Salvo Foti, l’uomo del vulcano

Salvo Foti, l’uomo del vulcano

Vita da Winemaker
di Sara Missaglia
03 maggio 2021

Per la rassegna WHO (Wine, Host, Opinion) incontriamo Salvo Foti, l’uomo del vulcano, enologo e vignaiolo, deus ex-machina dei Vigneri, il nome della sua azienda vitivinicola e di un gruppo di viticoltori etnei.

L’Etna è montagna e vulcano, un luogo di timore e mistero, il punto di contatto con il centro della Madre Terra. Con i suoi 3300 metri di quota e un cono di 45 km non solo è il vulcano attivo più alto d’Europa, ma rappresenta per la viticoltura siciliana un ambiente pedoclimatico unico. Salvo dentro ha la sua terra, e ha scelto come sistema di allevamento della vite non solo l’alberello, ma il coraggio e l’assoluta convinzione che questo territorio meriti di essere salvaguardato e valorizzato.

Classe 1962, ha la Sicilia nel sangue e la viticoltura etnea è il cuore che pulsa. «Sono nato in Sicilia e sull’Etna; i miei figli hanno studiato ma sono tornati qui per lavorare con me e, da padre siciliano, è una grande conquista»: sono queste le parole di Salvo, quasi a indicare che non esiste confine tra vita professionale e personale, che vigna, casa, famiglia e cantina siano un tutt’uno, non solo in senso fisico. Nel racconto dell’evento organizzato da AIS Lombardia per la rassegna WHO, Salvo non racconta solo di vino, ma di aspetti antropologici, sociali e culturali attorno a cui ruotano le scelte in campo professionale. Racconta dei vini dell’Etna con orgoglio, responsabilità ma anche desiderio del fare: una attenzione alla salvaguardia e al miglioramento della qualità.

Il vigneto«Per molto tempo siamo stati considerati la parte povera dell’enologia, ma la povertà ci ha regalato una grande possibilità nel mantenimento delle vecchie vigne sull’Etna». Salvo Foti sottolinea quanto sia importante lavorare con qualcosa che è stato fatto da altri: «chi ci ha preceduto ha fatto selezione e conservazione della biodiversità, che è la cosa più importante che ci possa essere: è la speranza del nostro futuro». Un grande territorio, un grande vitigno e una grande civiltà, questo il paradigma. Scorrono le immagini che Salvo ha scelto per noi, che si sviluppano intorno a una montagna di fuoco: di lei ci rimane il colore nero della lava, presente ovunque, dai muretti a secco al terreno. «Non sono stato bravo, sono stato fortunato a capire l’importanza delle vigne vecchie sull’Etna: la moda passa, il vigneto rimane».

Non deve essere semplice lavorare in presenza di un vulcano attivo, e vivere tra estremi: i vigneti invernali, perché le altitudini vanno da 400 a 1000 metri s.l.m. e le influenze del mare. È un Nord nel Sud, con un territorio etneo caratterizzato da suoli vulcanici e con differenti esposizioni e versanti. Le colate laviche danno nel tempo suoli molto diversi, e anche la variabilità climatica è importante: lungo la costa si coltivano avocado, agrumi, limoni, ulivi e, arrivati a Milo (a quota 750 metri s.l.m., nelle pendici orientali dell’Etna) dove ha sede l’azienda di Salvo, le temperature cambiano e si incontra il freddo: in 20 minuti cambia tutto. La variabilità è costante, ossimoro della viticoltura etnea. Nella parte Est c’è l’influenza del mare: si creano correnti ventilate che portano il vapore acqueo dal mare verso la montagna. Ma a quel punto la corrente si raffredda, torna indietro come un boomerang e si trasforma in acqua, generando piogge copiose fino a 2000 millimetri l’anno a fronte di una media annua regionale di 500. Cambiano le altitudini, cambia il clima, la variabilità estrema si registra ovunque: sabbie vulcaniche alternate a pietre anche di dimensioni importanti, dove troviamo suoli basaltici ma anche il ripiddu, ovvero i lapilli, la lava piovuta dal cielo che viene spinta dal vento anche a lunghissime distanze.

