Armenia e Georgia: un viaggio nel cuore della viticoltura

Un viaggio vitivinicolo entusiasmante quello che si è svolto lo scorso 21 marzo presso la sede di AIS Brescia con Guido Invernizzi. il coinvolgente racconto è stato incentrato sulla viticoltura millenaria di Armenia e Georgia con una degustazione, per nulla scontata e decisamente stimolante, di 8 vini.

Angela Amoroso

Nel primo giorno di primavera, AIS Brescia ha festeggiato l’arrivo della bella stagione con un evento che ha portato una ventata di novità e piacevolezza, in piena simbiosi con la giornata. Non capita tutti i giorni di degustare vini provenienti da Georgia e/o Armenia, luoghi che vivono un rapporto speciale con il mondo del vino che proprio in queste terre affonda le sue radici; se a guidare la serata c’è Guido Invernizzi tutto diventa ancora più avvincente: con la sua passione e la sua competenza ogni racconto prende vita, infondendo in chi lo ascolta interesse e curiosità, elementi essenziali per accrescere il proprio bagaglio culturale nel mondo vitivinicolo e non solo. Esplorare carte geografiche, conoscere vigneti dai nomi improbabili, scoprire territori attraverso il loro trascorso e le rispettive tradizioni ci permette di viaggiare nel tempo e nello spazio, arricchendo le nostre conoscenze; degustare qualcosa di diverso da ciò a cui i nostri sensi sono abituati e uscire dalla nostra comfort zone ci porta inoltre a scovare delle sorprese inaspettate. 

Armenia e Georgia: un po’ di storia

Due Paesi, due storie simili e due grandi culture che si distinguono per umiltà, dignità e spirito di abnegazione, con importanti valori radicati ancora oggi e saldi princìpi tuttora portanti nella società contemporanea.
Armenia e Georgia vengono definite molto spesso da esperti e biologi patrie ancestrali della viticoltura e adesso capiremo il perché. In Armenia si inizia a parlare di vino ancora tra l’800 e il 600 a.C quando, dopo il conflitto con gli Ittiti, nascono i primi viticultori; con l’arrivo dei Greci nel 400 a.C. vino e birra si producono con grande facilità all’interno di singole abitazioni e trovano dimora all’interno di “karases”, anfore in terracotta. Ovviamente si tratta ancora di forme di viticoltura rudimentale: gli armeni, infatti, mettevano a fermentare grano e orzo insieme alle uve all’interno dei kareses per accelerarne il processo ma con la conseguenza di avere prodotti non soltanto molto alcolici ma quasi “allucinogeni” per via della fermentazione in atto. Nel 301 l’Armenia diventa il primo Stato al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di Stato e il vino assume quindi una maggiore importanza; seguono secoli di dominazioni differenti fra Bizantini, Arabi, Turchi e Russi sino ad arrivare, nel 1936, all’annessione all’URSS da cui però il popolo armeno ottiene l’indipendenza nel 1999. Nel 2011 viene fatta una scoperta che ha quasi dell’incredibile: nel corso di una campagna di scavi si rinviene infatti la più antica cantina al mondo, risalente a circa 4.000 anni fa, all’interno del complesso della grotta di Areni, nel territorio di Vayots Dzor; si tratta di un ritrovamento fondamentale che attesta in maniera inequivocabile il profondo e millenario legame di questo popolo con la cultura del vino.
La Georgia, invece, già nel 1000 a.C., per le sue zone caucasiche mesopotamiche, è stata definita “cradle of humankind” ovvero culla dell’umanità. Anche qui la viticoltura affonda le sue radici in tempi lontanissimi e per la produzione di vino, da tradizione, si utilizzano i kvevri, anfore in terracotta realizzate a mano dalle sapienti mani di artigiani georgiani. Divenuta colonia romana nel 65 a.C., passa dal VII al X secolo d.C. sotto il dominio arabo, anni in cui la vitivinicoltura rivestiva già una certa importanza. Nel 1813 anche la Georgia viene annessa alla Russia zarista ma riesce a proclamarsi indipendente nel 1991 continuando a mantenere comunque, durante tutte le varie dominazioni susseguitesi, grande attenzione, dedizione e cura verso la vite nonché profondo rispetto per l’enologia tout court. A dimostrazione di quanto detto, segnaliamo la presenza nel dizionario georgiano di circa 1200 termini relativi alla viticoltura e di ben 32 vocaboli per descrivere gli stati di maturazione dell’uva.

