Il “gigante addormentato”. Il vino in Cina

Racconti dalle delegazioni
03 novembre 2022

Il “gigante addormentato”. Il vino in Cina

AIS Lecco, per la prima volta in Italia, ha reso omaggio al vino in Cina con una serata condotta da Guido Invernizzi che ha tracciato la sua storia dalle antiche dinastie ai giorni nostri.

Antonio De Lucia

Nel prossimo futuro potrà giustamente vantarsi di essere una delle regioni più rinomate del mondo

È certamente il luogo in cui il settore vinicolo si sviluppa maggiormente sia in termini di produzione che di consumo. Per alcuni dei principali paesi produttori è diventata il primo mercato di vendita

“Gioca un ruolo centrale nell’industria del vino e si appresta a occupare un posto ancora più importante sul mercato mondiale del vino

A pronunciare queste parole nell’ormai lontano 2018, fu Baudouin Havaux, presidente del Concours Mondial de Bruxelles, in occasione della sua 25° edizione. È complicato stabilire se sorprendesse di più il fatto che questa competizione andasse in scena per la prima volta in un paese asiatico, la Cina, o realizzare che le sue parole fossero riferite proprio al paese ospitante che, per l’occasione, presentò al concorso circa 500 vini di cui 5 riconosciuti con la Grande Médaille d’Or e ben 46 con la Médaille d’Or.

AIS Lecco per la prima volta in Italia, ha reso omaggio al “gigante addormentato” (che poi tanto addormentato non è…) con una serata magistralmente condotta da Guido Invernizzi che ha tenuto banco per oltre tre ore, raccontando ad un pubblico molto attento una storia affascinante, accompagnata da sei vini rappresentativi di questo grande Paese e ha rimarcato ancora una volta l’importanza di essere curiosi e quanto il concetto di “abitudinarietà” strida con l’essere appassionati di vino, prima ancora che sommelier.

Come si è arrivati a questo punto? Un salto indietro nel tempo è d’obbligo

Le prime testimonianze della presenza della vite in Cina sono state ritrovate nella provincia di Shandong e risalgono a circa 26 milioni di anni fa quando era ancora diffusa l’ormai estinta vitis romanetii. Non proprio un passato così remoto se si pensa che le prime tracce della vitis Sezannensis ritrovate in Champagne risalgono a oltre 60 milioni di anni fa.

Nel sito di Jiahu nella contea di Henan, sono stati rinvenuti alcuni vasi con tracce di acido tartarico, riconducibile alla produzione di bevande alcoliche anche a base di uva selvatica (probabilmente uvaspina o uva da vitis amurensis), altri frutti e miele, databili attorno al 5000-7000 a.C.. Sembra che questa bevanda fosse utilizzata per scopi religiosi e mistici e rappresenta di sicuro la prima testimonianza di bevanda alcolica al mondo.

Occorre attendere tempi più recenti perché si inizi a scrivere, se non di vino, perlomeno di bevande alcoliche o jiu (酒): tra i 5000 e i 4000 anni fa, nelle Odi di Stato di Bin si poteva leggere “… Nel decimo mese raccolgono il riso e fanno gli alcolici per la primavera, a beneficio delle folte sopracciglia” a testimoniare il legame tra l’alcol e la nobiltà d’animo e l’alta spiritualità di cui le “folte sopracciglia” erano il simbolo.

Solo alla fine del secolo scorso si inizia a parlare di vino o Putaojiu (葡萄酒) così come lo conosciamo noi oggi, frutto della fermentazione alcolica di un liquido a base di succo d’uva da vitis vinifera.

Le bevande alcoliche nel periodo delle antiche dinastie 

Durante il periodo delle antiche dinastie (21° sec. a.C. – 256 a.C.) le bevande alcoliche erano utilizzate principalmente per scopi medici poiché sfruttate per le loro proprietà antisettiche e anestetiche. Esse non comprendevano ancora il vino d’uva ed erano ottenute con la fermentazione alcolica dei cereali, principalmente riso, uniti ad altri frutti e bacche secondo la ricetta inventata dal re Yu (禹), fondatore della Dinastia Xia, così come testimoniato da diversi testi antichi.

