Il tridente bianco della Campania
Racconti dalle delegazioni
07 aprile 2025

Un'infinita varietà di suoli e climi che dà luogo a una straordinaria diversità di vini. La tappa di Vinovagando, curata da Davide Gilioli, propone tre grandi bianchi campani ciascuno in duplice versione: la Falanghina, così come si esprime nei Campi Flegrei e in Irpinia, il Fiano, nel suo areale di elezione e nel Cilento, il Greco interpretato da due significative cantine.
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Chi tra noi non lega la parola “tridente” a Poseidone, mitico Dio del mare? Senza tema di smentita si potrebbe affermare: quasi tutti. E chi, udendo dissertare di mare e di mito, farebbe fatica a immaginare una “terra felix”? Quasi nessuno.
Ecco. Il mare, il mito, il vino sono i protagonisti dello storytelling di una terra, la Campania, protagonista di innumerevoli affascinanti narrazioni, a partire dagli autori greci, primi colonizzatori e pionieri del vino, passando per le cronache Borboniche, fino ad approdare ai giorni nostri, tempi in cui la rivalutazione dei vitigni autoctoni riempie gli scritti di settore.
Un centinaio i vitigni iscritti nel registro della vite, molti di questi autoctoni. Lungo le coste, come nella Costiera Amalfitana e nella Costiera Sorrentina, i terreni alluvionali con suoli argillosi e fertili sfoggiano terrazzamenti gestiti da viticoltori eroici, mentre le colline e le montagne interne presentano terreni vulcanici e calcarei. Proprio la presenza di vulcani come il Vesuvio e i Campi Flegrei, dei due di gran lunga più temuto il secondo, dona ai suoli un alto contenuto di minerali, marcando a fuoco il carattere dei vini. Il clima mediterraneo, con inverni miti ed estati calde, influenzato dal Mar Tirreno, mitiga le temperature e prolunga la maturazione delle uve. In contrasto, le zone montane dell’entroterra, come l’Irpinia, godono di estati fresche e inverni freddi, forieri di intensità e complessità aromatiche.
In questo mare di diversità, nonostante la prevalenza di vini rossi, le tre punte di diamante del “tridente divino” sono bianche: la Falanghina, il Fiano e il Greco.
Il primo vino a essere servito con Poseidone è strettamente imparentato anche con un’altra figura del mito, la Sibilla, raggiungibile in epoche remote attraverso l’antro, sito archeologico di particolare fascino e mistero.
Unico dei tre vini a non essere insignito della DOCG, la Falanghina rivendica a pieno titolo il ruolo di testimonial dei Campi Flegrei. La grande caldera a ovest di Napoli si bagna nel golfo senza soluzione di continuità, caratterizzando la morfologia del territorio, il clima e lo spirito degli abitanti, che da secoli convivono pazientemente con l’altalena del bradisismo. I Campi Flegrei, il cui nome deriva dal greco antico "Phlegraios" (cioè "ardente"), sono un'area vulcanica caratterizzata da suoli sabbiosi e minerali. Questa composizione del terreno, ricca di elementi vulcanici, assieme alla vicinanza del mare, dona alla Falanghina una straordinaria sapidità animata da note sulfuree, le stesse che si percepiscono distintamente nelle giornate in cui le “fumarole”, che sbuffano dal terreno, saturano l’aria di zolfo. La falanghina eredita il proprio nome dal termine "falanga", così venivano chiamati i pali di sostegno utilizzati per “maritare” le viti. La sua coltivazione risale all'epoca degli antichi Romani quando il vitigno ha trovato il suo habitat ideale nei Campi Flegrei, grazie al microclima e al suolo sabbioso che lo hanno poi protetto dalla fillossera, consentendo l’allevamento a piede franco. Negli ultimi decenni, la falanghina dei Campi Flegrei ha conosciuto una vera e propria rinascita, grazie al lavoro di viticoltori appassionati che hanno puntato sulla valorizzazione dei vitigni autoctoni e delle peculiarità territoriali.
