘80 del secolo scorso, contraddistinto dal mancato ritiro dei nostri vini da parte della vicina Confederazione Elvetica per oltre 4 milioni di litri di vino, corrispondenti al 70% della produzione totale. Un grave problema che portò alla chiusura di alcune aziende e al ridimensionamento di altre: fu un periodo difficile, ma grazie all’impegno, alla passione e alla dedizione di alcuni produttori e con il supporto di enti e istituzioni (riconoscimento della DOCG nel 1998 per il Valtellina Superiore) si riuscì a qualificare e a far rinascere un settore che un autorevole esperto aveva allora definito “malato terminale”.

COSA È CAMBIATO NEL MODO DI FARE VINO DA CINQUANT’ANNI A QUESTA PARTE?
Negli anni ’70 esisteva una buona viticoltura ma non una buona enologia, a causa di un mercato senza pretese: mancavano regole e leggi, e anche l’enologo era considerato quasi un medico del vino o un mescolatore di vini. A seguito dello scandalo del metanolo nel 1986 c’è stato uno stravolgimento che ha portato ad un rinascimento enologico. Sono nati i Consorzi, le DOCG con regolamenti e disposizioni che hanno portato a un notevole miglioramento delle uve autoctone e dei relativi vini con la riscoperta dell’unicità del territorio di produzione. Non più solo quantità ma grande attenzione alla qualità in vigna e in cantina per la soddisfazione del consumatore più attento ed esigente.

LA RECENTE PANDEMIA HA SICURAMENTE IMPATTATO ANCHE SUL VINO DI VALTELLINA. COSA ABBIAMO IMPARATO DA QUESTA LEZIONE E COSA È NECESSARIO FARE PER MIGLIORARE ULTERIORMENTE IL LIVELLO QUALITATIVO?
È sempre importante migliorare la qualità dell’uva e fare rete e squadra tra i produttori, lavorando insieme per mantenere contatti con enti e istituzioni e ottenere il giusto corrispettivo per le opere di manutenzione delle vigne terrazzate, i famosi muretti a secco. Fondamentale è ridare dignità al lavoro dei viticoltori e coinvolgerli sempre nella politica del settore, esigendo uva di qualità e pagandola per il suo vero valore. Occorrono costantemente nuovi investimenti in vigna e in cantina per alimentare la cultura dell’ospitalità non solo nelle case vinicole ma nell’intero territorio.

LA PARTNERSHIP TRA PRODUTTORI E RISTORATORI IN OTTICA DI SOSTENIBILITÀ: COSA CI PUOI DIRE AL RIGUARDO?
Ho sempre cercato di appassionare ristoratori ed enoteche come ambasciatori del patrimonio enogastronomico valtellinese, favorendo la valorizzazione della materia prima locale. Credo che per il Consorzio Vini, il Consorzio Mele e la Fondazione Fojanini sarà di primaria importanza studiare un protocollo di sostenibilità ambientale e sociale rispettato da tutti, arrivando a far percepire al consumatore l’autenticità e la sicurezza alimentare di tutta la Valle, e rendendo il produttore valtellinese orgoglioso di lavorare in un ambiente unico, pulito, giusto, responsabile e sostenibile.

QUAL È IL VINO CHE HAI FIRMATO E CHE AMI DI PIÙ?
Tutti i vini sono nel mio cuore: nel corso degli anni ricordo bene le prime esperienze con le ‘Botti d’oro’ (in collaborazione con AIS), a cui è seguita la selezione di alcuni vigneti di eccellenza, come i cru Tense, Mazer, Sassorosso e il Cà Brione, che hanno dato il via a un nuovo modo di fare e operare con il nebbiolo delle Alpi. Il vino che mi ha dato maggiori soddisfazioni è sicuramente lo Sfursat 5 Stelle che dalla vendemmia 1983 ha interpretato e valorizzato la potenzialità, la forza e l’unicità che il vitigno, se ben curato, può dare.

SE DOVESSI RISCRIVERE QUESTO CAMMINO COSA CAMBIERESTI?
Ognuno di noi fa sempre riesami sulla storia passata, ma sono convinto di essere riuscito a cambiare il modo di operare in un territorio di montagna, cercando di dare forza al neonato Consorzio di Tutela e coinvolgendo una buona parte dei viticoltori nella politica di settore e nella produzione di uve di qualità. I risultati ottenuti con la nascita di tante nuove piccole realtà sono prova che il cammino percorso è stato qualificante, vero e autentico. Sono diventato negli anni più valtellinese dei valtellinesi.