Falanghina e aglianico di Fontanavecchia

Racconti dalle delegazioni
22 settembre 2007

Falanghina e aglianico di Fontanavecchia

Il racconto della serata svolatsi il 21 settembre e dedicata a due vitigni autoctoni della cantina Fontanavecchia

Andrea Bonesi e Monica Mirandola

Dopo la pausa estiva abbiamo ricominciato “alla grande” il nostro ciclo di degustazioni presso il ristorante Edelweiss di Castel d'Ario: questa volta, grazie alla collaborazione con la prestigiosa Cantina Fontanavecchia di Torrecuso (BN), ci siamo concentrati su due vitigni autoctoni del Taburno: Falanghina e Aglianico. Quest'ultimo in realtà pare esser stato portato nel nostro Paese dai Greci al tempo della fondazione delle loro colonie, nel 6°-7° secolo a. C. con il nome di “Ellenicon”,cioè “originario della Grecia”.

Purtroppo il titolare dell’Azienda non è potuto essere della partita a causa della scarsa disponibilità di collegamenti aerei, ma ci ha pensato il delegato provinciale Luigi Bortolotti ad illustrare degnamente gli splendidi prodotti di questa pluripremiata Cantina.

Prima di dedicarci ai protagonisti della serata, c'è stato concesso in anteprima un piacevole assaggio del nuovo Lambrusco Mantovano Doc interpretato dall’enologo Franco Bernabei con la consulenza organolettica di Bortolotti.
Impressionano alla vista il bellissimo colore rubino e la consistenza della spuma, all’olfatto i chiari sentori di ciliegia, prugna ,viola e ciclamino ed al gusto la notevole delicatezza bilanciata da robuste – per un lambrusco – struttura e complessità.
Bortolotti chiede ai presenti di compilare una breve scheda di degustazione, un test di piacevolezza potremmo definirlo, ma anche senza valutarne gli esiti, i commenti promettenti che si alzano dalla sala del ristorante fanno capire come Bernabei abbia pienamente centrato il risultato,e si sia avvicinato all'obiettivo di recuperare nel vino la vera tradizione dei contadini mantovani.

E’ la volta dei veri protagonisti della serata cominciando con la Falanghina del Taburno “Facetus” (falanghina 100%) proposta nelle annate 2005 e 2003. Ci viene spiegato che la filosofia aziendale è rivolta al rispetto dei metodi tradizionali di allevamento con rese attorno ai 70 q.li per ha. Il 2005 ha un colore giallo paglierino intenso, l’olfatto è rapito da sentori di magnolia, fieno e banana mentre al gusto sorprende per la mineralità non sfacciata come spesso accade con questo vitigno. Ottima la rotondità, mentre l’evidente nota alcolica si sviluppa solo nel retrogusto e gli permette di reggere abbinamenti che vanno ben oltre il solito pesce. Il campione del 2003 ha un colore quasi dorato che lascia presagire maggiore struttura ed intensità dei sapori. Al naso esprime eleganti note d'albicocca, prugna gialla, melone e nespolo maturo. In bocca buona mineralità ed alcolicità che si combinano con un’eleganza notevole vista la giovane età. Due ottimi bianchi.

Ci vengono poi serviti gli Aglianico del Taburno Riserva partendo dal “Grave Mora” 2004 che viene prodotto solo nelle migliori annate e con le migliori uve prodotte,in purezza. Invecchia 13 mesi in barrique nuove d'Allier e si presenta rosso rubino con riflessi granati. Impressiona, per un Aglianico, la qualità dei profumi (solo lievemente chiusi) di cacao, humus e spezie che si ritrovano puntuali in bocca dove mostra una complessità ed equilibrio rimarchevoli, con tannini pieni e morbidi che lo fanno assomigliare ad un Barolo…e proprio come il “Re dei vini” necessita di qualche anno di invecchiamento per dare il massimo.
E’ la volta della stessa Riserva proposta nell’annata 2003, millesimo particolare dato il gran caldo, che conferma l’elevata potenzialità del vitigno. Mallo di noce, corteccia e confettura di ribes conquistano le nostre narici per poi stupire il palato con un’inaspettata mineralità e speziatura. Di gran personalità.
Vista la qualità dei vini fin qui proposti, ci aspettiamo molto anche dai piatti e non veniamo delusi dallo Chef Matteo che ci propone l’ottimo abbinamento regionale con Orecchiette alle cime di broccoli del Taburno.
Bortolotti è entusiasta per la qualità delle Riserve “Grave Mora” che paragona senza timore ai migliori Rossi italiani ed ovviamente ci si aspetta ancora di più dai cru di questa cantina: le Riserve “Vigna Cataratte” 2001, 2000 e 1998.
Ci approcciamo con grande interesse al 2001 (5 grappoli Duemilavini!!)che si mostra, poco in verità vista l’impenetrabile trama, rubino con lievi riflessi granati. Ruotiamo i grandi calici,i sentori che fuoriescono esprimono chiaramente note di sottobosco, goudron, grafite e frutto rosso di rara finezza. All’assaggio colpiscono la gran potenza mista ad eleganza e l’ottima acidità. I tannini sono perfettamente amalgamati e mai pesante l’alcolicità. Gran vino!
Il giudizio lusinghiero si ripete anche per i campioni più maturi del 2000 e ’98 i quali, rispetto ai “Grave Mora”, ci sembrano maggiormente tipici ed espressivi.Il 2000 ha una forza espressiva impressionante,dovuta all'annata calda in cui è stato prodotto,il 1998 è concreta rappresentazione della longevità praticamente infinita dell'autoctono del Taburno.. E quando poi li abbiniamo con il Fagiano arrosto alle bacche di Ginepro selvatico….ci rendiamo conto della grandiosità di questi vini ,ahimè non ancora sufficientemente valorizzati ,specialmente al nord .

Ottimo quindi il lavoro di Libero Rillo,gestore attuale della cantina, e di Orazio, il padre,fondatore dell'azienda nel 1980 con alle spalle una lunga tradizione nella vinificazione delle uve.
.”...Il mio vino ha carne ed ossa e pelle che è profumata di memoria, sapore che avvolge le lingue e risveglia la parola, il mio vino è sangue di questa terra e questa terra è tutto ciò che ho dentro...”.Parole di Libero,che in modo semplice e diretto descrivono l'autenticità , la passione e l'attaccamento ai valori tradizionali della sua terra ,caratteri che abbiamo ritrovato in modo lampante nei prodotti degustati in questa bellissima serata.

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