Italia, Red Passion
Racconti dalle delegazioni
18 marzo 2025

È in fase di svolgimento e sta riscuotendo grande successo il master sui grandi vini rossi italiani organizzato da AIS Brescia. A condurre i partecipanti in questo speciale percorso narrativo - degustativo c’è Artur Vaso, sommelier, degustatore e nuovo responsabile della Guida ViniPlus di AIS Lombardia
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Quattro appuntamenti previsti, due già svolti – e in entrambi l’interesse è stato tale da far registrare il “tutto esaurito” nella sala degustazione di AIS Brescia – due in programma nelle prossime settimane, 24 grandi rossi italiani di cui 12 già degustati. Sono questi alcuni dei numeri del master sui grandi vini rossi italiani in corso di svolgimento presso la sede associativa di Via Triumplina.
Si tratta di vini must-have tra i più famosi, conosciuti e apprezzati in tutto il Mondo, che riscuotono sempre molto entusiasmo e grande curiosità; se poi si possono degustare insieme ad una guida esperta come Artur Vaso il tutto assume connotati ancora più interessanti.
Nel corso della seconda serata, svolta lo scorso 7 marzo, la narrazione vitivinicola ha spaziato in lungo e in largo fra i confini nazionali, isole comprese, raccontando di storie nobiliari, famiglie che hanno deciso di mettersi in gioco e generazioni che si sono succedute con un unico comune denominatore: creare vini rossi importanti, identitari, riconoscibili e anche riconosciuti a livello nazionale e non solo.
L’evento ha visto l’alternarsi della parte narrativa con quella degustativa per ogni rosso, in modo da avere in maniera contestuale entrambe le componenti e comporre quindi un quadro completo per ogni vino.
Su’Anima 2022 Cannonau di Sardegna DOC 14,5% - Cantina Su’Entu
Iniziamo questo percorso partendo dalla Sardegna, più dettagliatamente dal territorio della Marmilla, zona centro-meridionale dell’Isola, territorio molto fertile formato da suoli calcarei e argillosi. L'azienda agricola Su’entu si trova a pochi chilometri dal comune di Sanluri, cuore dell’areale e città che custodisce un’antichissima tradizione agricola.
A creare la cantina, circa 45 anni fa, è Salvatore Pilloni, figlio terzogenito di Ernesto; quest’ultimo già in questo areale aveva dato vita alla sua azienda agricola, Salvatore decide di dare maggiore risalto alla parte enologica e lo fa con tutta con grande passione, dando vita ad etichette e vini che rispecchiano il terroir da cui vengono creati. Oggi la gestione è passata alle due figlie di Salvatore che continuano con grande entusiasmo a portare avanti la tradizione di famiglia.
L’azienda si estende su 90 ettari tra le colline della Marmilla, di questi la superficie vitata si aggira sui 40 ettari, costantemente esposti al vento, partendo dal mare e attraversando il Campidano, donando così alle uve una caratteristica sapidità.
La degustazione ci permette di assaggiare il cannonau annata 2022, vitigno autoctono sardo per antonomasia di cui recentemente è stata smentita la discendenza spagnola ma che è piuttosto associabile, per affinità enologiche, sia al grenache francese che all’alicante spagnolo o ancora al tocai rosso veneto.
Il cannonau della cantina Su’Entu ci stupisce a primo acchitto per il suo colore: un rubino dai riflessi aranciati di poca fittezza, molto elegante. Al naso emerge la sua giovane età data dalla componente floreale fresca e da un fruttato evidente di fragoline, ciliegie e prugne non troppo mature. In bocca è molto fine ed elegante: fra i vari aspetti risalta subito la succosità e la croccantezza, l’acidità passa in secondo piano mentre il tannino è presente ma non invadente grazie anche al passaggio in barrique per 12 mesi a cui segue la maturazione in bottiglia per almeno 2 mesi. Chiude leggermente amaricante facendo emergere anche la parte alcolica.
Ginestra 2020 Barolo DOCG 15,5% – Cantina Paolo Conterno
Dalla Sardegna si passa alle Langhe e all’azienda di Paolo Conterno, giunta alla quarta generazione. L’azienda viene fondata nel 1886 a Monforte d’Alba, provincia di Cuneo; attraverso la fondazione della casa della Ginestra si da avvio alla produzione vitivinicola con i vitigni nebbiolo, barbera e dolcetto.
Oggi a condurre l’azienda è Giorgio Conterno che mantiene vive quelle che sono le tradizioni di famiglia fra cui quella riconducibile alla volontà di creare il “Barolo perfetto”, tramandato di generazione in generazione: qui l’affinamento del Barolo avviene infatti ancora in botti grandi, rigorosamente in Rovere Francese, della capacità di 35 ettolitri, segue poi l’affinamento in bottiglia. I vigneti si trovano a circa 350 metri slm su pendenze di oltre il 35% in terreni in prevalenza argillosi e calcarei, la produzione annua della cantina è di circa 80.000 bottiglie.
