Viaggio nell'estremo, alla scoperta del Sud Africa

Racconti dalle delegazioni
04 febbraio 2016

Viaggio nell'estremo, alla scoperta del Sud Africa

Cuore pulsante ed estremamente vivo di una terra magica, il Sud Africa è capace di lasciare a bocca aperta anche chi, semplicemente, ne sente parlare

Sofia Landoni

Guido Invernizzi

2.500 km di coste contengono a fatica un territorio strabordante di fascino e mistero, che, con il suo scenario selvaggio e incontaminato, racconta dell’Africa vera, quella che vien fatta conoscere fin da bambini quale emblema di natura e bellezza. 

Ma in mezzo a quelle distese non identificabili in una tipologia precisa di territorio, tra il deserto e la steppa, sorprende la presenza di una realtà che si sta affermando con grandi risultati: la vitivinicoltura. Se il suolo sudafricano è, insieme a quello del Caucaso, il più antico del mondo con il suo miliardo di anni di età geologica, al contrario la sua storia vinicola è tra le più recenti e particolari. 

Si tratta infatti dell’unico paese al mondo in cui l’inizio dell’avventura vinicola si deve ad un popolo che con la viticoltura ha poco a che fare. Sono gli olandesi i primi che intuiscono il potenziale di questo suolo e, attraverso diversi tentativi, riescono pian piano a dare avvio a quello che oggi sembra un fenomeno inarrestabile, tanto da collocarlo al settimo posto nella classifica dei produttori mondiali di vino. E non è un mero discorso di quantità, come storicamente dimostrano gli apprezzamenti e l’attenzione manifestata negli anni da portoghesi, italiani, francesi e inglesi. Ognuno ha donato qualcosa di sé a questa terra che, riconoscente, oggi rende evidenti tutti questi influssi. 

In particolare, la vitivinicoltura sudafricana deve molto proprio a francesi e inglesi. I primi infatti hanno portato fondamentali conoscenze e tecnologie, mentre gli altri, in un secondo tempo, hanno permesso, attraverso lo sviluppo della domanda, una rapida crescita produttiva. L’evidenza di una speciale benedizione per questa terra così vocata al vino, non tarda ad imporsi e con lei anche i riconoscimenti per i suoi frutti. Nel 1816 già si legge in alcuni documenti che i vini sudafricani sono definiti come i migliori del mondo, a seguito del Tokaj, e che nulla hanno da invidiare al Lacrima Christy o ai vini persiani.

E' Guido Invernizzi a condurre la platea di ascoltatori nel viaggio attraverso la storia e la geografia del luogo. Con affascinante competenza vengono svelate le mille sfaccettature di questo suolo generoso e poliedrico: rocce cristalline, gneiss, granito, lava, scisti, ghiaia, argilla ed altri; solo a Stellenbosh si individuano 50 tipologie di suolo differenti, distanti appena mezzo metro una dall’altra. Una variabilità immensa, che si rispecchia nelle differenti interpretazioni di un unico vitigno. 

Attraverso la degustazione dei sei vini proposti durante la serata, inizia il percorso alla scoperta del Sud Africa. Si parte da Stellenbosh, con un Method Cap Classique il cui uvaggio si ripartisce tra un 60% di chardonnay e un 40% di Pinot Nero. Con il suo colore buccia di cipolla e i suoi sentori di frutta rossa, mescolati in una perfetta unione con i richiami di pasticceria e biscotto, questo vino ha nella riconoscibilità dei vitigni la sua caratteristica. Vino piacevole, che offre al degustatore l’eleganza dello chardonnay e la persistenza del pinot nero. Con gentile ma ferma semplicità, questo metodo classico sudafricano spicca e colpisce per l’ottima corrispondenza gusto-olfattiva.