Clima e condizioni pedoclimatiche

L’Armenia si presenta come uno Stato prevalentemente montuoso, senza sbocchi sul mare e, per via dei suoi numerosi vulcani, a forte rischio sismico. Il clima è principalmente continentale con inverni freddi e nevicate frequenti, poche piogge e importanti escursioni termiche. La maggior parte delle regioni vinicole sono situate fra i 400 e i 1900 metri slm, rendendole di fatto fra le aree vitate più montuose al mondo. In estate, considerando la bassa piovosità che si registra, molto spesso si utilizza l’irrigazione artificiale a goccia; in inverno, invece, vi è un’altra particolarità: per via delle bassissime temperature, le viti vengono coperte e sotterrate, quasi seppellite. Trattandosi poi di terreni vulcanici, molto pietrosi, la vite fatica ad andare in profondità, motivo per cui sono stati scongiurati gli attacchi della fillossera: ancora oggi le piante sono quasi sempre a piede franco.
La Georgia, invece, godendo di uno sbocco sul mare, ha un clima più mite e più umido nella zona costiera mentre nella zona interna diventa continentale ma con maggiori piogge rispetto all’Armenia. Il piccolo e il grande Caucaso rappresentano un’importante barriera contro i venti gelidi del nord e il venti caldi del sud. La parte occidentale ha terreni poco adatti alla viticoltura mentre nella parte centro orientale c’è un’alta concentrazione di basalti, minerali, terre rosse, gesso e sabbia mista a ghiaia che costituiscono suoli ottimali per la produzione vitivinicola.

Vitigni e zone vitivinicole

In Armenia fra le principali zone vitivinicole ci sono le province di Ararat e Armavir che insieme formano la Valle dell’Ararat: qui si registra la più importante escursione termica estate/inverno del mondo. La regione di Vajots Dzor, molto montuosa, significa valle delle calamità: i terremoti in quest’area hanno provocato molta distruzione ma, nonostante ciò, ancora oggi si trovano vigne che sfiorano i 2000 metri slm che in inverno vengono seppellite per resistere al freddo; Aragatsontn, nei pressi del vulcano estinto Aragats, è fra le aree più vocate mentre Tavush è zona di buoni bianchi. I due terzi dei vigneti si trovano nella Valle dell’Ararat e alle pendici dell’omonimo monte.

In totale gli ettari vitati sono poco più di 15.000, i produttori all’incirca 150 e le varietà autoctone si aggirano sulle 400 unità. Fra i principali vitigni ci sono la voskehat e il kangun fra i bianchi e l’areni fra i rossi. Il primo è un vitigno che ha più di 3500 anni di storia: in armeno significa “bacca d’oro”, la maturazione piena solitamente si ottiene a fine settembre e permette di ottenere vini di buona struttura. Il kangun, invece, significa “robusto” proprio perché è molto resistente sia alle malattie che al grande caldo ma anche al forte freddo; viene considerato un incrocio fra altri due autoctoni Sukholimansky Bely e Rkatsitelie, lo si usa soprattutto per fare brandy di ottima qualità ma anche vini dolci fortificati, sono pochi i produttori che invece lo vinificano secco e viene maggiormente utilizzato in blend perché ha un buon potenziale di invecchiamento. Le vigne di areni si trovano invece sino a 1700 metri di altitudine; trattandosi di un vitigno a maturazione tardiva ha un ottimo tenore zuccherino, poca materia colorante e conserva una buona acidità, paragonabile per certi versi al nostro Pinot nero. Molto versatile, viene usato spesso anche per realizzare rosati interessanti.
Il territorio vitivinicolo della Georgia invece risulta più esteso: sono circa 48.500 gli ettari vitati; un dato importante è quello relativo all’export: circa 110 milioni di bottiglie vengono esportate in più di 60 Paesi nel mondo; notevole anche l’esportazione di brandy di qualità che riveste una notevole importanza.