400 circa gli ettari vitati nella zona dell’Etna caratterizzata da una profonda verticalità: le radici delle viti coltivate ad alberello raggiungono anche la profondità di tre metri, arrivando a toccare la lava nel sottosuolo che spesso è caldo. La terra è la protagonista: uno scheletro importante, formato da pietre generate dalla disgregazione della lava, che spesso ha origine antichissima. Il terreno cambia: profondo e fertile in alcuni punti, poco profondo e con roccia vulcanica affiorante anche a breve distanza.

CarricanteGrandi bianchi: il carricante, la malvasia, la visparola, la minnella e il grecanico. Ma anche l’alicante, il nerello mascalese e il nerello cappuccio. A Milo il carricante cresce bene e trova il suo ambiente ideale dove c’è piovosità, mentre il nerello mascalese è un “vitigno da spiaggia”, così lo definisce Salvo. Il carricante ha un’acidità importante, che allunga la capacità di conservazione: è stato il primo vitigno selezionato per fare il vino da tavola, quando il resto dei vitigni era destinato a vini da dessert.

Con orgoglio Salvo parla della biodiversità in vigna: minnella nera e minnella bianca, vitigni quasi estinti che continua ad allevare, e fanno parte della biodiversità in vigna. L’alberello etneo è «etica, bellezza, eccellenza», così lo definisce Salvo. Arrivato nel Mediterraneo con i Greci, migliorato dai Romani con il sistema del quincunx, è da sempre ritenuto il modo migliore di disporre le piante. Le viti sono allineate e la bellezza è anche nella linearità, nell’ordine.

La vite ad alberello, circondata da pali in castagno, è un sistema tridimensionale verticale, ottimale per la buona maturazione delle uve. La densità è di 8-900 viti per ettaro, interessante anche dal punto di vista quantitativo: ma un vigneto di questo tipo non può essere meccanizzato, tutto deve essere fatto a mano, con impiego di manodopera elevata e specializzata.

«In Sicilia non ci sono scuole che insegnano a fare i muretti a secco: dietro tutto questo c’è una grande storia, una grande tradizione, un grande passato». Per conquistare porzioni di terreno sul vulcano l’uomo ha costruito i terrazzamenti, utilizzati per contenere la sabbia: nel muro l’acqua passa, ma il terreno rimane. In questo modo l’uomo ha costruito dei paesaggi. «Fare la terrazza vuol dire preservare chi c’è sotto», commenta Salvo, sottolineando che la volontà di ridisegnare il profilo del vulcano ha anche un senso profondamente etico volto al benessere e alla tutela della comunità.

Infine, Salvo ci parla del palmento, una costruzione in pietra lavica antichissima che è il cuore della viticoltura etnea. Il vino prodotto in palmento è il vero vino dell’Etna, come l’anfora per i vini georgiani. In passato ce n’erano a migliaia, oggi sono quasi scomparsi. I Vigneri portano avanti questa tradizione: «fare i vini etnei e non fare i vini sull’Etna, facendo i vini con il palmento, è espressione dell’originalità di questo territorio, soprattutto nella vinificazione». Il palmento è un sigillo, a garanzia del rapporto viscerale tra uomo e terra: qui l’uva, senza ricorso a macchine o a pompe, viene pigiata e diventa mosto in un unicum straordinario e profondo di connessione tra uomo e frutto. È un modo di produrre il vino antico e geniale al tempo stesso, perché su tre livelli viene sfruttata la forza di gravità in una sorta di liturgia della vinificazione.

Pietre vulcaniche«Il palmento ci fa vivere insieme, è il miracolo della vite e della vita insieme, è un modo di condividere una trasformazione quasi misteriosa». Flussi di energia, scambi di positività, con la gioia di partecipare. «Cerchiamo di essere quanto più integralisti possibile», conclude Salvo, sottolineando una similitudine importante tra l’Etna Rosso e il vino di Valtellina: colorazioni delicate e giocate sulle trasparenze, ma ricche in tannini e in acidità; vini sottili ed eleganti, che hanno il sole del Sud ma la freschezza del Nord.

Salvo sorride alla fine della serata: «se non fossi cresciuto in Sicilia mi sarebbe piaciuto vivere in Germania - amo la Mosella -, oppure nella Loira». Ma una cosa è certa: il vulcano è magico, con lui si creano legami difficili da decifrare, dove l’uomo è protagonista di un ambiente che in altro modo sarebbe a rischio. «Arriverà l’Etna DOCG - profetizza Salvo - e noi saremo qui a brindare».