Campione di longevità e di eleganza il Fiano di Avellino è da annoverarsi tra i grandi bianchi d’Italia. Noto in epoca romana come “Vitis Apianis” poiché le sue uve dolci e aromatiche attiravano le api, il fiano è un vero ambasciatore dell’Irpinia nel mondo. Menzionato già nel I secolo d.C. da Columella e nel secolo a seguire da Plinio il Vecchio, questo vino era conosciuto come "Apianum", da cui Fiano. I vigneti occupano una zona collinare dell’Irpinia, estesa tra il comune di Avellino e altri 25 comuni limitrofi, a un’altitudine compresa tra i 300 e i 600 metri. I quattro areali del fiano offrono caratteristiche diverse a seconda che ci si trovi nella la fascia occidentale di Summonte, nella parte centrale di Montefredane, nella zona orientale di Lapìo o nell’area più meridionale di San Michele di Serino. I suoli vulcanici e calcarei assieme al clima fresco, con forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, favoriscono intensità e complessità degli aromi. La DOCG, ottenuta nel 2003 valorizza l’unicità di questo vino bianco, che viene prodotto con almeno l’85% di uve fiano, con la possibilità di aggiungere altre varietà autoctone come greco e coda di volpe.
Detto il “rosso mascherato da bianco” il Greco deve il suo nome al comune di Tufo, situato in provincia di Avellino. Le origini antichissime risalgono ai tempi della Magna Grecia, quando il vitigno è stato introdotto in Campania dai coloni greci, ai quali deve il suo nome. La denominazione Greco di Tufo DOCG, ottenuta nel 2003, comprende otto comuni della provincia di Avellino, con Tufo e Santa Paolina come centri di riferimento. L’areale collinare si trova a circa 400-600 metri sul livello del mare ed è caratterizzato da suoli vulcanici ricchi di minerali, in particolare solfuri, che derivano dall’antica presenza di miniere di zolfo e dall’influenza del fiume Sabato. Il clima fresco, con forti escursioni termiche tra giorno e notte, favorisce la maturazione delle uve, esaltandone la complessità aromatica.
Il surfing tra i bianchi campani cavalca per primo l’antica caldera
Campi Flegrei DOC Falanghina CRUna DeLago 2021 - La Sibilla
La Sibilla è una piccola cantina di Bacoli condotta dalla famiglia Di Meo da cinque generazioni. 12 ettari di vigneto con esposizione a sud-ovest sulla collina di Baia, con terreni di argille e sabbie d’antica origine vulcanica. Alcune parcelle ospitano vecchie viti a piede franco, veri e proprie perle del territorio. Il clima mite e temperato del Golfo di Napoli, favorisce la maturazione delle uve con una straordinaria ricchezza aromatica.
Colpisce la grande personalità della Falanghina Campi Flegrei CRUna DeLago, proveniente dall’omonimo Cru, che esalta la tipicità e le note varietali della falanghina dei Campi Flegrei. Le caratteristiche fruttate offrono il fianco alle componenti sapide, sorprendendo per la finezza e l’intensità dei profumi, la ricchezza e complessità degli aromi, la lunghezza e la persistenza a palato.
Il vino ha un colore paglierino tenue, luminoso. Al naso l’imprinting salmastro e sulfureo del mare e della caldera apre il varco alle note di ananas e di banana in yogurt mentre i fiori di campo gareggiano con il pompelmo. Il sorso è intenso, profondo e agrumato, con un centro bocca succoso, un finale fresco e sapido che ritorna su nitide note iodate con accenni di pepe e zenzero. Un vino perfetto per bilanciare la tendenza dolce dei piatti a base di pesce e frutti di mare. Si sposa meravigliosamente con antipasti di mare, spaghetti alle vongole, fritture di pesce e zuppe di crostacei. È ideale anche con formaggi freschi o primi piatti leggeri, come un risotto agli agrumi.
