Sakè, la lucente perla del Sol Levante

"Impiegai un po’ di tempo a capire che l’eccellenza non stava nella potenza, e ad apprezzare il vuoto di sapore… Come in uno spartito, avevo compreso che non ci si deve dimenticare dei silenzi". Éric Briffard. Questa frase, del celebre chef del ristorante parigino Le Cinq, esprime esattamente cos’è e come ci si deve porre all’assaggio del sakè: una preziosa bevanda, non solo un semplice fermentato di riso, ma l’emblema di un’intera nazione

Gabriele Merlo

bottiglia nel calice

Un liquido puro e brillante, gentile e delicato come i petali di Sakura, deciso come il Monte Fuji, caldo e rassicurante come le sorgenti termali di Hakone, gelido e pungente come le notti innevate di Hokkaido, queste le emozioni racchiuse in un calice di sakè.

 Il sakè non è certamente la bevanda alcolica più consumata in Giappone ma, senza dubbio, quella maggiormente legata a storia e tradizioni. La sua nascita s’intreccia a quella della coltivazione del riso nell’arcipelago nipponico e il suo sviluppo al clan Soga ed ai monaci e templi Buddhisti nel periodo Asuka (VI-VII sec d.C).


Ma quale processo trasforma un chicco di riso, di altissima qualità Sakamai, in sakè? 
Il primo passo è la raffinazione (Seimai) del chicco di riso per denudarne il cuore ricco di amido; successivamente, le perle di riso puro che si ottengono da questo processo vengono lavate e ammollate (Shinseki) per far sì che s’impregnino di umidità. 
La successiva cottura (Joumai) avviene a vapore in grossi tini per circa un’ora; il riso cotto viene quindi raffreddato, mentre un terzo viene mantenuto caldo in una stanza e cosparso di spore di aspergillus oryzae. 
Questa muffa ha il compito di saccarificare l’amido rendendolo fermentescibile; dopo due giorni nasce il Koji, la materia primordiale del sakè. Il Moto è invece la lavorazione del "pied de cuve", ossia, la concentrazione dei lieviti necessari alla successiva fermentazione. 
I lieviti vengono inoculati in tre fasi successive, nel corso di quattro giorni, nei grossi tini di acciaio contenenti il Moromi: il composto principale formato da riso cotto al vapore, acqua purissima e Koji. Inizia ora la “fermentazione doppia e parallela” ad una temperatura controllata tra i 5 e gli 11 gradi, in cui saccarificazione e fermentazione avvengono contemporaneamente. Dopo circa venti-trenta giorni, in cui il glucosio verrà trasformato in alcol, otterremo il sakè. Le successive fasi di spremitura, filtraggio e pastorizzazione avranno il compito di stabilizzarne le caratteristiche.

I prodotti migliori e di maggior qualità sono i sakè di puro riso, senza alcol aggiunto, che prendono il nome di Junmai. I Gingjo, sono sakè che contengono almeno il 40% di riso lucidato fermentato, mentre i  Daiginjo almeno il 50%. L’apice del processo di lavorazione di questa bevanda, secondo i suoi maggiori estimatori, sono i sakè Junmai Daiginjo, prodotti spesso artigianalmente ed in piccoli lotti.    

Guidati dalle preziose parole del presidente di AIS Lombardia Fiorenzo Detti, iniziamo quindi ad osservare, studiare e degustare l’insolita ed interessante selezione di sakè, importati direttamente dal Giappone grazie alla collaborazione dell'EnotecaWine di Milano.

Il primo sakè, servito rigorosamente a bassa temperatura per apprezzarne i sentori delicati, è il Junmai Daiginjo Hakuryu – Hakuryu Shuzo Co. Ltd; un prodotto di una meravigliosa brillante limpidezza; al naso esprime delicate note di confetto, vaniglia, fiori bianchi di pesco, miele di acacia, terminando con sentori fruttati di banana e mela. Sensazioni che riecheggiano all’assaggio accompagnate da leggerezza e pulizia di beva.

Maggiori sensazioni fruttate sono invece percepibili nell’Hatsuhinode Ginjo Kioke-Shikomi – Haneda Shuzo Co. Ltd, sakè di grande eleganza e ricchezza gusto-olfattiva, che stupisce con una marcata impronta di confettura di pera e fiori bianchi freschi.

Con il terzo, il Kozaemon Tokubetsu Junmai Shinano Miyamanishiki – Nakashima Sake Brewing Co. Ltd, si cambia decisamente registro: un prodotto complesso e ricco. Colpisce con profumi di fiori recisi, viola mammola e pesca bianca per terminare con accenni speziati di anice stellato e sambuco. In bocca sapidità e morbidezza sono ben bilanciate, termina con una particolare nota di prugna gialla.

Si continua all’insegna dell’eleganza e della delicatezza con il sakè Dewatsuru Junmai Ginjo Habataki – Akita Seishu Co. Ltd. L’olfatto è più ampio rispetto ai precedenti: fiori freschi, una forte nota di banana, spezie; all’assaggio ritornano delicatezza e gentilezza ma legati a ricchezza e persistenza. Un sorso decisamente interessante, che invita continuamente alla beva.

 sushiL’ultimo prodotto in degustazione è quasi da “fine pasto”, il Kozaemon Junmai Umeshu – Nakashima Sake Brewering Co. Ltd è addizionato di Umeshu, un liquore giapponese ottenuto dalla macerazione delle ume, prugne verdi acerbe, in alcol. Nel calice si presenta di un color oro antico, ramato. Avvicinandolo al naso si scorge chiaro e nitido un sentore di mandorla tostata, poi crema di noci, prugne candite, fiori gialli come la ginestra. Assaggiandolo ti conquista col suo gusto abboccato, quasi dolce, la sua pulizia ed eleganza; per il relatore, un’interessante accompagnamento è con del cioccolato fondente. 

Come ultima sorpresa, eccoci servito un piatto di sushi composto da Tai nigiri, Maguro nigiri, Sake nigiri e Sake uramaki, preparato dal celebre maestro Haruo Ichikawa del ristorante IYO di Milano, per un tipico abbinamento nipponico. L'assaggio del sushi in accompagnamento ad ottimi sakè è oltremodo interessante; la delicatezza e la morbidezza dei sakè ben si amalgamano al sushi, in un abbinamento giocato maggiormente sulla concordanza che sulla contrapposizione.

Se vorrete saperne di più riguardo al mondo del sakè, consigliamo la lettura di “L’Arte del Sakè” di Toshiro Kuroda, presentato in anteprima ad inizio serata.

Un’esperienza completa della cultura nipponica che ha permesso, ai fortunati presenti in sala, di approfondire la conoscenza non solo del sakè, ma anche del Giappone, paese affascinante, legato al nostro dall’amore e dal rispetto per le proprie radici e tradizioni.

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