I chips nel vino. Si...no...forse.

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01 ottobre 2006

I chips nel vino. Si...no...forse.

La questione dei chips scatena guerre di religione e conflitti ideologici nel mondo del vino italiano. Intanto la Commissione dell'Unione Europea va avanti imperterrita e autorizza l'uso dei trucioli di legno nel vino.

Franco Ziliani

Sono passati secoli e secoli da quell’epoca, ma l’Italia di oggi, è nel profondo ancora la terra divisa in fazioni, lacerata tra Guelfi e Ghibellini. L’ennesima riprova di questo gusto speciale per il portare ogni discussione sul piano ideologico, la troviamo, in quel mondo del vino italiano cui problemi, anche seri, non mancano, di fronte alla questione dei chips. Di quei trucioli del vino il cui utilizzo anche in Europa, e quindi in Italia, è stata presa in esame, ma non ancora decisa, nel corso del Comitato di gestione dei vini a Bruxelles. Difatti l’Unione Europea potrebbe autorizzare, nei prossimi mesi, nuove norme sulle pratiche enologiche che introducono l’uso di trucioli di legno per simulare i processi di invecchiamento dei vini, senza alcun obbligo di indicare in etichetta la differenza tra vini realmente invecchiati in botti di legno e quelli con i tannini stimolati “artificialmente”. Il tempo appena di far trapelare questa notizia e subito il mondo del vino italiano è insorto per lanciare alte urla d’allarme contro il “nemico”, questa volta individuato nei chips.
Animato da sacro furore è subito insorto uno schieramento eterogeo e variopinto comprendente uomini del vino, giornalisti, scienziati, ma anche politici e associazioni varie pronti ad ergersi a difesa della “purezza” del vino italiano contro le contaminazioni, impersonate dai famigerati chips, provenienti da quel Nuovo Mondo visto non solo come Nuova Frontiera del vino, ma come fonte di ogni enologica degenerazione.
Nelle loro fila si può trovare di tutto, dal nutrizionista, Giorgio Calabrese, che afferma che “I chips sono dannosi alla salute”, al celebre enologo padre del Sassicaia Giacomo Tachis che sostiene che “Il mondo produttivo sta interpretando male l’uso del legno, che siano le barrique, o i trucioli. Il legno serve solo a passare un pizzico di acido gallico ai vini rossi per strutturarli meglio, e niente di più. Secondo l’enologia classica e seria chi impiega i trucioli commette un errore perché usandoli si fa una concia del vino. Allora tanto vale fare un’infusione di legno e aggiungerlo al vino per aromatizzarlo. L’uso dei trucioli non solo è una truffa ma anche un’interpretazione errata sul piano tecnico dell’enologia e dell’uso del legno”.
In mezzo, tra scienziati, enologi, e tecnici, personaggi di ogni estrazione e colore, dal nuovo Presidente del Senato italiano Franco Marini (ex sindacalista) all’onorevole Ermete Realacci (Margherita), e poi giornalisti, sommelier, associazioni della stampa alimentare. Particolarmente impegnate, al punto da lanciare una vera e propria petizione, le associazioni di Legambiente e di Città del Vino, che dichiarandosi “sconcertate dalla decisione dell’Unione Europea di rivedere le norme sulle nuove pratiche enologiche”, hanno raccolto firme e inviato “un forte appello alla Commissaria all’Agricoltura dell’Unione Europea Mariann Fischer Boel e al Ministro dell’Agricoltura del Governo Italiano Paolo De Castro, affinché si impegnino contro l’ipotesi di approvazione della norma che legalizza l’uso di trucioli di legno di rovere al posto del tradizionale passaggio in barrique per ottenere in modo più rapido l’effetto “invecchiamento” per i vini prodotti in Europa e in Italia”.
Difficile, dinnanzi a tale furor ideologicus, è difficile tentare di riportare la discussione su un piano meno fumoso e più concreto. Se si prova a far notare che è ridicolo definire “tradizionale”, come si legge nell’appello, il “passaggio in barrique” che tradizionale in larga parte del panorama vinicolo non è affatto, visto che l’uso della barrique nei vini italiani ha inizio solo a partire dalla fine degli anni Settanta e se si ricorda che l’aver introdotto la barrique al posto delle botti di legno ha letteralmente rivoluzionato e stravolto l’identità di molti dei più nobili vini italiani, Barolo e Brunello di Montalcino compresi si viene subito tacciati di essere dei provocatori. Difficile, per persone come Attilio Scienza, forse il massimo studioso di viticoltura italiano, far notare che il tema dei trucioli si inserisce in quello più ampio degli additivi e che “c’è ormai la tendenza crescente a usare sostanze che modificano le caratteristiche dei vini”.
Nel coro diffuso e rumoroso che vede comunque a prescindere, il chips come un nemico da combattere ad ogni costo, una delle poche voci raziocinanti è stata quella di Marco Mancini, direttore del Corriere Vinicolo, settimanale della più importante associazione dei produttori italiani, l’Unione Italiana Vini, che in un editoriale ha lamentato come “ancora una volta l’Italia non perda l’occasione di flagellarsi, proseguendo così la sua folle corsa autolesionistica verso il nulla”. Angelo Gaja, invece, ha detto la sua sulla questione chips affrontandola da ben altra angolazione e affermando che “non è ammissibile autorizzare in Italia l’uso dei trucioli per i vini da tavola se non è stato prima individuato e riconosciuto il metodo ufficiale di analisi che consenta a chi dovrà poi operare i controlli di rilevare se il vino sia maturato in barrique, se abbia invece ricevuto l’aggiunta di trucioli di legno oppure ancora se il produttore abbia utilizzato le une e gli altri. Perchè autorizzare i Vini da Tavola all’uso dei trucioli significa anche che occorrerà porre sotto controllo i vini Igt, Doc e Docg, ma il metodo ufficiale di analisi per riconoscere se sono stati utilizzati i trucioli anziché la barrique va ancora individuato, poi testato ed infine approvato ufficialmente. E non saranno certamente tempi brevi”.
Gaja nel suo intervento ha toccato un punto nodale, affermando, senza mezzi termini, che “Bruxelles non ha fatto altro che accogliere la richiesta che era giunta dai Paesi produttori membri di autorizzare anche per il vino europeo quelle pratiche già largamente usate in Australia e negli altri Paesi del Nuovo Mondo; pratiche caldeggiate anche da esponenti di primo piano del mondo industriale e cooperativistico italiano ed ovviamente dalle rispettive associazioni di categoria e da altre ad esse equiparate le quali tutte godevano del largo consenso dei loro associati. Non possiamo prendercela con Bruxelles perché è tutta farina del nostro sacco”…

