Il tortello cremasco

Il tortello cremasco

Non solo vino
di Andrea Grignaffini, Nicola Bonera
14 gennaio 2021

Viniplus di Lombardia - N°19 Novembre 2020 | La dolcezza del ripieno, la pasta rigorosamente senza uova, la zuppiera in ceramica per amalgamarli prima di servirli. Il rito senza tempo di un piatto che risale alla Repubblica di Venezia

Tratto da Viniplus di Lombardia N°19 - Novembre 2020

Il Rinascimento è stato un periodo di nuove imprese ma anche di stravolgimenti in particolare nella cultura culinaria riservata alla nobiltà e ai più abbienti. A quei tempi i cuochi presentavano una cucina dolce-salata in tutte le sue accezioni, dalle prime portate a fine pasto. Se si prende l’Opera di Bartolomeo Scappi (1570) estrapoliamo tante situazioni in cui si suggerisce di rendere “zuccherosi” cibi che in sé avevano caratterizzazioni forti di sapidità e di potenza gustativa. Ecco allora che si stemperavano in dolcezze carni di maiale grasse, selvaggina, cacciagione ma anche animali da cortile e quinto quarto. Gli elementi dolci erano costituiti da frutta fresca e secca, ma anche spezie dolci e zucchero sic et simpliciter. Lo zucchero infatti smorzava, rilanciava ma consolidava uno status di nobiltà dacché il suo costo (come quello delle spezie) era simbolo che conferiva nobiltà e pregio e rendeva lo zucchero degno quindi di essere consumato in banchetti elitari.

Un ingrediente particolarmente valorizzato per questa dicotomia dolce-salato è la zucca, molto versatile in svariate versioni, pensiamo ai tortelli a base di zucca con amaretti, mostarda e conditi con burro e formaggio, retaggio di un tempo passato e molto apprezzati ancora oggi nella bassa Lombardia (Cremona, Mantova) con diramazioni extra provincia. E in zona troviamo anche una chicca quasi sconosciuta: il tortello cremasco. La storia di questa eccellenza risale al tempo della Repubblica di Venezia quando arrivavano dall’Oriente navi cariche di spezie e trovavano stoccaggio in quel di Crema diventando così crocevia di ricchi commerci e commercianti tanto da rendere la cittadina importante e sede di palazzi prestigiosi costruiti da mercanti danarosi. Le spezie preziose di passaggio finirono per entrare nel mercato alimentare e stuzzicare la fantasia dei cuochi che insieme alla genialità delle casalinghe crearono un tortello unico nel suo genere. Ebbero un momento di grande fama nell’Ottocento quando diventarono imprescindibili in ogni festa importante come matrimoni e ricorrenze religiose. Per districarci da tutti i rivoli di contaminazioni e fusioni abbiamo ascoltato Roberta Schira, scrittrice e giornalista del Corriere della Sera e, sin dal 2015, capofila della Confraternita del Tortello Cremasco, sua città natale.

Partiamo dagli ingredienti indicati proprio dalla Confraternita che dimostrano immediatamente la dolcezza del ripieno. Piccolo fondamentale il mostaccino, un biscotto tipico della cittadina lombarda dal sapore molto speziato in cui si sentono la cannella, la noce moscata, l’anice stellato, i chiodi di garofano, il coriandolo, il macis, il pepe nero, il cacao. È la volta di un altro timbro a fuoco: gli Amaretti scuri di marca Gallina, un prodotto dolciario imprescindibile in questa preparazione. Siamo poi al mondo candito con l’uva sultanina (ammollata nel Marsala) e il cedro candito, due ingredienti che conferiscono un gusto dolcemente aromatico. Attivano poi il rinfresco le mentine, piccole caramelle di zucchero dal gusto balsamico. La ricetta di questo ripieno arriva dai tempi lontani in cui era indispensabile la manualità a tutto tondo, pertanto vanno evitati gli strumenti per tritare oltre il classico coltello e la mezzaluna. Così gli amaretti, il mostaccino e le mentine vanno pestati con un pestacarne o bottiglia di vetro o mattarello. Per completare la farcia con un tocco di sapore ecco l’aggiunta di Grana Padano stagionato e grattugiato, un quid di scorza di limone grattugiata, un profumo di noce moscata e un tuorlo d’uovo per amalgamare il tutto. Ruvidità e grip. In un contesto così baroccheggiante entra in scena la pasta che sarà rigorosamente senza uova: plastica, elastica, un po’ gommosa.

C’è, è vero, chi usa una sfoglia classica ma in questo modo perde la propria dimensione gustativa il ripieno nella sua ruvida dolcezza speziata. Si preparerà quindi così la pasta: mettendo la farina sulla spianatoia incorporando l’acqua bollente fino a ottenere un impasto morbido ma non appiccicoso e per evitare che si disfi in cottura aggiungere all’impasto un grasso, burro per prima opzione storica. E la storia continua il suo passo deciso con il finale del piatto. Se seguissimo la normale logica contemporanea dell’impiattamento di ravioli, tortelli et similia li presenteremmo in porzioni (meglio dispari per creare una sorta di “spaccatura” del sistema binario) ben distanziati su un piatto caldo (ma non rovente che farebbe effetto “tortello alla piastra”) conditi lievi e con grattugiata di Grana. Se invece optiamo per la tradizione più antica prepariamo una bella zuppiera di ceramica e iniziamo a creare strati di tortelli ancora leggermente umidi dopo la scolatura poi Grana grattugiato, burro e foglie di salvia ripetendo l’operazione su vari piani. Si chiude con il coperchio e si lascia riposare tre minuti affinché la condensa crei una certa amalgama di intreccio per un gusto che rispetto alla prima opzione è meno timbrico ma più tonale.

L’ABBINAMENTO DI…Nicola Bonera

Effluvi aromatici a confronto

Il tortello cremasco è un piatto decisamente fuori dai consueti canoni che vedono il vino attore, esaltando di volta in volta le varie caratteristiche dei cibi. Ci confrontiamo, infatti, con una preparazione che mette sul banco di prova il vino come pochi altri piatti poiché la ricchissima speziatura è capace di generare persistenze impressionanti. Per ridare una chance al vino, per fortuna, intervengono la pasta priva di uova, dolciastra, il burro e il formaggio grattugiato, elementi che permettono ai vini bianchi di esaltarsi, con la loro freschezza e soprattutto con l’espressività salina. Non si può, però, tralasciare la lunga scia e l’intensità, elementi determinanti per la scelta di vini dove le uve aromatiche o semi aromatiche avranno vita migliore; questa intensità e persistenza marcata, unitamente al vigore acido-salino, compongono il quadro dei vini che seguono, provenienti dalle province vicine a Cremona e Crema, ovvero Pavia, Lodi e Brescia. Dobbiamo però ricordare che, per tradizione e per vicinanza geografica, i vini abitualmente abbinati a questo piatto provengono dagli emiliani Colli Piacentini, ad esempio Bonarda o Gutturnio, o dal pavese, come una Bonarda dell’Oltrepò Pavese DOC.

 - Provincia di Pavia IGT Malvasia Dedica 2018 Martilde, con uva Malvasia di Candia Aromatica 100%, macerazione con le bucce fino a inizio novembre. Biologico e a basso quantitativo di solfiti.

 - Collina del Milanese IGT Bianco 2018 Banino, con uve Sauvignon blanc 50%, Chardonnay 25%, Riesling renano 25%.

 - Capriano del Colle DOC bianco Bastian Contrario 2016 Lazzari, con uve Turbiana o Trebbiano di Lugana 100%, vendemmia tardiva con botrite e fermentazione in legno. Biologico.