Vino Santo Trentino, il valore del tempo

Vino Santo Trentino, il valore del tempo

Territori
di Anita Croci
09 aprile 2020

Viniplus di Lombardia - N°18 Marzo 2020. Quando ci si approccia al Vino Santo Trentino, il termine attesa assume un significato importante. L’attesa della pigiatura, dopo un appassimento naturale tra i più lunghi al mondo; l’attesa della fermentazione, che dura anni; e quello della maturazione, che talvolta sembra infinito.

Tratto da Viniplus di Lombardia N°18 - Marzo 2020

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LA STORIA

Non si può dire di preciso quando sia nato il Vino Santo Trentino. La tradizione dei vini passiti sbarcò in Italia probabilmente nel Medioevo, quando i mercanti veneziani importarono il vino dolce di Santorini – l’isola vulcanica di Thera alla quale avevano cambiato nome in onore di Sant’Irene – secondo Attilio Scienza il primo Vin Santo della storia, che si diffuse poi nella nostra penisola con diverse identità. A questo proposito occorre da subito precisare la differenza tra il Vino Santo Trentino e i Vin Santo diffusi nel Centro Italia, in particolare la Toscana, che in comune hanno solo la similitudine del nome e l’utilizzo di uve sottoposte ad appassimento; questi ultimi infatti prevedono, oltre a vitigni diversi, anche la fermentazione in caratelli scolmi e l’uso della “madre”, il deposito feccioso finale residuo dell’ultimo travaso, contenente ceppi di lieviti particolarmente robusti per innescare la fermentazione; tutti fattori che determinano vini dalle caratteristiche organolettiche assai diverse dal Vino Santo Trentino. Anche l’origine del nome è incerta, forse legata proprio all’isola di provenienza, forse al termine vino, oppure alla consuetudine di pigiare le uve nella Settimana Santa o ancora di usare il vino per la messa. Le prime testimonianze storiche di vini bianchi dolci nella zona risalgono al Cinquecento; se ne parla in un documento del 1508 riferito ai beni che il capitano di Castel Toblino doveva pagare annualmente al vescovo di Trento e li cita il Mariani, storico del Concilio, parlando di un banchetto del 1546.

Le prime bottiglie di Vino Santo a essere commercializzate furono quelle della cantina Angelini Giannotti a inizio Ottocento, seguita dai Conti Wolkenstein, allora proprietari di Castel Toblino. Fu proprio il cantiniere del castello, Giacomo Sommadossi, a presentare ai concorsi internazionali il Vino Santo, che nel 1880 ricevette a Melbourne un attestato di merito per il Vino Santo “Puro” del 1825. La vicinanza degli Asburgo aveva creato un mercato fiorente per questa tipologia di vino, tramontato però nel corso dei due conflitti mondiali a causa della caduta dell’Impero e il conseguente allontanamento della nobiltà austriaca, le devastazioni belliche e l’istaurarsi di un mercato parallelo di vini dolci prodotti industrialmente. A inizio Novecento si contavano una ventina di produttori, nel Secondo dopoguerra solo la tradizione di produrlo in famiglia ha permesso di preservare questo vino, il cui valore trascende dalla qualità del prodotto in sé, e si afferma soprattutto come un patrimonio di identità e di storia tramandato con passione da generazioni di vignaioli. Il Vino Santo Trentino si costituisce di tre componenti chiave: una di carattere materiale, il vitigno; una di carattere ambientale, il territorio; la terza di carattere culturale, la vinificazione.