Un grande impulso fu di certo dato dalla Dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.), seconda in ordine di successione del periodo imperiale. Nel 138 a.C. l’emissario Chang Chien portò in Cina alcune barbatelle di vitis vinifera dalla valle di Fergana (nell’attuale Uzbekistan): fu l’inizio degli scambi commerciali con l’Occidente attraverso la Via della Seta che contemplavano anche uva e vino d’uva. 

Ed è proprio durante questa dinastia che le bevande alcoliche vengono concesse anche al popolo in occasioni speciali e utilizzate dagli aristocratici durante i banchetti per discutere di arte e filosofia, esattamente come accadeva nel mondo occidentale. Ma l’aspetto più importante è che a questo periodo risalgono le prime vinificazioni con l’utilizzo di succo d’uva da vitis vinifera.

Durante la Dinastia Tang (618 – 907 d.C.) la coltivazione della vite raggiunse le zone centrali del paese e il vino iniziò finalmente ad essere conosciuto. Nel XIII secolo Kublai Khan, fondatore della Dinastia Yuan (1206 - 1368), contribuì pesantemente alla diffusione del vino utilizzandolo durante i sacrifici agli dei al pari del Kumis, bevanda alcolica tuttora consumata in moti paesi asiatici, ottenuta dalla fermentazione del latte di giumenta. Parlerà di vino anche l’italiano Marco Polo durante i suoi viaggi in oriente.

La superficie vitata continuò a crescere anche nei secoli successivi, soprattutto grazie al perfezionamento delle tecniche di allevamento e di produzione vinicola ma nonostante ciò, il vino locale non era considerato di buona qualità tant’è vero che, durante la Dinastia Ming (1368 - 1644) veniva importato regolarmente da Spagna e Portogallo, perlomeno fino a quando l’arrivo del Baijiu (白酒), un distillato prodotto a partire da cereali, e la diffusione dell’Islam non rallentarono drasticamente la produzione, il consumo e, di conseguenza, il commercio di vino.

Dalla caduta dall’ultima dinastia alla Repubblica Popolare Cinese

Alla fine del XIX secolo l’uva era diffusa in molte province tra cui Shandong, Tianjin e Guangdong, ma era coltivata solo per uso alimentare. Gli occidentali che giungevano in Cina, se da un lato importavano il vino dai loro paesi d’origine, d’altro canto importarono tecnologie e vitigni dal vecchio continente: Zhang Bishi, che nel 1892 fondò la Changyu, prima azienda vinicola con produzione su larga scala in Cina, importò ben 120 varietà di vitis vinifera tra cui Welschriesling, Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc, Petit Verdot, Traminer e Sauvignon Blanc, 90% delle quali ancora oggi coltivate e vinificate.

I primi anni del ‘900 rappresentano un’epoca di profondi cambiamenti politici: ci si avvia alla caduta dell’ultima dinastia per fondare la Repubblica di Cina e uno spirito fortemente patriottico sfocia in quella che fu chiamata la Rivolta dei Boxer, contrari all’influenza straniera in Cina. Ma il tempismo perfetto di Zhang Bishi e i suoi continui investimenti gli consentirono di produrre la sua prima bottiglia di vino nel 1914, presentata l’anno successivo alla Panama Pacific Exposition.

