Comunicazione ed etica etilica

News
01 aprile 2008

Comunicazione ed etica etilica

Un caso e un paradosso francese. Quando “Le Triomphe du Champagne” diventa reato

Monica Sommacampagna

“Le triomphe du champagne”, servizio giornalistico pubblicato nel 2005 dal quotidiano “Le Parisien” e incentrato sulle pregiate bollicine, è stato sanzionato dal tribunale francese perché ritenuto pubblicità e, in quanto tale, soggetto alla legislazione che impone l’avvertenza “l’abuso d’alcol è pericoloso per la salute”- “etichetta” che sull’articolo non appariva.

Un caso francese, sollevato dall’Associazione nazionale di prevenzione di alcologia (Anpaa). Indignazione per il giornale, che ha dichiarato che l’articolo non era affatto a pagamento, e per la Federazione internazionale dei giornalisti e scrittori del vino.

L’argomentazione è che reportage giornalistici che mettono in luce i pregi di vini di qualità non possono essere soggetti alla loi Evin, norme restrittive che limitano severamente la comunicazione pubblicitaria e che impongono tassativamente l’avvertenza intimidatoria.

Marco Mancini, direttore del “Corriere Vinicolo”, testata storica specializzata edita da Unione Italiana Vini, manifesta il suo sgomento: “si tratta di una profonda ingiustizia ai danni di un nobile prodotto svilito ad alcol e svuotato di storia, cultura e di un intero comparto che crea ricchezza e prestigio per tutto il Paese.

Se poi si pensa alla libertà di pensiero, di stampa, il disagio si espande”.

Un allarme giustificato peraltro dal fatto che nell’articolo su “Le Parisien” si citano dati storici ed economici che potremmo leggere, senza gridare allo scandalo, su diverse testate italiane, di settore e non.

Il caso è, dunque, francese, ma ci stimola ad alcune riflessioni. Primo, il giornalista di vino, oltre ad avere chiare responsabilità di trasmettere informazioni in modo deontologicamente corretto, ha nel suo dna il fatto di fornire indicazioni al lettore per aiutarlo a riconoscere la qualità di un vino. Per questo spesso deve inserire dati e pareri sulla particolarità dei prodotti che descrive. In secondo luogo, però, chi riceve le informazioni che connotano un prodotto pregiato ha a sua volta la responsabilità personale di non abusare nel consumo.

Nel rispetto di sé e degli altri. Insomma, il circolo virtuoso della comunicazione etilica, come ogni forma di comunicazione, implica necessariamente un rapporto a due, tra mittente e destinatario.

Nel nostro caso, tra il giornalista del vino e il consumatore dovrebbe, insomma, instaurarsi una relazione di co-responsabilità. Certo, da qui a etichettare come reclame “devianti” articoli non pubblicitari che hanno come oggetto il vino e a imporre necessariamente l’avvertenza che sottolinea la pericolosità di abusare di alcol… Il “caso francese” lascia perplesso anche il mondo del vino, da cui abbiamo raccolto alcuni commenti.

Ottavio Cagiano de Azevedo, direttore generale di Federvini, organizzazione italiana che raggruppa industriali produttori, esportatori ed importatori di vini, acquaviti, liquori, aceti e affini, afferma: “se le valutazioni di vini espresse nell’ambito di articoli giornalistici o i risultati di degustazioni effettuate da esperti venissero demonizzati come campagne pubblicitarie che incitano al consumo smodato di alcol ci precluderemmo l’opportunità di fornire informazioni tecniche al consumatore o di educarlo alla qualità. Come associazione condividiamo le preoccupazioni di natura sociale e siamo favorevoli a cercare di prevenire forme di abuso nell’assunzione di alcolici, soprattutto nei casi di fasce di popolazione più giovani e meno esperte. Ma, d’altro canto, non possiamo arrivare all’estremo opposto, a bandire cioè spunti e occasioni per apprezzare responsabilmente prodotti ottimi che, oltre al loro contenuto etilico, hanno alle loro spalle anni di storia”. Dalla produzione alla distribuzione. Marcello Meregalli, che gestisce la parte commerciale del Gruppo Meregalli, specializzato nella distribuzione di vini e con un fatturato nazionale di 35 milioni di euro totalizzato per il 97% nel canale Horeca, conferma l’importanza di favorire ogni occasione seria per accrescere la cultura del consumatore spingendolo a puntare sulla qualità e non alla quantità. “In quanto parte interessata è ovvio che non approvo la decisione francese. Purtuttavia, guardando a noi, è indubbio che le recenti normative italiane per scoraggiare l’abuso di alcol abbiano comportato la diminuzione di consumi di bottiglie di

vino di basso e medio-prezzo nei ristoranti.

Ma, dal nostro particolare punto di vista, questo calo non ha interessato i vini di prezzo elevato che vengono vissuti come un piacere”. Piacere e consumo responsabile possono andare d’accordo, non sono necessariamente antagonisti. Animato da questa logica il gruppo ha recentemente distribuito a clienti e a enoappassionati un braccialetto con lo slogan “Drink quality, not quantity” o particolari sacchettini per portare a casa la bottiglia di vino avanzata al ristorante con l’obiettivo di invitare a bere in quantità moderata, cogliendo invece nel bicchiere l’opportunità di degustare la cultura che sta dietro a un vino.

Il “caso francese”, insomma, offre a noi italiani, ai giornalisti, al mondo del vino, ai politici, uno spunto in più per dimostrare che il rispetto di regole utili per il bene sociale, che la serietà, possono sposarsi con forme di comunicazione responsabili, che educano al buon-gusto e al bien vivre. Nel rispetto di ogni deontologia e del consumatore. E senza penalizzare ingiustamente e tout court né il giornalismo vinicolo né il comparto del vino.

Commenta la notizia

Per commentare gli articoli è necessaria la registrazione.
Se ancora non l'hai fatto puoi registrati cliccando qui oppure accedi al tuo account cliccando qui

I commenti dei lettori