La nosiolaIL VITIGNO

La nosiola è l’unico vitigno a bacca bianca autoctono del Trentino. Viene descritta già all’epoca del Concilio di Trento, ma le prime citazioni ufficiali compaiono solo a inizio Ottocento negli annali di Filippo Re e, poco più tardi, nel repertorio delle viti italiane compilato da Giuseppe Acerbi. Le sue origini sono incerte, anche se pare discendere dal Rèze, antico vitigno vallese progenitore di altre varietà tra il Piemonte e il Trentino, erede a sua volta, almeno a livello storico, della vitis raetica romana: l’uva coltivata nella Rezia, un’ampia regione dell’Impero compresa tra Tirolo, Svizzera, Austria occidentale e Lombardia orientale; da escludere invece l’ipotesi che derivi da un adattamento della Durella vicentina, con la quale è stata spesso confusa. Il regno della nosiola è la Valle dei Laghi, ma è diffusa anche a Lavis e in Vallagarina, con espressioni assai diverse legate soprattutto alle differenze del microclima, più mite nella prima e più rigido al di là della valle; un rigore che incide anche sulla declinazione di genere del vitigno, curiosamente determinato da una parte al femminile e dall’altra al maschile. L’etimo del nome riporta facilmente alla nocciola, sia per il colore degli acini maturi, sia per i sentori di nocciola che sviluppa nel vino. Nonostante il radicamento secolare, la sua presenza nella regione è assai limitata: meno di cento ettari, ovvero attorno all’1% del vigneto trentino, dei quali solo due ettari rivendicati nel 2018 per la produzione di Vino Santo, del quale costituisce la materia prima: il disciplinare ne vincola la presenza ad un minimo del 85% ammettendo un saldo di uve bianche non aromatiche, tra le quali principalmente chardonnay, manzoni bianco, moscato giallo, müller thurgau, pinot bianco, pinot grigio, riesling e sauvignon. La maturazione tardiva e le sue caratteristiche genetiche la rendono infatti ideale all’appassimento per via della buccia spessa e della marcata acidità, mentre la vigoria tipica del vitigno viene calmierata dalla corretta gestione del vigneto, a pergoletta trentina o a spalliera, ubicato in media collina, con esposizioni soleggiate e ventilate, su suoli siccitosi ricchi di ghiaie, dove le piante fruttificano con più fatica; considerato che la produzione di Vino Santo necessita di grappoli piccoli e spargoli (localmente chiamati nosiola spinarola) per affrontare il lunghissimo appassimento, per la sua produzione si prediligono impianti di vigne vecchie, la cui fruttificazione è già limitata a causa dell’età stessa e il vigneto viene gestito ad hoc con specifiche legature e potature, arrivando persino in certi casi a lavorare i singoli grappoli subito dopo l’allegagione per diradarli dei futuri acini in eccesso.

IL TERRITORIO

Il cuore della denominazione sono i comuni di Valle Laghi, Madruzzo e Cavedine, tutti in provincia di Trento. La Valle dei Laghi è un neotoponimo creato nel Novecento per indicare la bassa Valle del Sarca, caratterizzata dai numerosi piccoli laghi di Lamar, Terlago, Santa Massenza, Toblino, Lagolo, Cavedine e altri minori. Si tratta di una valle glaciale disposta in direzione NNE-SSW tra il lago di Garda e la città di Trento, antico alveo del fiume Adige, che separa i massicci calcarei dei monti Bondone e Paganella. Un territorio che morfologicamente alterna tratti pianeggianti a lievi balzi collinari, ma dove l’aspetto più importante per la produzione del Vino Santo è il clima. Fondamentale per l’appassimento infatti è una ventilazione costante, garantita dal vicino lago di Garda, vasto bacino montano orientato verso la pianura padana, i cui due venti principali sono determinati dalle differenti condizioni di temperatura tra monte e valle. Continuativo e regolare nei mesi estivi, il Pelèr è il vento del bel tempo; spira da Nord, inizia a soffiare fra la mezzanotte e le tre e può durare fino al primo pomeriggio, anche se è solito spegnersi verso le undici. L’Ora, il vento del Sud, è il più famoso tra i venti del Garda e il più importante per l’appassimento delle uve; inizia solitamente dopo la fine del Pelèr e in normali condizioni metereologiche dura fino al tramonto. La sua intensità cresce proprio nella zona a nord, dove aumenta per l’effetto Venturi causato dallo stringersi delle due catene montuose che fiancheggiano il lago. Inoltre, i numerosi specchi lacustri favoriscono un microclima temperato, con temperatura e umidità ideali per la Botrytis cinerea, un fungo potenzialmente dannoso ma che in determinate condizioni, che qui si verificano proprio per azione dei venti, sviluppa all’interno dell’acino una “muffa nobile” che ne provoca la disidratazione e ne arricchisce il profilo sensoriale.