Dal mare ai monti
Irpinia DOC Falanghina Via del Campo 2021 – Quintodecimo
Quintodecimo è la creatura del prof. Luigi Moio, enologo di fama mondiale e Professore Ordinario di Enologia presso l’Università Federico II di Napoli. Il suo testo Il respiro del vino non può non campeggiare nella biblioteca degli appassionati. Dopo anni di ricerche e studi tra Italia e Francia l’ecclettico professore individua un sito a Mirabella Eclano nel quale convergono elementi climatici e territoriali eccezionali per l’allevamento della vite e fonda, assieme alla moglie Laura, la nota cantina.
Via del Campo è realizzato con uve falanghina in purezza, cresciute nella vigna Via del Campo, in località Piana dei Greci, a Mirabella Eclano. Siamo a 360 metri sul livello del mare su un suolo argilloso-calcareo. Il 70% della massa viene vinificato in vasche di acciaio inox mentre il restante 30% fermenta in barrique di rovere nuove. La maturazione per 8 mesi sulle fecce fini ha luogo nella stessa tipologia di contenitori. Il giallo paglierino investe lo sguardo con la sua luminosità. La gamma olfattiva gioca con la frutta matura a polpa gialla, ananas, litchi, fiori di campo ed erbe aromatiche percepite attraverso una filigrana agrumata e dolcemente speziata. Caldo e rotondo il palato, in elegante equilibrio sia la freschezza sia il timbro sapido. Lunga la chiusura boisé.
Il Fiano: non solo Irpinia
Cilento DOP Fiano Kratos 2023 - Luigi Maffini
Vigneron dal carattere risoluto e carismatico, Luigi Maffini è il protagonista della rinascita della viticoltura cilentana. Eredita la passione dal papà, di origini emiliane, che nel 1970 impianta il primo vigneto a Castellabate. Qualche anno dopo, Luigi, specializzato in Scienze Viticole ed Enologiche, fonda la sua cantina con la moglie Raffaella, entrambi ispirati dall’amore per l’autenticità. Regime biologico certificato, utilizzo di energia da fonti rinnovabili, riciclo delle acque piovane, uso di materiali riciclabili sono solo alcune delle sue pratiche virtuose.
Il Cilento è una terra aspra e selvaggia, dalla morfologia pluriforme: dalle colline al flysch, dalle arenarie e peliti alle distese di viti, fino al blu del Tirreno. A Castellabate, i vigneti storici si affacciano sul golfo di Salerno, mentre a Giungano, a ridosso del sito archeologico di Paestum, insiste la moderna cantina multilivello. Sei le etichette prodotte con sole specie varietali cilentane di Aglianico e di Fiano. Punta di diamante il Cru Pietraincatenata.
Questo Fiano cilentano sfoggia un lucente giallo paglierino. Il naso è nitido, di mela golden, pesca bianca, pera. Le nuances bianche pescano nei profumati fiori di campo, nel gelsomino, nell’acacia misti alle erbe della macchia mediterranea. La freschezza si insinua nel palato per dichiararsi sorso a sorso, aggiungendo lo zest d’agrume alla frutta bianca. Persistente e accattivante il finale.
La terra di elezione
Fiano di Avellino DOCG Alimata 2018 - Villa Raiano
L’azienda parte nel 1996 dai vecchi opifici dell’oleificio della famiglia Basso in frazione Raiano del comune di Serino (AV). Nel 2009 il quartier generale si trasferisce nella nuova struttura in cima a una collina nel comune di San Michele di Serino (AV), circondata da vigneti e boschi di castagni. Dalla terrazza panoramica, lo sguardo si allunga sull’intera valle del Fiume Sabato. Siamo in quella porzione dell’areale della DOCG dove il Fiano di Avellino è più verticale, fiero della sua spalla acida, che solo la sosta sur lies ha imparato ad ammorbidire.