Il Barolo in degustazione è un 100% nebbiolo formato dai biotipi Lampia e Michet con il primo in misura prevalente rispetto al secondo. Alla vista ci regala un rosso carminio abbastanza fitto, la componente olfattiva spicca per note floreali di violetta, fruttate di ciliegie mature ma non ancora da confettura, sentori speziati di china e rabarbaro e note minerali; in bocca il tannino granuloso apporta lunghezza e persistenza. L'acidità bilanciata e la mineralità derivante dai suoli calcarei aggiungono freschezza e profondità.
Solaia 2021 Toscana IGT 14% – Cantina Marchesi Antinori
Un’azienda che non necessita di presentazioni ma facciamo volentieri un tuffo nel loro trascorso per ripercorrere alcuni dei passaggi storici che l’hanno resa una realtà conosciuta in tutto il Mondo.
La zona di produzione è quella fiorentina del Chianti Classico, il racconto parte da quella Firenze che viveva il suo periodo di massimo splendore. Nel 1385 Giovanni di Piero Antinori entra far parte dell’Arte dei Vinattieri, corporazione fondata nel 1293: è da lì che inizia tutto. Negli anni a seguire la storia della famiglia Antinori si affianca a quella del Medici: nel 1491 Niccolò di Tommaso Antinori fa costruire la Tenuta Le Rose, residenza “in vigna” da cui la famiglia trae 40 barili di vino annui che porta in città per la vendita e il commercio; fu sempre lui ad acquistare come residenza cittadina uno splendido palazzo, a pochi passi dal Duomo, che diventerà Palazzo Antinori. Nel 1685 Marchesi Antinori è già un marchio vinicolo, solo qualche anno più tardi, nel 1716, Cosimo III dei Medici emana il primo antesignano di disciplinare attraverso il quale istituiva i confini di produzione delle quattro Regioni - Chianti, Pomino, Carmignano, e Val d'Arno di Sopra - entro i quali poteva essere prodotto il Chianti; il vero disciplinare arriva nel 1967 con l’introduzione della DOC Chianti classico.
Oggi la famiglia Antinori è giunta alla sua 26esima generazione e gli ultimi decenni di storia aziendale sono stati altrettanto importanti e ricchi di cambiamenti, grandi novità e numerosi successi. Negli anni ‘70 arriva a Firenze l’enologo Giacomo Tachis, allievo di Emile Peynaud: nasce così una preziosa collaborazione che porterà alla nascita dei famosi vini “supertuscans”, chiamati così non necessariamente per l’utilizzo del cabernet sauvignon quanto per l’utilizzo del metodo bordolese.
La prima produzione di Solaia arriva nel 1978 dalla Tenuta Tignanello, nel cuore del Chianti Classico, la quale in quegli anni rappresentava una sorta di "laboratorio" per le sperimentazioni vitivinicole dei Marchesi Antinori che, insieme al loro enologo, introducono nuove tecniche vitivinicole e nuovi varietali come il cabernet sauvignon e cabernet franc. Sarà proprio dai nuovi varietali che si darà vita all’etichetta Solaia, chiamato così proprio perché il vigneto da cui nasce – circa 20 ettari - è lo spicchio più assolato della collina di Tignanello. L’uvaggio iniziale era 80% cabernet Sauvignon e 20% cabernet Franc, che è stato ripetuto nel 1979. Nelle annate successive è stato introdotto un 20% di sangiovese e sono state fatte alcune correzioni nel rapporto tra cabernet sauvignon e cabernet franc, sino a conquistare nel 1997 il primo posto tra i migliori 100 vini al mondo nella classifica dell’autorevole rivista Wine Spectator.
L’etichetta 2021 in degustazione è formata da 75% cabernet sauvignon, 20% Sangiovese, 5% Cabernet Franc. Il vino ha una struttura colorante importante, tale da macchiare il calice nel momento in cui viene fatto roteare: un rubino pieno, fitto e quasi impenetrabile; al naso ci pervade la frutta scura di marmellata di more, una piacevole nota balsamica e i sentori classici del taglio bordolese, ancora un po' giovani ma comunque presenti; in bocca risulta carnoso con un tannino che deve ancora ingentilirsi totalmente ma che presenta già un equilibrio e un’eleganza molto ricercata; sicuramente fra qualche anno tutte le sensazioni percepite lo saranno con maggiore intensità ma degustarlo già in questa fase ci permette di apprezzarne le sue espressioni “giovanili”, per nulla sgraziate.