L’anno della svolta fu il 1949 con la nascita della Repubblica Popolare Cinese. Imprenditori stranieri ed enologi lungimiranti strizzarono l’occhio al paese del dragone portando una ventata di aria fresca con grossi investimenti, nuove tecnologie e tecniche enologiche. Finalmente iniziò la selezione delle uve da tavola e da vino con l’obiettivo principale di identificare le varietà più adatte ai climi freddi, tipici delle province più settentrionali (Xinjiang e Ningxia). Lo stesso istituto di botanica di Pechino sperimentò incroci mirati di vitis vinifera Hamburg e vitis amurensis per ottenere varietà come Beichun, Beihong e Beimei seguiti poi da ulteriori incroci come Meichun, Meiyu, Meinong, Hongzhilu (Merlot e Petit Verdot), Qanbai (Riesling e Petit Verdot), Quanyui (Riesling e Hamburg), Yan73 e Yan74 (Alicante Bouchet e Hamburg). E se è vero che le sperimentazioni puntavano alla qualità e nuovi vigneti nascevano in Xinjiang, Jilin, Henan, Hebei, Anhui e Jiangsu, è anche tristemente vero che, fino agli anni ’80, dall’Europa venivano importate uve come il Rkatsiteli e Saperavi per la produzione di vino, prontamente addizionato di altri frutti, coloranti e cereali fermentati, puramente per ragioni commerciali. È solo nel 1987 che viene interrotto questo circolo vizioso con la nascita di fortunate joint ventures tra aziende cinesi e francesi, l’arrivo di ingenti capitali da Hong Kong, una prima zonazione del territorio e la produzione di vini, perlopiù bianchi, dal gusto tipicamente occidentale. Ma dall’occidente tante aziende ormai più che conosciute nel panorama internazionale guardano con interesse il risveglio del dragone, da Moët Hennessy a Pernod Ricard. Nonostante fosse solo l’inizio, gli anni a seguire furono solo un crescendo:

  • Nel 1994 si proibisce la produzione di vini con meno del 50% di succo d’uva
  • Nel 1998 si contano 39 specie, 1 sottospecie e 13 varianti
  • Dal 1990 al 2000 la produzione di vino raddoppia
  • Nel 2004 viene proibita la produzione di vino con l’utilizzo di altri frutti

Nonostante il consumo di vino resti ancora basso (si parla di circa 1,4 litri di vino pro-capite/annuo), la Cina oggi rappresenta il terzo paese al mondo per superficie vitata dopo Spagna e Francia, con i suoi 783.000 ha da cui si producono 5,9 milioni hl di vino. 

Le principali regioni vitivinicole

Parlare di terroir in Cina non è cosa semplice poiché la sua storia geologica e le sue attuali dimensioni lo rendono il paese più variegato al mondo dal punto di vista di suoli e terreni: tutti presenti ad eccezione di tundra e taiga settentrionale! I 5500 km di estensione da Nord a Sud assicurano altrettante varietà di climi differenti, passando dalle fredde province a ridosso del confine con la Mongolia fino a giungere ai climi subtropicali nelle zone a ridosso di Hong Kong, Vietnam e Laos.

Nonostante il paese sia solcato da oltre 50.000 fiumi e le precipitazioni siano abbondanti, la distribuzione delle acque è del tutto irregolare: si va dalle regioni del nord-ovest con una piovosità inferiore ai 50 mm/annui e una siccità che obbliga all’uso dell’irrigazione, fino a sud-est dove cadono oltre 2000 mm di pioggia all’anno. In un contesto simile, i grandi nomi dell’enologia mondiale sono riusciti nell’impresa di individuare le zone più vocate nella parte settentrionale in una fascia compresa orientativamente tra il 30° e il 50° parallelo nord: Xinjang, Gansu, Ninxia, Shanxi, Hebei, Dongbei e Shandong. Oltre ai vitigni autoctoni, alcuni dei quali ottenuti attraverso incroci mirati, i vitigni bordolesi sono quelli più coltivati, in particolare Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc, Petit Verdot, Marselan (un incrocio ottenuto da Cabernet Sauvignon e Grenache), Riesling Italico e Chardonnay.

La regione vitivinicola più prestigiosa è sicuramente quella di Ninxia, adagiata in un’ampia vallata lunga 150 km posta tra il fiume Giallo e il monte Helan a circa 1000 metri di altitudine, caratterizzata da un clima continentale, basse precipitazioni, terreni sabbiosi e ciottolosi in altura, più argillosi in pianura, poco fertili ma ben drenanti e soleggiati. Il fiume provvede all’irrigazione, il monte Helan alla protezione dei vigneti e la combinazione tra forte irraggiamento solare e altitudine crea le condizioni perfette per la viticultura di qualità tanto essere premiata con l’istituzione della prima denominazione d’origine, Helan Mountain nata nel 2003. Particolare è la tecnica di protezione delle piante durante i mesi invernali: la sepoltura! Totalmente gestito da donne, questo intervento consiste nel ricoprire integralmente le viti con la terra prima dell’inizio dell’inverno per proteggerle dal freddo intenso con temperature estreme che possono raggiungere i -30°C. A primavera le piante vengono dissotterrate e i terreni fertilizzati per dare il via al meraviglioso spettacolo che si ripropone puntuale ogni anno. 