LA VINIFICAZIONE

L’uva viene raccolta ben matura tra la fine di settembre e la metà ottobre e posta negli appassitoi, dove i grappoli vengono adagiati sulle aréle, i graticci, un tempo con fondo in canne e oggi con rete metallica. Qui, grazie alla sinergia tra l’Ora e la Botrytis cinerea, prende avvio il processo di appassimento naturale che alla fine determina nell’acino una perdita di peso di circa il 30-40%, concentrando gli zuccheri e le caratteristiche aromatiche. La tradizione vuole che la pigiatura avvenga nella Settimana Santa, ma il disciplinare ne precisa i termini: dal 1° febbraio successivo alla raccolta per il “Trentino Vino Santo”, dal 1° marzo per il “Trentino Superiore Vino Santo”. Si procede di norma lasciando i raspi, utili sia per lavorare una massa così disidratata e quindi molto compatta, sia perché la lieve cessione di tannino protegge dall’ossidazione; il poco mosto ottenuto, di gradazione tra i 30° e i 35° gradi Babo, viene quindi posto in inox per la prima e la seconda fermentazione. L’elevata concentrazione di zuccheri contrasta il lavoro dei lieviti; la fermentazione è quindi molto lenta -si parla di alcuni anni- e si interrompe naturalmente prima che tutto lo zucchero sia stato trasformato in alcol. Il lungo processo di maturazione che ne segue avviene in piccole botti di rovere o acacia e porta anche ad un naturale illimpidimento. Per l’imbottigliamento, il disciplinare sancisce un minimo di quattro anni dal 1° maggio successivo alla vendemmia, ma la maggior parte dei produttori aspetta anche dieci e più anni.

I PRODUTTORI

Praticamente scomparso dal catalogo dei vini trentini (la prima bottiglia del Dopoguerra è la 1965 della Cantina Toblino) la sua produzione riprende vita negli anni Settanta, incentivata dal Comitato Valle dei Laghi guidato dal botanico Giuseppe Morelli, che per decenni si è prodigato nel recupero delle identità territoriali. Oggi si contano nove produttori di Vino Santo Trentino: Cantina Toblino, Cavit e Salvetta; Fratelli Pisoni, Giovanni Poli, Francesco Poli, Gino Pedrotti, Pravis e Maxentia, quest’ultimi riuniti nell’Associazione Vignaioli Vino Santo Trentino, fondata nel 1977, che si propone di promuovere, tutelare e trasmettere i valori legati alla produzione del Vino Santo, inteso come sintesi di storia, tradizione, eccellenza e territorio. Grazie a loro, nel 2013 il Vino Santo Trentino è stato riconosciuto presidio Slow Food, che tutela le piccole produzioni artigianali di qualità. E mentre la questione DOCG resta un tema controverso in discussione da anni, l’associazione ha da tempo definito con un proprio statuto interno un disciplinare di produzione più restrittivo rispetto alla DOC e l’utilizzo di una specifica bottiglia: di tipo renana in vetro marrone del formato da 37,5 cl, riporta impressa sulla circonferenza della spalla la scritta “Vignaioli Vino Santo”; sulla capsula, il logo che riproduce la Dea della Fortuna, iconografia tratta dal rosone duecentesco della Cattedrale di San Vigilio a Trento, contornata dalla medesima scritta; uno stile che rende omaggio all’artigianalità del prodotto e aiuta il consumatore a distinguerlo immediatamente dai Vin Santo liquorosi legalmente venduti in zona, ma che nulla hanno a che vedere con il Trentino Vino Santo DOC. A febbraio 2020, nel comune di Padergnone, nella struttura che fu un vecchio appassitoio del quale si sono conservate le cantine, è stata inaugurata la Casa Caveau Vino Santo, un luogo esperienziale e suggestivo dove attraverso un percorso multisensoriale il visitatore può scoprire o approfondire questo straordinario prodotto.