Passato, presente e futuro del Teroldego Rotaliano
«Come fa un fazzoletto pianeggiante di 300-400 ettari a darci vini dalle identità ben precise e dalle caratteristiche ben distinte a seconda del vigneto? Questo nonostante la superficie così ridotta, ma soprattutto condizioni pedoclimatiche apparentemente identiche»
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Questa è la domanda che ci pone Riccardo Anelli, alla prima serata da relatore per AIS Milano, in riferimento alla pittoresca Piana Rotaliana e al vitigno che maggiormente si sposa con essa, il teroldego.
Prima della risposta, occorre fare un passo indietro nella storia del Trentino.
La Piana Rotaliana è situata in una zona altamente strategica, perché fin dai Romani fungeva da punto di connessione tra il mondo latino e quello germanico, passando da qui la via Claudia-Augusta. Il vitigno teroldego, citato ufficialmente per la prima volta in un atto notarile redatto a Trento nel 1480, deve la sua fama internazionale al Concilio di Trento, che si tenne tra il 1545 e il 1563, poiché il vino prodotto da questa uva venne offerto ai partecipanti e da questi molto apprezzato. Maria Teresa d’Austria ne era innamorata e lo chiamava Tiroler Gold, l’oro del Tirolo. La Prima Guerra Mondiale, che vide il Trentino essere uno dei principali fronti, e l’arrivo della fillossera, nel 1918 causarono una pesante battuta d’arresto della produzione vitivinicola. La rinascita si dovette principalmente al lavoro dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, in particolare del genetista e perito agronomo Rebo Rigotti, e alla tenacia e passione dei produttori. I passi successivi furono la fondazione del Consorzio del Teroldego nel 1948 e il riconoscimento della DOC al Teroldego Rotaliano nel 1971.
Il futuro è rappresentato dal progetto TeRoldeGO Evolution, voluto da nove produttori che, dal maggio 2018, hanno deciso di collaborare per dare e fare conoscere al mondo i vini di alta qualità prodotti dalle uve teroldego qui coltivate.
Parlando del presente e rispondendo alla domanda iniziale, la Piana Rotaliana consta di terreni con uno strato superficiale limoso-sabbioso, creato nei secoli dal fondamentale torrente Noce. Al di sotto, suoli drenanti dalla diversa natura e provenienza, come ciottoli e rocce dolomitiche, assicurano una grande diversità. Questo ricco scheletro spinge la pianta a sforzarsi per scavare e trovare l’acqua nella falda sottostante. Tutto ciò contribuisce ad avere uve di alta qualità. Le variazioni di altezza del primo strato, di natura del terreno e di profondità della falda acquifera favoriscono, dunque, la maturazione del grappolo di teroldego ma le caratteristiche che si ottengono sono diverse da un vigneto all’altro.
Il sistema di allevamento tradizionale è la pergola doppia trentina, con la quale convive il moderno guyot. In ultimo le caratteristiche sostanziali che si hanno fra i vini prodotti nei tre comuni della Piana: a Mezzocorona i vini sono più morbidi e maturano più velocemente, grazie al maggiore soleggiamento e al monte omonimo che di notte scalda i grappoli con il calore assorbito di giorno; a Mezzolombardo, le diverse condizioni fanno sì che ne derivino Teroldego con durezze più marcate e prodotti più longevi; a Grumo, frazione di San Michele all’Adige, il continuo spirare dell’Ora del Garda permette la surmaturazione in pianta delle uve, senza il rischio di muffe dannose.
Scopriamo questi territori nel calice.
Si inizia con il Teroldego Rotaliano DOC Sangue di Drago 2016 (18 mesi in barrique e 5 in bottiglia) di Marco Donatidi Mezzocorona, dal rubino pieno, dalle note di lampone e prugna maturi, fiori rossi, pepe, liquirizia e felce, dal corpo pieno, dalla piacevole sapidità, dal tannino fine e dall’ottima persistenza.
Il Teroldego Rotaliano DOC Vigilius 2015 (12 mesi per l’85% in barrique e 15% in anfore di gres porcellanato chiamate clayver) di De Vescovi Ulzbach di Mezzocorona si mostra con un rubino intenso e riflessi porpora; al naso sentori balsamici, di mora e lampone, di cannella e delicato sottobosco, con un sorso fresco, dal tannino ben integrato e finale lungamente fruttato.
L’ultimo vino di Mezzocorona è il Teroldego Rotaliano Riserva DOC Luigi 2015 (12 mesi in barrique e passaggio in acciaio, 24 mesi di bottiglia), in anteprima, di Dorigati, con il suo aspetto rubino, con profumi di mora, viola, cioccolato amaro e caffè, con le durezze in armonia con la sua struttura sferica e la persistenza invidiabile.
Si esplora poi Grumo di San Michele all’Adige, con il Teroldego Rotaliano Riserva DOC Pini 2015 (18% di uve appassite, 2 anni in barrique) di Zeni, dal colore maggiormente concentrato rispetto ai calici precedenti, dal naso coronato da pepe nero, frutti di bosco misti, cioccolato alla menta e sottobosco, dalla bocca robusta, con tannino mirabile, ottima freschezza equilibrante e grande lunghezza.
Il Vigneti delle Dolomiti Teroldego IGT Granato 2007 (15 mesi in botte) di Foradorirappresenta egregiamente Mezzolombardo con il suo aspetto granato, con note balsamiche, di eucalipto, di frutti di bosco ancora freschi e di spezie; all’assaggio si nota una maturità molto fine appena raggiunta, ma che durerà anni grazie alla freschezza, alla sapidità e al tannino vivo.
Dello stesso comune, il Vigneti delle Dolomiti Teroldego IGT Beato Me 2009 (5 anni tra barrique e tonneaux, 12 mesi in bottiglia) di Redondèl, frutto di una annata davvero ottimale, dal rubino intenso, naso di caffè in polvere, prugna e spezie scure abbracciate da una balsamicità intensa; il sorso è strutturato, con durezze cesellate e lunga persistenza.
Si conclude con il Vigneti delle Dolomiti Teroldego IGT Gran Masetto 2006 (50% di uve appassite, 3 anni in barrique e 2 di bottiglia) di Endrizzi di San Michele all’Adige, esempio di quanto sontuoso possa essere un teroldego della Piana Rotaliana, grazie ai sentori di ciliegia sotto spirito, prugna matura, cioccolato, liquirizia, viola secca con sfondo balsamico e speziato; in bocca ne abbiamo la conferma, con una ricchezza fruttata dalla tendenza dolce, ben contrastata da acidità e sapidità, tannino fine e lunghezza interminabile.