Qui si produce circa il 25% del vino nazionale grazie alle 211 cantine presenti tra le quali le rinomate Silver Heights e Chateau Changyu Moser XV (in onore dell’enologo austriaco Lenz Moser), che hanno prodotto i vini degustati durante la serata e Chandon e Helan Mountain fondate dai colossi internazionali LVMH e Pernod Ricard. Una produzione che conta circa 130 milioni di bottiglie l’anno per un giro d’affari che ammonta a 3,4 miliardi di Euro con un indotto nel settore turistico che attira oltre 600.000 visitatori ogni anno. E i numeri sono destinati a salire!

Particolare  la storia dell’azienda Silver Heights, fondata nel 2007 da Gao Lin e sua figlia Emma. La lungimiranza del padre, che per primo credette nelle potenzialità di Ningxia e del Cabernet Sauvignon, e l’intraprendenza della figlia, che si trasferì a Bordeaux per i suoi studi di enologia presso lo Château Calon Ségur tornando in patria nel 2005 sposa dell’enologo Thierry, hanno rappresentato la commistione perfetta per creare quella che oggi è una delle aziende più importanti e prestigiose del panorama enologico internazionale.

Con 70 ha di vigneto posti a 1300 mslm e 140.000 bottiglie l’anno, l’azienda coltiva principalmente vitigni a bacca rossa bordolese come Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah e Marselan affiancati da Chardonnay vinificato in stile borgognone. Dal 2017 la filosofia produttiva segue i principi della biodinamica basata sulla coltivazione di erbe officinali e sui 4 elementi naturali, terra, acqua, fuoco e aria, che ha portato l’azienda ad ottenere la Chinese Organic Certification nel 2020. 

Particolarmente attenta all’ambiente, il suo motto è “Non ereditiamo la Terra dai nostri antenati, la diamo in prestito ai nostri figli”.

La degustazione

Durante la serata, sono stati degustati 6 vini rappresentativi di questa zona vitivinicola, assolutamente sbalorditivi per il livello qualitativo.

Cabernet Sauvignon Blanc de Noirs 2018 - Château Changyu Moser XV
100% Cabernet Sauvignon, 13,5% 

Un cabernet sauvignon in purezza vinificato in bianco (primo al mondo nel suo genere) anche se il colore tendente al buccia di cipolla, luminoso e vivace tradisce una breve macerazione pellicolare. Affinato 12 mesi in barriques nuove, al naso svela subito la sua identità con sentori di confettura di peperoni, frutta tropicale, pescanoce succosa, accenni di piccoli frutti rossi croccanti e un effluvio di spezie dolci.
La bocca rivela l’uso del legno nuovo primeggiando sugli aromi fruttati e floreali e chiude con una leggera nota amaricante dovuta anche alla vivace sapidità.

Family Reserve Chardonnay 2019 - Silver Heights
100% chardonnay, 11,5%

Chardonnay vinificato in stile borgognone, affinato 8 mesi in barrique di rovere di Borgogna, per il 75% di primo passaggio. Il calice si tinge di un giallo paglierino intenso con riflessi dorati, assolutamente cristallino. Evidente la sua consistenza nonostante un titolo alcolometrico volumico modesto.
Naso complesso e fine che spazia dai classici toni fruttati di pesca gialla, banana e scorza d’agrume candita, ai più sofisticati profumi speziati di noce moscata e pepe bianco e tostati di scatola di sigari, rinfrescati da una lieve nota mentolata e di foglia di tè.
In bocca rivela la sua essenza con un impatto importante, freschezza scattante e una sottile piccantezza, figlia delle barriques nuove. Un borgognone dagli occhi a mandorla!

