Il volo di Doppio Malto

Il volo di Doppio Malto

Non solo vino
di Maurizio Maestrelli
12 gennaio 2022

Quella di Doppio Malto, birrificio fondato nel 2004 in provincia di Como, è forse la case history imprenditoriale di maggior successo nel mondo della birra artigianale italiana. Una formula vincente di locali in franchising ne ha permesso la crescita che oggi si concretizza in un secondo stabilimento di produzione e nelle prime aperture all’estero

Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 21 Novembre 2021

Con circa mille impianti in attività a fine 2020, tra microbirrifici e brewpub, e senza contare le quasi cinquecento beerfirm, il mercato della birra artigianale in Italia appare più che mai affollato, competitivo e per certi versi caotico. In realtà, volendo andare oltre la lettura dei numeri, appare chiaro come la stragrande maggioranza degli impianti di produzione abbia una “consistenza” davvero minima: la produzione media per birrificio si aggira infatti intorno ai cinquecento ettolitri l’anno e solo una decina di aziende superano quota diecimila ettolitri. In buona sostanza è vero che oggi in Italia si può dire che esiste un birrificio in ogni provincia ma altrettanto vero è che la birra di quel birrificio spesso non supera i confini della provincia stessa.

Quindi la storia di Doppio Malto appare ancor più emblematica. Il birrificio è nato nel 2004 a Erba, in provincia di Como, e si è rapidamente messo in luce con una serie di riconoscimenti in concorsi importanti. La Zingibeer è forse la specialità che li ha fatti conoscere al di fuori del circondario: una Ale speziata con zenzero che, allo stesso tempo, la distingueva dalla massa senza renderla tuttavia stucchevole. Due medaglie allo European Beer Star e una al concorso nazionale Birra dell’Anno l’hanno poi definitivamente consacrata come una delle birre più rappresentative del movimento artigianale nazionale.

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Ma, anche con risultati e qualità costante, a far fare il salto a Doppio Malto verso nuovi orizzonti di gloria è servito l’ingresso di Giovanni Porcu nel 2016. Avvocato convertito all’imprenditoria nel mondo della ristorazione, solida esperienza nella catena Old Wild West per la quale è arrivato ad aprire una trentina di locali, Porcu ha rilevato marchio e birrificio e si è lanciato nell’apertura di locali a tema, caratterizzati da un arredamento elegante ma accogliente, una cucina solida e diversificata, aree gioco per bambini e adulti per un luogo che vuole abbracciare le famiglie tanto quanto i giovani ma che soprattutto ruota attorno alla proposta birraria targata Doppio Malto. L’escalation è stata a dir poco strabiliante: ventisette locali aperti a fine 2020, altre dieci inaugurazioni quest’anno e altrettante previste per il 2022, sbarco in Europa con le aperture di Saint-Étienne in Francia, Glasgow in Scozia e, imminente, Parigi. Un successo che ha ovviamente stimolato la crescita produttiva e permesso a Porcu di aprire un secondo stabilimento produttivo in Sardegna, a Iglesias, capace di raggiungere una produzione di circa cinquantamila ettolitri quando a pieno regime. Una road map seguita alla velocità con la quale Alessandro Magno conquistò, in una manciata di anni, mezza Asia. E la dimostrazione concreta che si può fare birra artigianale guardando anche ai numeri, alla gente “normale” e non solo ai beer geeks. “La nostra idea era quella di unire l’anima artigianale a una dinamica industriale”, ci spiega dal quartier generale di Foodbrand, la società che controlla il marchio Doppio Malto, a Milano. “Ovvero continuare come sempre a fare un prodotto artigianale ma pensare in termini industriali per quanto riguarda logistica, distribuzione, vendita, shelf life. In molti pensano che Doppio Malto sia una catena in franchising, ma in realtà solo una decina rispondono a questa logica, gli altri sono controllati direttamente da noi”. A chi scrive vengono in mente le parole, piuttosto lontane nel tempo, di Ezio Rivella, uno dei padri del vino italiano, a un Vinitaly: “È certamente importante fare del vino eccellente, ma bisogna anche poi saperlo vendere”. La filosofia di Porcu è semplice. “A differenza magari di altre aziende craft del settore”, sottolinea, “noi abbiamo deciso di crearcelo il mercato, non di andare a cercarlo. Il crescente numero di locali ‒ quest’anno apriremo anche a Newcastle e per il 2022 contiamo di inaugurare almeno a Edimburgo o a Leeds oltre a un’altra insegna in Francia ‒ sostiene la produzione dello stabilimento di Iglesias e viceversa”. Il modello sembra essere indiscutibilmente vincente, numeri alla mano (lo scorso anno il giro d’affari globale del brand Doppio Malto è stato di sessanta milioni di euro) ed esperienza personale in alcuni di questi ambienti fatta. Ma è soprattutto una lezione per i colleghi che sognano in grande ma che concentrano tutti i loro sforzi esclusivamente sull’aumento di capacità produttiva che alla lunga, senza sbocchi commerciali sicuri e affidabili nel tempo, rischia spesso di far implodere l’attività. Perché oggi, a oltre vent’anni dalla nascita del fenomeno birra artigianale, non basta usare slogan un po’ triti e ritriti come “birra al popolo” se poi “al popolo” non ci si riesce ad arrivare.

LE BIRRE DA NON PERDERE

I risultati dei concorsi birrari, con relativi premi, vanno sempre presi con le pinze, a nostro modo di vedere. Tuttavia quando i riconoscimenti si susseguono nel tempo e quando arrivano da concorsi, e giurie, differenti è evidente che la qualità dei prodotti non lascia adito a dubbi. Il birrificio Doppio Malto ha una lunga consuetudine con medaglie d’oro e d’argento per le sue birre: medaglie arrivate un po’ dappertutto, dal prestigioso European Beer Star all’italiano Birra dell’Anno, dalla guida targata Slow Food all’International Beer Challenge. Tra le tante referenze la predilezione di chi scrive va per esempio alla ZINGI BEER, una birra da 7% vol nella quale lo zenzero gioca un ruolo gradevole e stuzzicante senza stordire il palato; molto godibile pure la OAK PILS, una classica da 4,8% vol che fa dell’equilibrio e della facilità d’approccio le armi con cui riesce a piacere praticamente a chiunque. Nel mare magnum delle Ipa, lo stile che gode della maggior popolarità in questi giorni, si distingue per impronta aromatica la MAHOGANY IPA che si lascia bere fino al fondo del bicchiere anche grazie ai suoi 6% vol. Meritevoli infine di menzione anche l’inusuale Ipa con fave di cacao, COCOA IPA (7% vol), e la BITTERLAND, 5% vol e 5 luppoli americani.