La dimensione artigianale dello champagne secondo Samuel Cogliati

Il 25 ottobre 2019 si è tenuto a Sondrio il seminario dedicato al piccolo universo dei vigneron della Champagne. A farci da guida Samuel Cogliati, giornalista, editore e scrittore, collaboratore di lungo corso di AIS Lombardia e della rivista regionale Viniplus

Laura Giovanazzi

Il relatore Samuel Cogliati, italo-francese, editore, scrittore, giornalista e consulente nel mondo del vino, ha messo in evidenza come la Champagne sia un territorio composito, con una superficie vitata di più di 30.000 ettari, di cui il 90% coltivato da singoli viticoltori. Le grandi Maison, infatti, possiedono solamente il 10% delle vigne e utilizzano prevalentemente il vino o l’uva di conferitori.

La produzione complessiva di champagne – circa 225 milioni di bottiglie – è appannaggio per la quasi totalità delle grandi aziende, mentre solamente poco più di 50 milioni di bottiglie vengono prodotte da R.M. e R.C. Dal 1900 in poi, quindi, in Champagne comanda la dimensione agro-industriale, declinata secondo regole precise e “standardizzate”: rese per ettaro superiori a 12.000 kg., pressatura verticale, chiarifica dei mosti, frazionamento della pressatura. L’assemblaggio (cuveé) delle basi spumanti uniforma la produzione anno dopo anno e la seconda rifermentazione in bottiglia, indotta e di lungo periodo, viene caratterizzata dal successivo dosaggio. Questa, se vogliamo, è quella che possiamo chiamare la dimensione “industriale” dello champagne.

Vi è però anche una dimensione “artigianale”, espressione più autentica del terroir, fatta di selezioni massali, produzione da vecchie vigne coltivate senza diserbanti, con rese più contenute (sotto i 10.000 kg. per ettaro). I vini base provengono da una sola zona o addirittura da un solo cru, non sono sottoposti a troppe elaborazioni in cantina e, dopo la rifermentazione, il dosaggio è molto contenuto se non del tutto assente. Questa è la realtà produttiva che Cogliati ha voluto presentare a Sondrio, con 6 piccoli R.M., ciascuno a modo suo rappresentativo della molteplice realtà di questa famosa regione posta a nord-est di Parigi.

Abbiamo degustato tre doppie serie di Champagne. Dal pinot nero in purezza del Brut blanc de noirs di Fleury, dalla spiccata acidità, al pinot meunier al 90% di “Origin’Elle” di Francoise Bedel, dai sentori balsamici di erbe aromatiche e di notevole sapidità. Dall’extra brut VB01 di Elemart Robion (PM al 90% anch’esso), dalle note rotonde, morbide fino al blanc de noirs “Tradition” (80% PN e 20% PM) di Alain Couvreur, che ha avuto il plauso della maggioranza in sala, dalle spiccate note di pasticceria, quasi liquoroso, agrumato e molto speziato.Per concludere con due brut nature: il Grand Cru di Lahaye, dai sentori salini, quasi salmastri, di notevole eleganza, fino al quasi erbaceo “Le Champ du Clos” di b, essenziale, minimalista.

Tutti gli Champagne in degustazione, pur nella loro variegata tipicità, sono uniti da un “fil rouge” di notevole intensità olfattiva e, al gusto, da spiccata acidità – tipica della latitudine – sapidità e persistenza gusto-olfattiva.

Se volevamo un saggio di “tipicità”, una dimostrazione tangibile di “artigianalità” e forse di maggior autenticità espressiva dell’estrema varietà del terroir, Cogliati ce ne ha dato sicuramente l’opportunità.