La salaDa Stellenbosh ci si sposta all’attigua Paarl, città che deve il nome alla presenza di una collina calcarea così bianca e brillante sotto i raggi del sole, da sembrare una perla. Viene presentato ai degustatori uno dei grandi protagonisti della viticoltura sudafricana: lo chenin blanc. Nella versione dell’azienda Ayama, di cui rappresenta uno dei punti di forza, questo vino non esita a mostrarsi in tutta la sua avvenenza. Portando il bicchiere al naso, si percepisce un profumo coinvolgente e piacevole. Ciò che lo rende ancora più interessante è la traccia evidente di idrocarburi, come potrebbe normalmente verificarsi in un riesling. La freschezza traducibile in sentori di mela verde e lime, si mescola in un intrigante connubio con una frutta tropicale e note minerali che vertono verso l’idrocarburo, naftalina e benzina. In bocca inaspettatamente prevale la sensazione sapida e, con la sua buona struttura, si conferma un vino decisamente piacevole e ben fatto. Proprie dello chenin blanc, o come lo chiamano i sudafricani steen, sono le potenzialità di affinamento.

La piacevolezza pare essere il fil rouge della serata; si approda alla volta di Constantia, a pochi minuti di distanza da Città del Capo. Ancora un bianco. E questa volta è un vino sudafricano che parla francese. 51% di semillon e 49% di sauvignon blanc, il Morgenster White dell’azienda Morgenster è un vino dall’impronta agrumata e fruttata, con note mielate e di cera che virano verso il terziario. In bocca mantiene tutte le sue promesse. Difficile gestire il legno in presenza della vena erbacea del sauvignon; eppure in questo vino l’equilibrio è raggiunto, ottenendo una miscela di avvolgenza e pungenza, arricchite dal tono affumicato conferito proprio dal passaggio in barrique di rovere francese per 12 mesi.

I vini degustatiSi passa ai rossi. Ma si rimane nella zona intorno a Città del Capo, più precisamente a 7 km dall’Oceano Atlantico. Dall’azienda De Grendel ci arriva questo Shiraz che, figlio di un particolare terreno giallo sassoso, è scandito da freschezza e dalla tipica nota speziata.

Le fasi finali di questo percorso vedono due differenti espressioni di uno stesso attore, forse il più peculiare di tutto il Sud Africa, il pinotage. Le sue origini sono piuttosto recenti (1925) e si devono al Prof. Perold. Chimico e insegnante di vitivinicoltura presso l’università di Stellenbosh, decide di incrociare l’eleganza ed il rigore del pinot nero con la frutta e l’espansività del “piacione” cinsault. La prima interpretazione di pinotage ci viene offerta dall’azienda Spier di Stellenbosh, con il suo Vintage Selection Pinotage. Si tratta di un vino che ha scelto di spogliarsi della copertura invasiva del legno e mostrarsi per ciò che è, con la propria semplice piacevolezza. È un vino in cui note di frutta matura e terrose dominano la scena presentandoci fedelmente la tipologia di vitigno e permettendoci così di conoscerla per ciò che è.

Sensibilmente diverso è il Pinotage Coffee Chocolate di Diemersfontein. Già il nome ci prepara a ciò che si ritroverà nel bicchiere: netti sentori di chicco di caffè tostato e di cioccolato si contornano di note mentolate e fruttate, a dare un bouquet del tutto particolare. La sua presentazione olfattiva invoglia il degustatore ad approfondire la conoscenza per scoprire cosa riserverà il gusto. Ancora una volta, il vino sudafricano regala coerenza riproponendo in bocca le note percepite al naso, addirittura arricchite di una nota quasi dolciastra.   

Termina così l’affascinante viaggio alla conoscenza della punta estrema dell’Africa. Il Paese con più ore di irradiazione solare annua, il suolo con il maggior numero di differenze tipologiche, la linea di demarcazione tra Oceano Atlantico e Oceano Indiano, il punto di incontro tra la corrente fredda del Benguela e quella tropicale calda dell’India. Il Sud Africa, con la sua terra e il suo vino narratori di una storia vera.