Demagogia spicciola: nascono i paesi anti-chips per ordinanza comunale

Non bastava la ridicola scritta “paese denuclearizzato” posta da qualche Sindaco buontempone in vena di facili demagogie sui cartelli all’ingresso del paese. Da ora in poi, grazie alla fantasia del Sindaco di Torrecuso in provincia di Benevento, terra di Aglianico del Taburno, avremo, grazie ad una “tempestiva” ordinanza comunale – “la prima in Italia ed in Europa con queste caratteristiche” – cartelli indicatori che ci informeranno che nel territorio comunale è vietato “per motivi precauzionali” l’utilizzo dei chips o trucioli di legno come li si voglia chiamare, per le pratiche enologiche di invecchiamento/affinamento dei vini.
Nell’ordinanza comunale, come ricorda il Sindaco, si intende “riaffermare il diritto alla salute pubblica insieme con la tutela dell'economia del territorio, perché il rischio è quello di porre fuori mercato vini di grande qualità prodotti nel mio comune, che si troverebbero a competere con vini di qualità inferiore a prezzi notevolmente più bassi".
Poiché le iniziative stravaganti non mancano di fare proseliti e di trovare rapidamente imitazione, è prevedibile che l’iniziativa del Comune di Torrecuso nel beneventano, che fa seguito ad una mozione del Senato, finirà con l’innescare un meccanismo attraverso il quale anche altri Sindaci aderenti all’Associazione Città del Vino, realtà associativa che si sta distinguendo in questa campagna anti chips dai toni un po’ esagitati, emaneranno analoghe ordinanze.
Domanda: ma il Comune di Torrecuso come potrebbe mai negare ad un’azienda vinicola residente nel territorio comunale, che per assurdo li volesse utilizzare, il diritto di impiegare i chips nella fase di affinamento di un vino ?
Conlusione: siamo ancora in uno Paese libero e nell’ambito di un’economia di mercato o qualcuno ha magari una divorante nostalgia del dirigismo di Stato, dei Piani Quinquennali e delle pianificazioni economiche di sovietica memoria ?

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