Aglianico del Vulture DOC La Firma 2016 14% - Cantine del Notaio – Basilicata
Dalla Toscana facciamo un salto verso il Meridione e arriviamo in Basilicata: qui nel 1998 nasce l’azienda Cantine del Notaio. Fondata da Gerardo Giuratrabocchetti e dalla moglie Marcella, la cantina deve il suo nome al padre di Gerardo che effettivamente faceva il notaio ma trae spunto invece dal nonno di Gerardo da cui lui eredita i vigneti, dedicandocisi anima e cuore. Uno dei primi obiettivi che si prepone è quello di valorizzare l'Aglianico del Vulture, storico vitigno autoctono lucano che, grazie alla natura vulcanica dei terreni - fertili e ricchi di particolari elementi minerali - e alla presenza in profondità di strati tufacei che funzionano da riserva di acqua nei periodi più siccitosi dell'anno, permette di ottenere un vino forte e con una spiccata personalità.
I 40 ettari di proprietà sono distribuiti nelle contrade più tipiche e più rinomate dell'area del Vulture - Rionero, Barile, Ripacandida, Maschito e Ginestra - con alcune vigne vecchie di oltre cento anni. Tutti i terreni, pur avendo natura diversa, hanno in comune lo strato di tufo vulcanico ed una esposizione pedoclimatica che consente la perfetta maturazione di questo che è uno dei vitigni più tardivi per epoca di raccolta: da metà ottobre a metà novembre. Ogni loro vino prende il nome da attività che hanno attinenza con procedimenti o atti notarili, l’Aglianico del Vulture in questo senso rappresenta l’etichetta denominata “La Firma”; matura prima in carati di rovere francese di primo passaggio posti in grotte naturali di tufo vulcanico per un periodo di almeno 12 mesi e successivamente segue un ulteriore affinamento di 12 mesi in bottiglia.
Il vino in degustazione viene definito “un pugno di ferro in un guanto di velluto”: alla vista si caratterizza per il suo rubino intenso con riflessi carminio, al naso è molto presente la frutta a guscio, fra cui emerge la nocciola ma anche la frutta rossa matura nella veste di confettura di mora o mirtillo, liquirizia e vaniglia come componenti speziate e una percettibile nota balsamica; in bocca c’è tanta potenza e una grande forza, un tannino molto presente e un finale lungo: la descrizione iniziale trova piena concretezza dalla degustazione.
5° vino in degustazione: Sforzato di Valtellina DOCG 5 stelle 2021 15.5% - Nino Negri Lombardia
Con il quinto vino si gioca in casa a livello regionale, in una zona ai confini con la Svizzera: la Valtellina dello Sforzato, primo passito rosso secco della storia enologica italiana ad avere ricevuto la DOCG nel 2003.
La storia della Cantina Nino Negri parte circa un secolo fa da colui il quale ne prende il nome ma sarà il figlio di Nino, Carlo Negri a dare un grande slancio all’azienda; con l’acquisizione, negli anni ’70, da parte di Gruppo Italiano Vini e con l’arrivo dell’enologo Casimiro Maule prima e di Danilo Drocco presente tutt’oggi, questa storica realtà vitivinicola valtellinese raggiungerà traguardi importanti e svariati riconoscimenti.
Sassella, Grumello, Inferno, Maroggia, Valgella: sono cinque le aree che caratterizzano questo territorio vitivinicolo, tutte differenti tra loro per suolo, paesaggio e microclima: incidono molto le brezze, soprattutto quelle provenienti dal lago di Como, e la composizione dei suoli fatti di granito, limo, argilla e sabbia.
Viticoltura eroica quella della Valtellina per le sue pendenze, per i suoi vigneti terrazzati e i suoi muretti a secco, patrimonio Unesco. Il terreno sabbioso-limoso, predisposto alla siccità, e poco profondo (con una superficie lavorabile che va dai 40 ai 120 cm) spesso obbliga la radice della vite a conficcarsi direttamente nella roccia; per questo, nel corso degli anni, sono stati costruiti una miriade di muri a secco in sasso: per sostenere i tronchi vitati e aiutarli a crescere ma anche per sostenere la biodiversità, dimora ideale per molti insetti e piante spontanee. Le pendenze sono di quelle importanti: nella sottozona Inferno arrivano anche al 65% e ovviamente tutto questo incide anche sui costi di produzione, più alti rispetto a tanti altri territori italiani.
Gli ettari di vigneti di proprietà della Nino Negri sono 33 e si trovano nelle zone Grumello, Inferno, Fracia e nei vigneti delle oltre 200 famiglie di vignaioli valtellinesi con cui Nino Negri collabora da decenni.