Il Fiano di Avellino Alimata nasce da una vinificazione in acciaio sviluppata su tempi lunghi, per arricchire il corredo aromatico olfattivo e la struttura. L’omonimo vigneto è situato in provincia di Avellino, a circa 350 metri sul livello del mare in un terroir dal sottosuolo argilloso e marnoso, con una buona presenza di scheletro. La fermentazione, si svolge in acciaio con seguente affinamento di 12 mesi in acciaio e successiva maturazione per 14 mesi in vetro. Giallo paglierino carico e lucente. Consistente nel calice, offre al naso sentori evoluti in doppia declinazione. Mela, pera, frutta secca, caramella mou, burro chiarificato si confrontano con idrocarburi e insinuazioni di pietra focaia. Ancora biancospino e camomilla. Il palato si regge sull’equilibrio tra fresca vivacità e struttura. Può essere consumato giovane per apprezzarne l’energia, può esprimere il meglio di sé con l’invecchiamento, rivelando maggiore complessità e profondità. Nel lungo finale ritorna la frutta matura, la nocciola e la castagna, tipo quella del Prete, e una tenue sapidità. Il Fiano di Avellino è un vino estremamente versatile a tavola. Si abbina agevolmente a piatti a base di pesce e crostacei, come una grigliata di gamberi o un filetto di pesce al forno. Ideale anche con risotti agli agrumi, formaggi freschi, carni bianche anche agnello al limone o coniglio alla cacciatora. Grazie alla sua struttura e longevità, si presta persino ad abbinamenti audaci con piatti speziati.
Le Riserve
Greco di Tufo DOCG Riserva Grancare 2022 - Tenuta Cavalier Pepe
La Tenuta Cavalier Pepe nasce quasi trent’anni fa a opera del Cavaliere della Repubblica Angelo Pepe, ristoratore italiano in Belgio, particolarmente attivo nella promozione della cucina italiana. Con il rientro in Italia della figlia Milena, laureata in viticoltura ed enologia in Francia e marketing in Belgio, i 40 ettari di vigneto e 10 di oliveto diventano una realtà di eccellenza, incorniciata da un ristorante e un B&B molto accoglienti.
La fermentazione alcolica avviene parte in barrique di rovere francese, parte in acciaio. Affina sur lies sia in legno sia in acciaio per poi maturare almeno 6 mesi in bottiglia. I riflessi dorati incorniciano il giallo paglierino di fondo. Al naso note di pesca gialla, di frutta tropicale, di erbe aromatiche con venature speziate. Palato rotondo, caldo, freschezza e sapidità gestite dalla sosta in legno. Lunga e piacevole la persistenza. Perfetto con piatti di buona struttura, indifferentemente di terra o di mare. Bene anche con cucina etnica e formaggi di media stagionatura.
Greco di Tufo DOCG Riserva Miniere 2021 - Cantina dell’Angelo
Nomen omen. Il vino nasce da vigneti di Campanaro, sopra antiche miniere di zolfo che conferiscono al terroir una nota sulfurea decisamente riconoscibile. Massima attenzione all’impatto ambientale è la filosofia alla base dei processi. La fermentazione del mosto ha inizio spontaneamente, grazie ai lieviti indigeni, in contenitori d’acciaio e a basse temperature. Il vino rimane a stabilizzarsi per qualche mese in acciaio e, dopo breve affinamento, viene imbottigliato. Miniere sfoggia una vivida livrea dorata. Al naso pervengono in progressione sentori di frutta a polpa bianca, agrumi, mandorla fresca e fiori gialli quasi “confezionati” da sbuffi di zolfo, gesso, pietra focaia. Il sorso è verticale e asciutto, con un nerbo minerale. La grande struttura si combina con una freschezza vibrante e una sapidità decisa. Ritornano nel finale memorie fruttate. L’attesa promette tanto. Nel frattempo da abbinare con frutti di mare crudi o cotti, crostacei, piatti a base di ricci di mare. Se di terra, preparazioni della tradizione irpina come il maiale, formaggi freschi o anche mozzarella di bufala campana.
«La sete vien bevendo» reciterebbe l’adagio dei santi bevitori, ma il nostro excursus finisce così, con la curiosità di andarci in quei territori così ben raccontati da Davide Gilioli per degustare altre espressioni dei vini presentati, conoscere nuovi produttori e, perché no, “vinovagare” tra i tanti vitigni autoctoni, come l’ingannapastore, ad esempio, riscoperto di recente da Vincenzo Santagata nell’areale Casertano.