The Last Warrior 2017 - Silver Heights
80% cabernet sauvignon, 20% merlot, 14,5%

Primo dei quattro blend bordolesi degustati, affinato per 12 mesi per un 30% in barriques nuove di rovere francese di primo passaggio, veste il calice di un colore rosso rubino con riflessi granati, vivo e pieno ed esplode in un merletto di lacrime e archetti.
Al naso rivela la sua identità bordolese con profumi erbacei di peperone su sfondo fruttato di ciliegia e arancia rossa. Li accompagnano i sentori tostati di cioccolato e soprattutto di caffè e lentamente affiorano le spezie e il sottobosco.
Tannino e acidità decisi in bocca, struttura importante, persistenti le note di liquirizia e inchiostro che lasciano una piacevole sensazione amarognola sul finale.

Family Reserve 2015 - Silver Heights
60% cabernet sauvignon, 40% merlot, 15%

Secondo blend bordolese della serata, affinato per 12 mesi per il 20% in barriques nuove di rovere francese. Alla vista si presenta rosso rubino tendente al granato, luminoso, vivace, profondo, lascia traccia della sua consistenza sul calice.
Naso complesso di grande eleganza, il peperone è percettibile ma nella sua versione dolce, quasi timido, su sfondo fruttato e floreale di frutta rossa molto matura e rosa rossa. Come il precedente, si scopre piano con profumi animali, tostati di tabacco e speziati di pepe nero con sbuffi mentolati e di sottobosco.
Bocca equilibrata, sospesa tra tannini delicati, freschezza decisa e pseudocalore avvolgente. Buona la persistenza con le note percepite al naso, arricchite da tocchi boisé. La sua leggiadria in bocca penalizza forse la corrispondenza gusto-olfattiva.

The Summit 2016 - Silver Heights
60% cabernet sauvignon, 40% merlot, 14,6%

Terzo blend bordolese affinato per 12 mesi per il 50% in barriques di rovere francese di primo passaggio e per il restante 50% in barriques di rovere francese di 1 anno. Appare di un colore rosso rubino tendente al granato, carico, impenetrabile e vivido.
Intenso e complesso al naso, i sentori erbacei virano più sul sottobosco, fogliame, erbe officinali, e si accompagnano ad una nota legnosa. Immancabili i profumi scuri di liquirizia, cioccolato e caffè così come le note speziate.
In bocca ritornano gli aromi percepiti al naso, sorretti da un tannino setoso ed elegante, una ottima freschezza e una piacevole morbidezza che contribuiscono a dare struttura a questo vino che regala una soddisfacente corrispondenza gusto-olfattiva.

Emma’s Reserve 2017 - Silver Heights
50% cabernet sauvignon, 50% merlot, 14%

Quarto e ultimo blend bordolese ottenuto da uve allevate in regime biologico e affinato per 24 mesi in barriques di rovere francese nuove. Il rosso rubino della sua veste si screzia di riflessi granati, un colore spesso, profondo, impenetrabile caratterizzato da una grande consistenza, che preannuncia una struttura imponente.
Naso austero, educato fatto di profumi fruttati di frutti neri maturi, note speziate eleganti e raffinati sentori erbacei con ritorni di fogliame e sottobosco. Ancora una volta si ritrovano i caratteri tostati di cioccolato e caffè.
In bocca scopre la sua anima nera di liquirizia e inchiostro che donano una sottile nota amaricante, tannino nobile e composto, morbido al palato e freschezza che scuote la sua austerità. Struttura  possente e perfetta corrispondenza gusto-olfattiva portano questo vino ad una piena armonia.

Probabilmente solo adesso ci rendiamo conto di quanto la Cina stia lavorando sodo per recuperare tempo e tentare di sanare quel divario con l’Occidente, forse un po’ troppo sicuro di sé, e non possiamo fare altro che ammettere che il gigante si è risvegliato da tempo dal suo lungo sonno e ora corre veloce, in silenzio. I fuochi d’artificio arriveranno e faranno davvero tanto rumore. È solo questione di tempo.