È in Georgia che nasce il sistema di viticoltura più antico al mondo: non è infatti l’alberata aversana il primo sistema di allevamento bensì il sistema Maghlari, utilizzato già 2000 anni  prima. Le viti venivano fatte crescere sugli alberi come una sorta di pianta rampicante che richiedeva la minore cura possibile; questo metodo viene successivamente sostituito dal sistema Dablari con i filari bassi e l’utilizzo dei pali, diventando di fatto una forma di viticoltura convenzionale.
Altra caratteristica unica che possiedono i vini georgiani è costituita dal processo di vinificazione: le uve, a seguito di una pressatura soffice, vengono lasciate a fermentare nei famosi Qvevri, anfore di argilla, insieme a tutte le parti del grappolo, compresi i raspi; la particolare forma di questi contenitori, terminando a punta, permette di trattenere sul fondo le vinacce mentre la porosità delle loro pareti facilita l’ossigenazione. Questo sistema di vinificazione è stata riconosciuto nel 2013 come patrimonio culturale immateriale dell'umanità dall'UNESCO, a ulteriore conferma dell'importanza culturale e storica di questa antichissima pratica.

In Georgia si registra una grande varietà di uve indigene ma tra i vitigni autoctoni a bacca bianca possiamo menzionare il kisi che offre una bassa resa per un alto tenore zuccherino e una piacevole acidità; matura a fine settembre per produrre vini secchi e per certi aspetti ricorda lo chenin blanc. Altro vitigno a bacca bianca è il rkatsiteli da cui si ottengono vini bianchi strutturati, secchi e un po’ speziati mentre il saperavi è il vitigno per eccellenza per vini rossi, profondi e strutturati.

La degustazione

Kangun Voskehat White Dry 2023 – Sewuk Armenia 13%
80% kangun e 20% voskehat per questo vino che nasce fra le regioni di Armavir e Vayots Dzor su terreni vulcanici, a circa 1000 mt slm. La raccolta è manuale, la fermentazione alcolica avviene in acciaio a cui segue maturazione sempre in acciaio.
Di un bel paglierino vivace, il naso ci porta a pensare che possa esserci stato passaggio in legno quando in realtà è assente: spiccano note di frutta secca e torrone, quest’ultimo conferisce anche un lieve sentore fumé; emerge bene la parte mielata e la presenza di fiori gialli, un naso opulento dotato di una bella mineralità, termine di cui spesso si abusa ma in questo caso risulta calzante. In bocca si sente la parte agrumata, una buona acidità e una ricca sapidità in equilibrio fra loro. Una grande persistenza per una scoperta che lascia il segno. 

Kangun Dry White Wine 2019 – Takar Armenia 12.5%
Le vigne da cui proviene il kangun utilizzato per questo vino si trovano in Aragatsotn a 1300 mt slm. La vendemmia avviene a ottobre e la raccolta è manuale; una parte – circa un terzo del totale - fermenta in botti di rovere francese mentre la restante in acciaio per poi essere assemblato.
Dal colore verdolino con una buona fittezza, al naso risaltano i sentori di frutta tropicale, fra tutti la banana, ma anche di frutta secca fra cui arachide e nocciola; percepibile una nota sulfurea che proviene dai terreni vulcanici, piacevole anche la percezione di zucchero caramellato e creme caramel. In bocca si trova corrispondenza fra le componenti gusto olfattive con un frutto più maturo rispetto al precedente e una nota più sapida. Un vino di ottima qualità con una persistenza molto lunga.

Areni Rosè 2020 – Takar Armenia 13%
Le vigne di questo areni si trovano a oltre 1200 metri slm. La raccolta solitamente avviene a fine settembre, la vinificazione prevede due settimane in acciaio e a seguire affinamento in botti di rovere per 12 mesi.
Il colore è fra il ramato - che ricorda la famosa buccia di cipolla - ma potrebbe essere anche tendente dorato, sicuramente atipico ma molto vivo; al naso è molto elegante con sentori di fiori rossi appassiti e frutti gialli tropicali, emerge con piacevolezza l’empireumatico con note tostate di chicchi di caffè e sentori speziati. In bocca spicca anche una percezione di ciliegia con una bella croccantezza e aromi tipici da passaggio in legno che non risultano invadenti ma accentuano le componenti già rilevate. Un vino strutturato, di corpo pieno e sicuramente armonico.

Rkatsiteli 2015 Dry Golden Wine – Alavedi Monastery Marani Georgia 12%
Il primo vino georgiano in degustazione viene prodotto dal vitigno rkatsiteli all’interno di un antichissimo monastero. Vinificato attraverso i kevkri, interrati e rabboccati sino all’orlo, fermenta poi almeno sei mesi con i suoi raspi nei kevkri sigillati con argilla fresca e coperti da sabbia per controllare l’umidità e assicurare una temperatura fresca e costante.
Dal suo colore, ambrato che vira sul mogano, sembrerebbe più un passito di Pantelleria che un vino secco, proprio a dimostrazione di come i nostri sensi condizionino la nostra percezione; al naso è evoluto con profumi di frutta secca e ciliegia macerata, sentori di umami con note terrose di funghi e tartufo ma anche  eteree, quasi terziarizzate. In bocca si evince bene la nota sapida quasi tendente al salmastro; tannico e saporito, conferisce una piacevolezza di beva ben equilibrata.

