Gli attrezzi del sommelier: tra fascino e funzione

Gli attrezzi del sommelier: tra fascino e funzione

Sommelier al lavoro
di Sofia Landoni
09 luglio 2022

Qual è il kit che ogni sommelier, amatore o professionista, deve sempre avere con sé? Quali strumenti deve essere in grado di saper usare con disinvoltura? Ne parliamo con un grande professionista: Artur Vaso

Tratto da Viniplus di Lombardia - N° 22 Maggio 2022

«Un buon servizio è l’insieme di una giusta attrezzatura e della manualità nell’utilizzarla». Una sintesi perfetta, quella di Artur Vaso, Miglior Sommelier di Lombardia 2017 e uno dei più apprezzati relatori della nostra Regione. Le attrezzature del sommelier sono come i pennelli dei pittori, strumenti che permettono di manifestare ciò che può essere una passione, un’arte o una conoscenza profonda. Che si tratti di sommelier amatoriali o professionisti, l’importanza dell’attrezzatura rimane un aspetto imprescindibile, da curare con la stessa attenzione con cui si bada alle temperature. Tanto ci perderebbe il vino nell’essere trattato con mezzi inadeguati, talvolta persino svilenti o mortificanti, quanto al contrario ne gioverebbe se valorizzato con tutti gli strumenti in nostro possesso. Ogni buon sommelier deve essere sempre dotato di un suo kit, che lo renderà pronto ad affrontare qualunque situazione: un cavatappi professionale, un termometro a lettura rapida, una pinza per vini spumanti, un tappo stopper per spumanti, i drop stopper – o salva goccia – utili specialmente con i vini rossi e, per il Sommelier moderno, certamente il Coravin.

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IL DECANTER, DA USARE CON ACCORTEZZA
Ne è un evidente esempio il decanter. “La decantazione è un processo fisico che permette la separazione tra vino e sedimenti per gravità” ci spiega Artur. “La sua funzione primaria è quella di privare il vino del fondo, ma può servire anche a modulare alcune spigolosità o ad amplificare i pregi aromatici di un certo vino”. Non tutti i vini hanno bisogno di decantare, dunque. Per alcuni, tuttavia, è un passaggio necessario. “Se siamo in presenza di un vino con parecchi anni sulle spalle e dotato di un fondo importante, allora bisogna decantare, avendo l’accortezza di procedere con l’operazione immediatamente prima del servizio. Qualora il vino, seppur invecchiato, non presenti sedimento, allora è meglio evitare la decantazione. Faccio parte di quella scuola che preferisce aspettare il vino nel calice per coglierne tutte le sfumature”. Sorride, Artur, pensando a quell’evoluzione magica di un vino nel bicchiere, bisognosa innanzitutto di rispetto, di pazienza e di delicatezza. “Bisogna stare attenti all’ossigenazione tramite decanter perché è un’arma a doppio taglio. A volte può essere un impatto troppo forte per alcuni vini che sono rimasti chiusi in bottiglia da tempo, mentre in certi altri con durezze tanniche o acide molto pronunciate può portare a un ingentilimento del profilo gustativo”.

L’ANTICO E ICONICO TASTEVIN
Del resto, l’importanza di una delicata azione meccanica a carico del vino per esaltarne le doti è fondamento della storia del Sommelier, che trova icona e bandiera proprio nell’antesignano di tutti i decanter del mondo: il tastevin. Le sue origini sono antiche. In epoche lontane era una sorta di tazza in legno, dove il vino subiva un passaggio obbligato prima di essere versato nel bicchiere e consumato. Fu nel XVII secolo, in Francia, che videro la luce le prime forme più elaborate di strumenti del tutto simili al vero e proprio tastevin. “Esistono due tipi di tastevin” spiega Artur “quelli bordolesi e quelli borgognoni. I primi sono privi di presa per il dito e di catena; gli altri sono invece quelli che usiamo anche noi, il simbolo della nostra Associazione. Si presentano con il piccolo manico e il poggia dito, la catena e la superficie interna lavorata. La bolla centrale indica il livello a cui versare il vino, da non superare; le semisfere concave servono per osservare il colore dei vini rossi, mentre le incisioni sul lato opposto servono per notare i riflessi dei vini bianchi; infine i punti in rilievo hanno la funzione di ossigenare il vino”.

LA RIVOLUZIONE CHIAMATA CORAVIN
E il futuro del servizio in che direzione andrà? Ovviamente verso l’utilizzo del Coravin, geniale strumento che ha rivoluzionato non solo la modalità di servizio ma anche le possibilità di offerta del prodotto da parte di enoteche e ristoranti. Il noto e innovativo strumento si presenta in diverse tipologie, che fanno perno su un comune meccanismo: al vino prelevato dalla bottiglia viene sostituito l’argon, un gas capace di preservare il prodotto per un tempo estremamente lungo. Il tutto senza dover rimuovere il tappo o, nel caso degli spumanti e dei vini con tappo a vite, toglierlo una sola volta. Ne deriva una protezione efficace dal contatto con l’ossigeno, che impedisce l’ossidazione e quindi l’alterazione. “Il Coravin è uno strumento importantissimo al giorno d’oggi, perché ci consente di poter assaggiare diversi vini all’interno di un unico pasto o di un’unica serata” afferma Artur.

IL CAVATAPPI, IL PRIMO ATTORE DELLA MESCITA
Nulla di tutto questo sarebbe ovviamente possibile senza il cavatappi. La storia di questo attrezzo racconta di botteghe, utensili in legno e una volontà che superava la fatica di qualsiasi gesto. “Tutti avremo visto almeno una volta quei cavatappi antichi che si appendevano al muro. Ad oggi la pratica di apertura è stata semplificata dal cavatappi come lo conosciamo, dotato di coltellino, verme e doppio scatto. Certo, a volte la stappatura riserva qualche difficoltà, come ad esempio nei vini molto vecchi o, ancor peggio, nei vini dolci molto vecchi”. I primi, infatti, corrono il rischio di avere un sughero che si sbriciola nel tentativo di estrarlo dal collo della bottiglia, i secondi potrebbero essersi addirittura incollati al vetro. Che fare? “Nel primo caso ci avvarremo di un cavatappi bilama, ovvero quello composto da due lame molto sottili da inserire parallelamente al tappo, nello spazio invisibile fra vetro e sughero. Nel caso dei vini dolci invecchiati, invece, si rende talvolta necessaria la rimozione completa del collo della bottiglia”. Una pratica, quest’ultima, molto elegante da realizzare in sala e che si attua sfruttando gli sbalzi termici. “Dapprima si scalda una pinza fino a renderla rovente. Con essa si cinge il collo della bottiglia e il tutto viene avvolto da un frangino imbevuto in acqua e ghiaccio. Lo shock termico provocherà un taglio netto in corrispondenza della pinza. Questo procedimento può essere svolto anche sugli spumanti, ma lì c’è da stare attenti perché il collo della bottiglia vola, nel vero senso del termine!”.