Qui il nebbiolo prende il nome di Chiavennasca, versione valtellinese che ha una sua personalità precisa ed identitaria. Unico vitigno per la produzione dello sforzato, viene prodotto solo in condizioni stagionali ottimali e prevede un appassimento naturale delle uve per circa tre mesi prima della vinificazione: raccolti a mano e riposti in cassette da 4kg in un solo strato, i grappoli vengono poi fatti appassire in modo naturale nel fruttaio, perdendo circa il 30% del loro peso. Segue un periodo di affinamento in barrique di rovere francese per almeno 18 mesi e successivi 6 mesi in bottiglia.
Lo Sforzato in degustazione è l’annata 2021 dal colore carminio di media fittezza, scarico come solitamente si presentano i vini provenienti da nebbiolo; al naso è riconoscibile per spezie dolci ma anche caffè, erbe secche e frutta matura, si avverte già anche l’appassimento attraverso sentori balsamici; in bocca è elegante con un tannino presente, sicuramente giovane, che può aggraziarsi ulteriormente. Si caratterizza per notevole profondità e grande corpo.
Amarone Classico DOCG 2017 16% - Quintarelli Veneto
Chiudiamo la serata in Veneto, con l’Amarone classico, realizzato anch’esso, come il precedente vino, con uve che hanno fatto appassimento. La cantina Quintarelli, situata a Negrar, si trova cuore della Valpolicella classica, areale formato in totale da cinque comuni. La derivazione del toponimo “Valpolicella” viene ricondotta al latino e, precisamente alla dicitura “vallis polis cellae”, ovvero “valli dalle molte cantine”, a testimonianza della lunga tradizione della produzione vinicola in questa zona italiana.
Il Lago di Garda, con la sua distanza contenuta dall’areale interessato, riveste una notevole influenza su questo territorio, così come molto importante è il sistema di allevamento: la pergola veronese viene infatti utilizzata in tutta questa zona per la sua capacità di proteggere le viti, oltre ad essere legata all’identità culturale e storica della Regione essendo un metodo tradizionale tramandato da generazioni di vignaioli.
La storia ci dice che nel 1936, da una botte di Recioto “dimenticata” per anni in cantina, sia nato il famoso Amarone; il disciplinare arriva negli anni Novanta mentre la DOCG soltanto nel 2010. Per la sua produzione sono ammesse uve provenienti dai vitigni corvina (45-95%), rondinella (5-30%) e corvinone (fino al 50% max in sostituzione della corvina). Le uve, raccolte fra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, vengono sistemate manualmente su supporti di legno o graticciati di bambù per essere sottoposta alla delicata operazione dell’appassimento per almeno tre mesi, perdendo così la metà del loro peso per via dell’evaporazione dell’acqua e, parallelamente, favorendo la concentrazione di zuccheri; segue la pigiatura delle uve e un periodo di affinamento di almeno due anni prima dell’imbottigliamento.
La Cantina Quintarelli rappresenta una delle cantine storiche per la produzione dell’Amarone a Verona. Fu negli anni Sessanta che il nonno Giuseppe, già produttore di vino in damigiana destinato al mercato americano, diede una svolta all’attività iniziando una produzione di nicchia di vini imbottigliati tenuti dai grappoli migliori e riscuotendo i primi riconoscimenti internazionali. Oggi la nuova generazione di Quintarelli vede Fiorenza, insieme ai figli, portare avanti il nobile lavoro di Giuseppe “Bepi” e Franca con grande dedizione.
Circondata da una vallata dove si estendono i filari di proprietà, è all’interno della casa padronale che avvengono tutti i passaggi di trasformazione delle uve mentre nel piano superiore si trova la zona dedicata all’appassimento delle uve. Dai chicchi migliori, dopo otto anni in botte, nasce l’Amarone Quintarelli.
Le prime etichette furono scritte a mano da Giorgio Gioco, celebre chef e proprietario dello stellato I 12 Apostoli, ristorante nel cuore di Verona che ha fatto la storia della ristorazione scaligera. Un vero “marchio di fabbrica” che ha reso uniche le bottiglie della Cantina e ancora oggi distinguibili per questa scelta.
L’Amarone che degustiamo offre un colore rubino, più fitto del precedente; al naso è la parte fruttata ad emergere per prima con sentori di confettura di ciliegie e frutti di bosco, subito dopo arrivano le spezie dolci e la nota balsamica. Degustandolo non si avverte la sua importante graduazione alcolica, c’è piuttosto un grande equilibrio, un’eleganza notevole e una struttura distintiva, non si tratta infatti di un vino famoso per il tannino. Rimane il classico retrogusto amarognolo che lo contraddistingue, piacevolmente.
Cala così il sipario su questa speciale serata in attesa dei prossimi due appuntamenti che continueranno a farci inebriare di tutte le sfumature possibili che possiamo percepire e riscontrare all’interno di un calice di un grande vino rosso italiano.