Meskhur White Dry wine 2020 – Natenadze Georgia 11%
Vino prodotto da un enologo molto estroso nelle terre al confine con la Turchia di cui è impossibile decifrare l’uvaggio perché composto da un blend di uve selvatiche trovate fra i boschi, da vigne di 400 anni d’età. Occorrono circa due mesi per la raccolta che termina a novembre inoltrato; sono almeno 24 le varietà selvagge che lo compongono, la vinificazione si svolge in kvevri con bucce ma in questo caso senza raspi e non viene filtrato per mantenere ancora più intatto il suo carattere distintivo.
Dal colore ambrato, con alcune particelle in sospensione ma nonostante ciò si presenta piuttosto limpido; al naso emergono sentori aciduli di albicocca che non incidono negativamente sull’eleganza ma piuttosto lo caratterizzano, percettibili inoltre delle note di affumicatura. Meno tannico del precedente, al gusto è molto particolare, difficile da incasellare in qualche degustazione precedente: è uno di quei vini che piace o non piace ma che in ogni caso rappresenta una sorta di unicum che vale comunque l’assaggio.

Areni Red Wine 2023 – Sevuk Armenia 13%
Si passa alla degustazione dei rossi con questo vino armeno composto per 80% da areni e per il 20% da kakhet; la raccolta è manuale, fermenta e affina in acciaio per alcuni mesi.
Di un rubino dotato di poca materia colorante ma di buona vivacità, al naso sembra una spremuta di ciliegie che può essere considerata varietale oltre che fragrante, una nota di viola molto evidente e un finale che rimanda a sentori di liquirizia; in bocca mostra una bella acidità e un tannino che chiude leggermente amaricante. Un vino non di grande muscolatura ma di grande piacevolezza che presenta allo stato attuale una maturità perfetto e un buon equilibrio.

Tamaris Vazi Red Dry Wine 2019 – King Tamar’s Wine Georgia 13%
Torna l’enologo estroso e tornano anche le uve selvatiche: in questo caso si tratta del vitigno a bacca rossa tamaris vazi che cresce su terreni vulcanici, al confine con la Turchia, ad un’altitudine fra i 1000 e i 1600 metri. La raccolta anche in questo caso è manuale, la fermentazione avviene in kvrevri e, dopo sei mesi, segue l’affinamento in acciaio.
L’uva è più carica di colore, oscillando fra il rubino e il carminio e nonostante sia stato filtrato presenta comunque particelle in sospensione che non rappresentano un difetto ma una scelta stilistica del nostro enologo a cui piace sperimentare. Al naso si sente la nota fermentativa di acetaldeide spiccata con sentori di legno bagnato, caldarroste e una nota di affumicatura; al gusto ha un tannino importante, una grande e voluta acidità e una spiccata sapidità. Uno stile decisamente unico per un vino decisamente caratteristico.

Saperavi Semi Dry Red Wine 2015 – Alaverdi Monastery Marani Georgia 15.5%
Chiudiamo con un rosso prodotto anch’esso nel Monastero di Alaverdi affinato nei tradizionali quevri senza essere diraspato. Dal colore rosso carminio che vira sul granato e di buona fittezza cromatica, saperavi d’altronde è un vitigno che significa proprio “colorato”. Al naso sono evidenti sentori a noi più comuni: frutta matura, chiodi di garofano, una nota speziata di tabacco e noce moscata dal finale mentolato; al gusto è morbido e tannico con un finale di genziana, molto adatto all’invecchiamento e, fra tutti, è quello che più si avvicina agli standard europei gusto olfattivi. Un ottimo vino rosso strutturato e molto persistente. 

Si conclude qui il nostro viaggio e la nostra degustazione che, un po’ come degli Indiana Jones del mondo del vino, immersi tra terre millenarie in cui affondano le radici della viticoltura moderna, ci ha permesso di andare indietro nel tempo, scovare tesori nel nostro presente e poterli aggiungere al nostro bagaglio di sapere e conoscenza.